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Home ›Condannati alla fame, per salvare i profitti
Più la crisi si protrae, più salato sarà il conto
Mentre la classe operaia vede le proprie condizioni di lavoro e di vita farsi di giorno in giorno più difficili e per molti ormai drammatiche, seppur con molte note stonate l’orchestra ha ripreso a suonare nei saloni del Titanic in navigazione sul mare agitato. Fra i passeggeri di prima classe sono riprese le danze nonostante le sagome minacciose degli iceberg. Nelle tasche dei banchieri il denaro ha ripreso a scorrere verso nuove collocazioni dopo i tracolli finanziari. Negli Usa, Goldman Sachs e Morgan Stanley, ridotti i debiti grazie ai provvidenziali aiuti pubblici, guardano ai loro affari privati, vantando ottimi risultati. Ritorna la “creatività finanziaria” delle maxi speculazioni sui derivati (i famosi “salsicciotti” giacciono in quantità nei bilanci di molte banche), sui credit default swap (i famigerati cds) e persino sui mutui immobiliari. Alla faccia di una riforma delle regole della finanza: promessa talmente sofferta che più nessuno ormai ci crede. Ammesso che possa servire un controllo… etico degli affari a calmare gli “animal spirits” che secondo gli stregoni borghesi avrebbero provocato la crisi finanziaria con smodati appetiti di guadagno, soddisfacibili solo rastrellando soldi dalle tasche altrui, in primis quelle dei proletari.
Qualcuno, pochi in verità quelli fuori dal coro di un forzato ottimismo, comincia però a sospettare l’arrivo di altre bolle, tracolli di Borse, corse a spazzature speculative specie in Asia e Sud America, e ripresa delle speculazioni, oro in testa. Società come la Anglo Gold Ashanti fanno… affari d’oro e persino qualche mercato azionario - vagante nel tunnel della crisi con comportamenti isterici - si illude per una imminente ripresa. Si tratta di operazioni alle quali le banche offrono volentieri liquidità: qualche rischio c’è, ma di fronte ad un settore produttivo che si riavvolge nella spirale di una crisi di fondo, l’auto-valorizzazione del capitale non abbandona le sue illusioni. Si diffonde il “carry trade”, cioè un indebitamento degli operatori col dollaro ad interesse quasi zero, e che investono nei paesi cosiddetti emergenti.
Intanto, negli Usa - nazione più ricca del mondo - ufficialmente 36 milioni di persone mangiano (pane e latte) grazie ai food-stamp, i buoni-pasto dell’assistenza pubblica, le carte di credito dei poveri: 130 dollari al mese dal Supplemental Nutrition Assistance Program. Un adulto ogni 8 abitanti (un bambino ogni 4) sopravvive se ha un “reddito” - l’ipocrisia borghese non ha limiti! - sotto i 22mila dollari annui per una famiglia di quattro persone. E ogni giorno alla lunga lista si aggiungono 20mila nuovi assistiti. Nella stessa vantata “middle class” (la cosiddetta classe media), i debiti e i pignoramenti fanno strage: una vera “onta sociale”….
«Mai visti così tanti cittadini affamati» - commenta il gestore del programma dei food-stamp di fronte ad altri 15 milioni in fila a reclamarli per rappezzare bilanci famigliari in dissesto. Molti sono i working poor, operai con salari così bassi da finire anch’essi sotto la soglia di povertà, ma esclusi dall’assistenza caritatevole del governo perché con un “reddito da lavoro”. Questo quando sono già più di 4 milioni i disoccupati ufficiali che dal dicembre 2007 hanno fatto salire il totale a 15,4 milioni, nonostante i 787 miliardi di dollari spesi pubblicamente a sostegno della “ripresa”! E sono quasi sei milioni i disoccupati da oltre sei mesi.
Pure nell’Eurozona siamo a livelli del 10,7%: metà dei 9,7 milioni di nuovi posti di lavoro creati tra 2005 e 2008 è già stata cancellata. Quanto al nostro Bel Paese, ci si barcamena fra conti in deficit e debiti da capogiro attorno alla solita finanziaria-scure che, strombazzando elemosine da acqua alla gola, si propone di allungare le mani sul Tfr non versato ai fondi di previdenza integrativa: un “prestito” forzato allo Stato di 3mila miliardi di euro da parte di quanti hanno versato il Tfr alle aziende e all’Inps. Il super-genio finanziario, Tremonti (ma come lui chiunque altro), taglia spese correnti ormai all’osso e accende candele allo scudo fiscale, sperando in “risorse aggiuntive” da dirottare in un Fondo della Presidenza del Consiglio per tappare qualche buco qua e là. Cosa non si farebbe per sovvenzionare e armare (con un impegno spesa di 1,3 miliardi) le nostre spedizioni di pace e soccorrere l’indebitamento, ufficiale, di circa un miliardo di euro, che costringe il ministero dell’Interno a non pagare neppure le spese per le pulizie!
Concludiamo ricordando il nostro vecchio e caro Marx, che già nel lontano 1857 irrideva ai “servili panegiristi” dei giornalisti che ritenevano chiusa per sempre l’epoca delle crisi capitalistiche e anche allora, affacciandosi nubi minacciose all’orizzonte, ne davano la colpa alla “fragilità umana” e alla “mancanza di moralità”. Oggi la filastrocca si ripete attorno ai periodi di espansione e contrazione del credito, spacciate come cause del tutto passeggere contro il normale funzionamento del capitalismo. Una volta di più, ci si arrampica sugli specchi pur di nascondere quella caduta del saggio di profitto che genera e accompagna il dissesto della produzione, sfociando in una sovrapproduzione di merci e poi di capitali: alle prime non sono concesse vendite remunerative e ai secondi adeguate valorizzazioni. Al vertice della crisi mondiale ecco gli Usa, il modello del massimo sviluppo capitalistico, imitato da Occidente ad Oriente: se dal 1941 al 1956 il saggio di profitto era del 28%, dal 1957 al 1980 è sceso al 20%; infine, dal 1981 al 2004, è ulteriormente calato al 14% (A. Kliman, The destruction of capital, gennaio 2009, su web). Questo, inoltre, con un utilizzo degli impianti industriali ridotto al di sotto dell’82%, e addirittura al 78% nel 2005. Meditate, gente, meditate.
DCBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #1
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