Il fiasco di Copenhagen

Disastro ambientale o comunismo, non c’è una terza via

Mentre scriviamo, è in svolgimento la conferenza di Copenhagen sui cambiamenti climatici, annunciata come una delle più importanti riunioni dei leader mondiali, in assoluto. Essa dovrebbe produrre un nuovo trattato in sostituzione del protocollo di Kyoto che, entrato in vigore nel 2005 e adottato da 187 Stati, ha completamente mancato l’obiettivo di ridurre le emissioni di gas serra. Al contrario, le emissioni di gas serra stanno crescendo più rapidamente della previsione di peggiore scenario. Ma fin da subito il presidente Obama ha annunciato che gli Stati Uniti non intendono firmare nessun accordo e, con queste premesse, è molto probabile che anche a Copenhagen non si raggiungerà nulla di concreto, se non briciole, in rapporto alla gravità e all'urgenza del problema. Il fatto che gli Stati firmatari del Protocollo di Kyoto non abbiano rispettato le riduzioni proposte da loro stessi e che i leader mondiali abbiano tali difficoltà nel concordare un nuovo trattato dimostra l’incapacità del sistema capitalistico mondiale, nel suo complesso, a far fronte a una crisi come questa, quando la soluzione potrebbe incidere sui suoi profitti. Anche quando posti di fronte alla catastrofe ambientale, la questione chiave per i capitalisti rimane il profitto.

La base scientifica per la proposta di un nuovo trattato è che i gas a effetto serra riflettono le onde lunghe provenienti dalla superficie della Terra, intrappolandole quindi tra la crosta terrestre e l’atmosfera; il risultato netto è un aumento della temperatura. Il cambiamento climatico è quindi di origine antropica, cioè causato dalle attività umane che producono gas a effetto serra. La preoccupazione principale oggi è che, dopo aver raggiunto certi livelli di temperatura e di concentrazione di gas serra (“tipping point”), il processo di riscaldamento sarà in grado di auto-sostenersi e non ci sarà più niente da fare.

Il fallimento del capitalismo nell’affrontare questi problemi sta spingendo la gente nel movimento ambientalista verso la conclusione che il capitalismo non può risolvere questi problemi, dato che sono sistemici, cioè si trovano proprio nel sistema di produzione. Sebbene spinti verso una tale conclusione, non riescono però mai a raggiungerla e, nonostante tutte le prove in senso contrario, continuano a pensare che il sistema possa essere spinto a prendere drammatiche misure per ridurre le emissioni. Le principali iniziative proposte dal movimento ambientalista sono le seguenti.

Separare l’economia dal carbonio. Allo stato attuale, le nostre economie dipendono per l’energia principalmente da petrolio, carbone e gas. La crescita dell’economia globale richiede sempre più energia da queste fonti, e quindi più emissioni di gas a effetto serra. I sostenitori di questa soluzione sostengono che, se si potesse produrre energia da una fonte non legata al carbonio, si potrebbe vivere felici e contenti. Una svolta scientifica enorme come quella prevista, tuttavia, è altamente improbabile, tanto da essere definita la “pallottola magica”. A parte le emissioni di carbonio, comunque, il sistema continuerebbe a produrre disastri ambientali in misura crescente.

Applicare a tutti quote individuali di carbonio. Secondo il sistema proposto, tutti avrebbero una sorta di conto di credito relativo al carbonio e qualsiasi prodotto che contribuisca alla impronta di una persona per le emissioni di carbonio - ad esempio: viaggi, elettricità, acqua, cibo ecc. - dovrebbe essere acquistato con questi crediti di carbonio. Uno dei problemi più lampanti di questo sistema è quello di essere controllato dallo Stato capitalista, che è il rappresentante dei grandi inquinatori. Infatti i crediti assegnati inizialmente sono stati evidentemente eccessivi, oltre ogni misura; la valutazione delle emissioni si basa sui dati forniti da chi inquina, che sono difficilmente verificabili; i principali inquinatori sono in grado di continuare a inquinare con l’acquisto di crediti assegnati ad altri. Finora il regime non ha contribuito a una reale diminuzione delle emissioni e sembra pieno di cavilli. Ci viene detto che il nuovo sistema potrebbe costringere gli individui a consumare meno e i tetti potrebbero essere regolarmente rivisti e abbassati. Ma, in qualsiasi modo il sistema funzioni, è chiaro che una volta che il consumo verrà ridotto, i salari potranno essere ridotti e il capitalismo potrà, a sua volta, aumentare la propria redditività a danno delle condizioni di vita del proletariato.

Spostarsi verso una economia a crescita zero o addirittura a crescita negativa. Molti nel movimento ambientalista comprendono che la crescita continua implica un aumento continuo delle emissioni di CO2 e, quindi, si fanno sostenitori di un’economia a crescita zero o una economia che decresce. Questa idea dimostra il completo fraintendimento di come funziona il capitalismo e, naturalmente, non è stata ripresa da alcuna organizzazione borghese. È praticamente inimmaginabile che un qualsiasi membro della classe capitalista, sano di mente, possa parlare di “non crescita”. L’economia a “crescita zero” o “crescita negativa” è dunque semplicemente un’illusione completamente irrealizzabile sotto il capitalismo.

I motivi per cui il capitalismo non può risolvere la crisi ambientale si trovano nella natura stessa della produzione capitalistica, cioè nella sua necessità di una continua crescita. Finché esisterà il capitalismo come sistema mondiale di produzione, non potrà mai essere in equilibrio con la natura e comporterà il degrado del pianeta. La scelta che si pone al mondo, sia sul fronte ambientale che su quello sociale, è tra la rovina della civiltà o la costruzione di un mondo comunista.

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Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.