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Home ›Uno spettro si aggira per il mondo: la nazionalizzazione delle banche
Quando l’attuale crisi ha cominciato a mietere vittime nel settore più esposto, quello bancario-assicurativo, i vari governi hanno iniettato forti somme di danaro affinché i vari istituti di credito non crollassero. Il primo governo che ha attuato questa manovra è stato quello americano già con l’amministrazione Bush, creando un Maxi-fondo di 700 miliardi di dollari per comprare i “titoli-spazzatura” di cui erano pieni i bilanci di numerose banche. Altri paesi seguirono l’esempio americano, investendo cifre colossali, misurabili in percentuali di Pil, ma nonostante gli sforzi fatti gli istituti di credito continuano a barcollare. Qualche giorno fa si sono riuniti in un vertice straordinario i capi di governo europei per trovare il modo di disinnescare la bomba ad orologeria costituita dal sistema creditizio dei paesi dell’est, in cui buona parte delle banche europee sono fortemente esposte.
“Ad un certo grado dello sviluppo ... in un modo o nell’altro, con trust o senza trust, una cosa è certa: che il rappresentante ufficiale della società capitalistica, lo stato, deve alla fine assumerne la direzione.”
Così scriveva Engels nell’Anti-Duhring.
L’intervento dello stato in economia si manifesta in modo diverso nelle varie fasi dello sviluppo capitalistico. Già Marx affermava che senza il debito pubblico e le società per azioni, che del debito pubblico sono in ultima istanza figlie non avremmo mai avuto né la grande industria né il moderno imperialismo. Nella fase attuale della crisi, sull’onda dell’emergenza in cui l’intero sistema bancario rischia il default, lo spettro della nazionalizzazione delle banche, dopo anni di privatizzazioni torna ad aggirarsi per il mondo; naturalmente sotto forme, ma tutte caratterizzate dalla massiccia presenza dello stato nel loro patrimonio per la difesa salvaguardia un settore minacciato seriamente dall’anarchia del capitalismo stesso, ma di importanza strategica per il suo funzionamento e la sua conservazione.
Di fronte a tale emergenza il governo degli Stati Uniti ed il colosso bancario Citigroup si sono accordati per uno scambio fra azioni privilegiate e ordinarie, al termine del quale il Tesoro USA deterrà il 36% del capitale della banca, dopo aver proceduto opportunamente ad un rimpasto del consiglio direttivo della stessa. È molto verosimile che questo sarà il modello che farà da apripista per future nazionalizzazioni.
Il ministero delle finanze tedesco ha dichiarato che la Germania a sua volta punta a una maggioranza di oltre il 90% nell’istituto di credito Hypo Real Estate, per poterne così finanziare il salvataggio varando un progetto di legge che consente di nazionalizzare tutte le banche che dovessero rischiare di fallire. La Royal Bank of Scottland invece pur essendo già pubblica per il 70 % ha dovuto sospendere il pagamento delle cedole di titoli. Jean Claude Trichet presidente della Banca centrale europea, dopo una prima resistenza, invita i governi a “nazionalizzare le banche in crisi, nel quadro di condivisione degli oneri”; anche Tremonti nonostante il suo iper ottimismo si è accorto che la situazione è allarmante, proponendo per ora timidamente la creazione di una “bad bank”, con fondi pubblici, in cui far affluire i titoli tossici attualmente in possesso delle banche in crisi, e questo la dice lunga sul fatto che economisti e politici in questo quadro allarmante non sanno che pesci prendere. In un articolo apparso sulla nostra rivista Prometeo del Novembre 1991 si evidenziava come l’intervento dello stato nella gestione delle imprese in crisi, toccava il suo apice nel periodo della grande depressione; gli interventi di salvataggio consentivano di socializzare le perdite. Cambiano i tempi ma le risposte che il sistema propone alle crisi non cambiano di molto. E in una fase di massima centralizzazione dei capitali, come quella attuale, l’intervento dello stato è ancora più determinante. Ammesso che sia mai esistito un regime di laissez-faire allo stato puro, esso appartiene inesorabilmente al passato. Il crollo di un grosso istituto di credito come la Lehman Brother , vera icona di Wall Street; la consegna della Merril Linch alla Bank of America e la trasformazione della Sachs e della Stanley in banche ordinarie da merchant and investment bankers, ne sono la conferma. Ma se gli stati ed i governi nazionalizzano le banche per il timore che possa crollare l’intero sistema, cosa accadrà quando saranno interi settori produttivi come quello automobilistico a trovarsi nella medesima situazione? Indubbiamente stiamo vivendo una fase storica straordinaria, che come abbiamo più volte sottolineato, vedrà ridisegnato uno scenario mondiale assolutamente inedito nella storia del moderno capitalismo. Non solo aziende e banche, ma interi stati rischiano il default, per adesso a forte rischio è l’Ucraina, e altri paesi dell’est Europa, ma a seguire potrebbero esservi anche stati capitalisticamente più avanzati. Da qui l’urgenza sempre più impellente di ricostruire l’opposizione di classe che dia una risposta di classe alla crisi del capitalismo.
gfBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #3
Marzo-aprile 2009
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