La salvezza dell'euro passa sul corpo proletario

Solitamente, non partecipiamo alle riunioni che si svolgono nei templi della borghesia europea a Francoforte o a Bruxelles, quindi non possiamo dire se sia vero quello che si vocifera in questi primi giorni di giugno ossia che i rappresentanti delle massime istituzioni europee starebbero mettendo a punto un piano per salvare l’euro, con tutto quello che ne segue. Di sicuro, la moneta unica e l’unione di cui è, in parte, espressione, stanno attraversando momenti difficili, anche se mai quanto il proletariato, da anni chiamato a trasfondere sangue, in dosi sempre più massicce, per tenere i vita la “creatura” del finora incompiuto imperialismo europeo. Da quando è nata la moneta unica, abbiamo detto che quella era l’iniziativa necessaria, ma non sufficiente, intrapresa dalla borghesia europea per emanciparsi dalla tutela dello “Zio Sam” e, più in generale, per affrontare da pari a pari altri schieramenti imperialisti, fossero essi malconci come la Russia post-sovietica, o “emergenti” come quello cinese. Lo imponeva e, maggior ragione, lo impone oggi la crisi di fondo del capitalismo che, al momento, vede l’Europa al centro della tempesta. Non è certo facile armonizzare interessi di stati - cioè di borghesie - che si sono combattuti per oltre un secolo, al fine di imporre la propria egemonia sul continente, risolvendo la partita o, per così dire, i primi due tempi della partita grazie all’aiuto - tutt’altro che disinteressato - di un imperialismo extraeuropeo. Ci stiamo riferendo, ovviamente, alla due guerre mondiali, che hanno infranto i sogni del capitalismo tedesco, anche se poi la ricostruzione post-bellica li ha in parte realizzati, seppure con altre modalità.

Ora, guerre in vista tra gli stati europei non ce ne sono, ma attriti sì, perché, sebbene tutti gli attori in scena sappiano perfettamente che se la “creatura” alla Frankenstein vuole diventare qualcosa di più che una semplice cucitura di membra diverse occorre un salto di qualità, vale a dire la cessione di una parte almeno della sovranità nazionale a organismi che comincino a funzionare da articolazioni di uno stato vero e non solo formale com’è oggi l’Unione europea. Ciò significa, in prospettiva - non troppo lontana - una legislazione unica nel campo della politica economico-finanziaria, di quella estera, ecc. Invece, al momento, in molti tirano in direzioni diverse, mentre ogni giorno che passa vengono a galla le bolle truffaldine su cui si era sviluppato il presunto boom economico figliato dal cosiddetto neoliberismo. Roba da americani, dicevano in un primo tempo i “premier” europei, invece s’è visto che la “ricchezza per tutti” (altra faccia del “meno tasse per tutti”…) fondata sul mattone, sul credito facile e sulle acrobazie speculative più spinte, è roba da ogni paese, non esclusa la “civilissima” Europa.

Tutti i P.I.I.G.S. sono nel ciclone di una crisi che però non riguarda solo loro, ma, per rimanere da queste parti, l’Unione europea intera, perché i paesi che la compongono sono legati tra loro da mille fili, non ultimi i crediti che le banche europee vantano nei confronti dei debiti pubblici di quei paesi.

Le banche del vecchio continente sono piene di titoli tossici - o spazzatura - di cui devono liberarsi, se non vogliono finire a gambe all’aria. Per esempio,

la banca centrale spagnola ha quantificato in 300 miliardi di euro l’ammontare dei prestiti problematici concessi dalle banche nazionali […] l’entità finale delle perdite che le banche spagnole potrebbero essere costrette a registrare per la loro esposizione sul mercato immobiliare si aggira intorno ai 218-260 miliardi. Quasi un quarto del Pil spagnolo…

il manifesto, 29 maggio 2012

Grazie all’iniezione massiccia di denaro statale (cioè, soldi dei contribuenti, per lo più proletari), le banche, spagnole e non, hanno buttato molta zavorra, ma ne rimane ancora tanta. Quattro grandi banche spagnole da poco nazionalizzate avranno bisogno di altri trenta miliardi di euro “pubblici”, se vogliono evitare il naufragio; per non dire di Bankia, il quarto istituto bancario spagnolo, già seminzionalizzato, a cui servirebbero altri ventitré miliardi, «una cifra pari al doppio dei tagli imposti a sanità e scuola» (A. M. Merlo, il manifesto, cit.). Difatti, nonostante la macelleria sociale imposta al proletariato europeo, rimane il dato di fondo che le tossine della speculazione finanziaria non sono state eliminate dal circuito economico, anzi, più soldi vengono trasferiti, tramite lo stato, dalle tasche - o dalle vite - proletarie e semiproletarie agli istituti finanziari, più la speculazione imperversa, con effetti a catena alla lunga difficilmente controllabili. Forse, non siamo ancora al “bank run”, cioè al ritiro in massa dei depositi bancari, ma qualcosa del genere è già cominciato. Solo in Grecia, dal 14 maggio

ogni settimana le banche perdono intorno ai quattro miliardi di depositi […] . Dal gennaio 2010, sono usciti dalla Grecia 72 miliardi di euro [dalle banche e dai titoli di stato, ndr]. [Una cosa simile sta accadendo anche in Italia e in Spagna...] Secondo i dati di Citigroup, nel 2011 sarebbero usciti dall’Italia 160 miliardi, pari al 10% del Pil. E’ la stessa proporzione dell’emorragia subita dalla Spagna l’anno scorso: meno 100 miliardi (il 10% del Pil spagnolo).

il manifesto, cit.

Ma mentre i “popoli” sono costretti a svenarsi, la borghesia trasferisce i suoi capitali nei sicuri forzieri esteri, siano essi le banche svizzere (vi sarebbero depositati circa 280 miliardi provenienti dalla Grecia) o i bund tedeschi, anche se quest’ultimi danno un interesse prossimo allo zero. Come al solito, gli appelli ai sacrifici in nome di un presunto bene nazionale mandano un fetore insopportabile di truffa e di ricatto, affinché i “popoli” suddetti accettino, se non con entusiasmo, almeno con patriottica rassegnazione il crescendo di stangate. Il terrorismo psicologico messo in atto per scongiurare la vittoria elettorale di Syriza, partito della sinistra greca tutt’altro che rivoluzionario, ne è una delle tante prove. Syriza, infatti, non vuole uscire dall’euro (come dicono gli avversari), vuole solo attenuare la spietatezza della ricetta antiproletaria prescritta da BCE, FMI e UE. Che il programma riformista di Syriza sia ritenuto incompatibile con la politica economica europea, la dice lunga sullo stato della crisi e sugli spazi di agibilità del riformismo oggi.

Terrorismo interessato a parte, l’uscita della Grecia, o di qualunque altro paese, dall’euro avrebbe sicuramente effetti devastanti, e per questo è lecito dubitare del fatto che qualcuno voglia effettivamente mandare a fondo la barca europea. Come si accennava più indietro, non è detto che si riesca a smussare gli angoli più acuti dei segmenti nazionali della borghesia europea, e la tentazione di agire in proprio fa sempre capolino, in particolare da parte di chi, poggiando su di un apparato produttivo forte, cerca di rafforzare i legami coi paesi cosiddetti emergenti, come sta facendo la Germania. Tuttavia, senza atteggiarci ad astrologi del capitale, azzardiamo che nemmeno a lei converrebbe la dissoluzione dell’euro, purché l’Unione europea si decida appunto a diventare un organismo statale vero. Precedenti storici ce ne sono, a cominciare dagli Stati Uniti d’America, anche se per diventare quelli che sono ebbero bisogno di una guerra civile tremenda e di un fiume di sangue proletario. La borghesia non si è mai tirata indietro di fronte a queste prospettive, anzi, sebbene per ora si “limiti” a chiederci fiume di lacrime e di sudore perché la macchina borghese, senza il combustibile proletario da buttare nelle caldaie, si spegne.

CB
Domenica, June 10, 2012

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.