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Home ›Terremoto in Emilia - Un grido di dolore, ma, ancor più, un grido di rabbia e di lotta
Non si sa quando finirà, ma sul terremoto che ha colpito duramente la bassa pianura emiliano-mantovana - tassello di importanza primaria dell'economia italiana - ancora una volta si può dire che la natura, anche quando dispensa dolore a a piene mani, è innocente, l'organizzazione sociale degli uomini no.
Come tutti sanno, la maggior parte dei morti del sisma del 20-29 maggio appartiene alla classe operaia, ne è anzi uno spaccato, tragico: italiani e immigrati, “fissi” e precari. Andati a lavorare sotto il ricatto, più o meno esplicito, del rinnovo del contratto di lavoro, o, semplicemente, perché costretti a vendere la propria forza lavoro nelle condizioni imposte dal capitale - il pilastro di questa società - il che implica ingoiare il rospo di rimettere piede in una fabbrica dichiarata agibile forse troppo in fretta, e magari dalla stessa ditta che l'aveva costruita, perché la produzione, del profitto, non deve subire intoppi. E' quello stesso profitto che ha spinto a edificare case e capannoni “con materiali infimi e scadenti”, così scadenti che
mai era capitato ai pompieri di vedere cemento così poco armato e fatto con così tanta sabbia.
il manifesto, 1 giugno 2012
Cavezzo come L'Aquila, come tutti i luoghi interessati da eventi naturali estremamente duri, certo, i cui effetti distruttivi sono però amplificati dall'unico vero dio che presiede la società moderna: il denaro. D'altronde, una delle componenti fondamentali del finto boom economico degli ultimi vent'anni non era forse l'edilizia? Si è costruito dappertutto, in maniera sconsiderata (per il banale buon senso, non per la borghesia), sfigurando città e campagne, cementificando tutto ciò che poteva essere cementificato, costringendo settori via via crescenti del proletariato ad accendere muti per l'acquisto di una casa che altrimenti in affitto difficilmente avrebbero trovato, se non a prezzi esorbitanti. Come “effetto collaterale”, la borghesia ha messo una corda al collo dei proletari neoproprietari, il cappio del mutuo, appunto, che può indurre ad attenuare la combattività, a controllare la rabbia, che, in breve, soffoca la lotta di classe.
Case da poco, per “gente da poco”, costruite in gran parte da “gente da meno”; manovalanza senza qualifica professionale specifica - ma a che servirebbe? - spesso in nero, non di rado reclutata con sistemi da “gang system” di marxiana memoria: squadre di operai assunti “a voce” tra l'esercito sterminato di immigrati, disoccupati, precari, spostate da “caporali” un giorno a Modena, un altro a Milano, un altro ancora Bologna. Caporali agli ordini di imprese i cui legami con le mafie sono quanto meno sospettabili, sicuramente con stretti legami col mondo della politica e delle imprese “per bene”, a cui costruiscono, per esempio, capannoni che, secondo alcuni, avrebbero avuto problemi anche con un vento eccezionalmente forte.
Dolore, morte, lo spettro della disoccupazione per migliaia di lavoratori e dell'annientamento di interi settori produttivi a fronte della promessa delle istituzioni di rimettere in sesto le cose nel più breve tempo possibile. Parola di politicanti? Quel che è certo è che i conti della ricostruzione - comunque avvenga - verranno scaricati sul proletariato e sulle fasce sociali più deboli: l'aumento della benzina è solo un assaggio. Patetico, se non irridente, l'appello del ministro Passera ai petrolieri affinché assorbano preventivamente i due centesimi di accisa: neanche nelle fiabe i petrolieri hanno in fondo al cuore un briciolo di slancio umanitario.
Non meno vana, benché mossa da buona fede e buone intenzioni, è l'indicazione, tipicamente radical-riformista, di dirottare i cento miliardi - per ora solo annunciati - destinati dal governo alle grandi opere, non solo a una rapida ricostruzione, ma a una più generale manutenzione degli edifici, dell'ambiente e del patrimonio artistico. Certo, in astratto, invece di buttare via una montagna di denaro in opere inutili e deturpatrici del territorio, quei soldi potrebbero essere usati in altra maniera senza uscire di un millimetro dal quadro del capitalismo: è impresa quella con migliaia di salariati quanto quella con due operai. Ma chi scrive lo spartito e dirige la musica è il grande capitale, non il piccolo: questo va al traino di quello, sperando di poter raggiungere, un giorno, le sue dimensioni. In altri termini, se soldi devono andare, vanno prima, e di gran lunga, all'Impregilo.
Il nostro, dunque, non è solo un grido di dolore, è, ancor più, un grido di rabbia e di lotta contro questa società infame.
CBBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #06-07
Giugno-luglio 2012
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