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Crisi globale del capitalismo - Organizziamoci per resistere!
Sono passati quasi tre anni da quando lo scoppio della bolla dei subprime ha rotto l’illusione neoliberista di una crescita economica illimitata fondata sui giochi di prestigio della speculazione finanziaria. Come uno tsunami, il castello di carte speculativo si è abbattuto sull’economia reale, da cui era stato generato, facendo esplodere una delle peggiori crisi della storia del capitalismo. Adesso, gli ideologi borghesi ci dicono che il peggio è passato; di sicuro non per il proletariato né, in generale, per gli strati sociali più bassi. Ma nemmeno il processo di estorsione della ricchezza, benché intensificato in mille modi, ha ridato ossigeno a sufficienza a un saggio del profitto da oltre trent’anni, sia pure tra alti e bassi, calante.
Alla caduta del saggio del profitto, la borghesia internazionale aveva risposto sostanzialmente con un attacco globale alle condizioni di esistenza della classe lavoratrice, con l’accentuazione degli aspetti puramente predatori da sempre iscritti nel gene del capitale, con la speculazione finanziaria e la spinta all’indebitamento sfrenato, ad essa legato, come sostitutivo di salari almeno sufficienti per vivere. Perdita del potere d’acquisto di salari e stipendi, chiusura o forte ridimensionamento delle grandi concentrazioni operaie, spostamento di interi settori produttivi in quei paesi dove la forza-lavoro è pagata anche venti volte meno, dove si impongono orari senza limiti di legge, gli scioperi proibiti o quasi. In tal modo, è stata messa in concorrenza verso il basso la forza-lavoro mondiale, anche quella ad alta qualificazione. Infine, la precarietà dilagante: uno dei principali strumenti per piegare la manodopera alle esigenze del profitto e del comando padronale.
Però, tutto questo non è bastato a rilanciare l'economia produttiva, né i posti di lavoro e tanto meno i salari, ma solo la speculazione finanziaria, resa più forte dalla montagna di denaro che i governi hanno versato alle banche, alle assicurazioni, agli industriali. Anzi, il proletariato, gli strati sociali più bassi sono chiamati a fare nuovi pesantissimi sacrifici per chiudere i buchi nei bilanci statali causati proprio dal salvataggio di quegli istituti finanziari. La Grecia è il caso più clamoroso, ma non è, né sarà, certamente l'unico. Tra il 2008 e il 2009, il tasso di disoccupazione è aumentato ovunque, in particolare nelle economie avanzate, così come, secondo le statistiche ufficiali, è salito di 215 milioni il numero degli occupati “a rischio povertà”, mentre altri 100 milioni di persone si sono aggiunte al miliardo e mezzo di lavoratori “vulnerabili”, vale a dire in nero, precari, dai salari appena sufficienti, forse, alla semplice sopravvivenza. Questo quadro, dalle tinte molto fosche, non muterà; la disoccupazione non sarà riassorbita e per chi non sarà buttato su di una strada, il futuro vorrà dire più sfruttamento, più fatica, meno salario, più insicurezza sociale.
Di fronte a tutto ciò, la risposta dei lavoratori salariati è stata, finora, nel complesso inadeguata, il che spiega, almeno in parte, i deboli e sporadici accenni di ripresa economica: l'intensificazione dello sfruttamento ha dato un po' di ossigeno al corpo malato del capitale. Ci sono stati, certo, notevoli esempi di lotta di classe – vere boccate d'aria pura – ma si tratta di episodi isolati, che non hanno messo in collegamento ampie settori della classe. In genere non hanno posto in discussione i meccanismi del capitalismo, non da ultimo per gli effetti ammortizzatori di ciò che rimane dello “stato sociale”, almeno in “Occidente”, finora. Anche negli episodi di lotte anomale, rispetto alla tradizionale prassi sindacale (sequestro di dirigenti, salite sui tetti delle fabbriche, ecc.), quasi mai è emersa una critica radicale al sindacalismo e ai sindacati, che da sempre svolgono un ruolo di primo piano nel facilitare l'attacco padronale ai lavoratori o, ben che vada, spacciano illusioni su di una presunta riformabilità del capitalismo in crisi. Venute a mancare – almeno in “Occidente” – le vecchie “locomotive” della lotta di classe (le fabbriche giganti), disperso sul territorio, privato, non da ultimo, della propria identità sociale e della speranza in un mondo alternativo al capitalismo, col crollo del falso comunismo sovietico, il proletariato è preda del disorientamento, persino di movimenti di carattere razzista (La Lega Nord in Italia, Front National in Francia, UKIP e BNP in Inghilterra, Jobbik-Party in Ungheria...) che deviano sulle fasce più deboli della classe – gli immigrati – il malessere sociale e rafforzano così i meccanismi borghesi di controllo sociale. Anche quando la classe operaia mostra disillusione nei confronti della politica borghese, astenendosi dal circo elettorale, non riesce a dare a questo atteggiamento uno sbocco politico-organizzativo di classe, congelando – fino ad oggi – il potenziale anticapitalistico dell'astensionismo.
Esiste però una via d'uscita a questa pesantissima situazione. In Grecia, ad esempio, il proletariato ha mostrato che è possibile iniziare ad opporsi agli attacchi del capitale, al peggioramento generale delle condizioni di vita imposto dai padroni e dal governo, ma anche dalla borghesia globale attraverso i meccanismi della rendita finanziaria. I lavoratori greci, nonostante insufficienze dovute alla presenza del sindacato, hanno almeno messo in campo alcune primarie forme di resistenza immediata – anche notevoli – ma oscurate dai media borghesi. I lavoratori di ogni paese dovrebbero apprendere dall'esempio greco che l'opposizione al capitale è possibile, applicandone le prime lezioni alla loro realtà locale, facendo i necessari ulteriori passi avanti sul piano dell'unità, della coscienza della necessità di una alternativa al sistema capitalistico.
Occorre rilanciare la lotta dal basso, autorganizzata, fuori e contro le compatibilità del capitale, fuori e contro le gabbie sindacali, oltre i limiti soffocanti dell'azienda e della categoria, diretta dai propri autonomi organi basati sulla democrazia diretta. Occorre una ripresa della lotta di classe, con la necessaria guida politica del partito rivoluzionario, da costruire e rafforzare; una lotta che non si limiti agli aspetti puramente rivendicativi e/o difensivi, ma che cominci a porre lo scontro sul terreno dei meccanismi fondamentali del capitalismo, guerre imperialiste comprese e, dunque, del disfattismo rivoluzionario. Nelle fabbriche, in qualunque luogo di lavoro, nel territorio, contro l'arroganza e la barbarie della borghesia, per un mondo diverso e migliore.
Tendenza Comunista Internazionalista, per il partito rivoluzionarioBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #5
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