La ricostruzione umanitaria dopo l'operazione piombo fuso

Sui sistematici massacri di Gaza è sceso il silenzio mediatico. Sepolti migliaia di morti (numerose donne, bambini e anziani), con una moltitudine di feriti (alcuni mutilati per sempre, se sopravviveranno), entrambe le parti si dichiarano cinicamente soddisfatte dei risultati ottenuti. I danni materiali provocati da 22 giorni di bombardamenti si calcolano in mezzo miliardo di dollari (Ufficio di Statistica palestinese). La striscia di Gaza si presenta sconvolta dalle terrificanti distruzioni di almeno 4000 case e dal danneggiamento di altre 34000; più di 25000 le famiglie senza un tetto; parzialmente distrutto tutto ciò che si poteva colpire. Nella tregua "provvisoria" c'è spazio per gli affari della ricostruzione, per creare "migliaia di posti lavoro" strappando profitti dalla forza-lavoro dei proletari palestinesi, arabi e israeliani, debitamente sfruttati per rimettere in piedi quanto si è avuto cura e attenzione nel distruggere. Il vampiro capitalista è pronto a succhiare altre razioni di sangue ricostruendo infrastrutture pubbliche, strade, acquedotti, fognature, ponti, gas, elettricità, telefoni. Al Fatah e Abu Mazen preparano progetti per l'impiego dei finanziamenti in arrivo; un budget di circa 4.500 miliardi di dollari (100 miliardi in 4 anni promessi da Berlusconi) provenienti dagli organismi finanziari dei Paesi europei, dagli Usa, da Israele e dall'Egitto (recente Conferenza internazionale di Sharm el Sheikh). Quanto basta perché anche Hamas riprenda il "dialogo" con le altre fazioni palestinesi, e pur di mettere mano sulla "gestione" del bottino - alla faccia dei martiri di Allah - si dichiara disposto a trattare per un governo di unità nazionale.

Il fondamentalismo religioso da sfogo a tutta la sua irrazionalità mentre l'autocratismo politico che sostiene il dominio del capitale nazionale e internazionale completa la tirannia di classi dirigenti che sfruttano le masse palestinesi e non risparmiano quelle israeliane. E se nel proletariato d'Israele ancora tarda a manifestarsi apertamente una reazione di classe, quello palestinese viene coinvolto in una sorda lotta tra le milizie di contrapposte fazioni della stessa borghesia. A manovrare i massacri che da decenni coinvolgono civili inermi, sono forze economiche e politiche dichiaratamente legate le une agli interessi imperialistici americani, le altre al seguito di bandiere che esaltano un progetto teocratico con una visionaria e plagiante propaganda che arriva fino all'esaltazione ascetica del martirio. Ed a quanti - compresi i gruppi della cosiddetta "sinistra"... rivoluzionaria - simpatizzano e tifano per gli Hamas e gli Hezbollah, condottieri della Jihad, consigliamo la lettura dello Statuto del Movimento di Resistenza Islamico, agitato proprio da Hamas e, dietro di lui, dai Fratelli musulmani: il Corano come loro unica costituzione valida, inneggiando al Allah, signore e padrone, votandosi alla morte (quella degli altri!) come "il più dolce dei suoi desideri"... Avanti, quindi, per il trionfo dell'Islam con la guerra santa, distruggendo i "veri nemici del genere umano" identificati nei proletari ebrei e non nei macellai di una classe borghese che spadroneggia tanto da una parte che dall'altra. Con Allah o con Jahvè, la musica non cambia.

Se dalla tragica condizione materiale passiamo a quella politica dei proletari arabi, all’interno dell'area musulmana attualmente al centro delle attenzioni dell’imperialismo e dei progetti del... "sultanato" mediorientale, constatiamo ancora una volta il dominio assoluto - economico, ideologico e politico - delle forze borghesi, sia in veste laica (falsa) o teocratica (vera). Un controllo dalle forme e dai contenuti repressivi e reazionari, un vero e proprio tallone di ferro, che incanala la disperazione delle masse proletarie verso il più bieco integralismo religioso, nelle maglie delle strategie portate avanti dalla borghesia araba. E a giustificazione delle imperanti necessità di quest'ultime, si continua ad invocare di volta in volta il solito abusato nazionalismo ammantato da lotta antimperialista, distinguendo tra un capitalismo buono e uno cattivo, tra uno che attacca e uno che avrebbe diritto di difendersi. All’interno di questo schema obbligato, chi spinge le masse a dissanguarsi per la "lotta di liberazione nazionale" mai si pone il problema della lotta di classe e della emancipazione proletaria dalle catene del capitale, più o meno "avanzato". E ben si guarda dal dichiarare che la lotta all'imperialismo - il quale non è una politica del capitalismo bensì la sua fase ultima di sviluppo - è per noi comunisti indubitabile, sì, ma non per gli interessi della propria borghesia che va sempre e comunque combattuta. Né il percorso che porta ad imboccare la ripresa della lotta di classe potrà mai avere come scenario favorevole l’appoggio tattico a qualsivoglia fazione borghese, conservatrice per necessità, reazionaria quando la situazione lo impone e sempre anti proletaria. Se è vero che solo la lotta di classe può essere l’antitesi al nazionalismo borghese e alle barbarie delle guerre imperialiste, è anche vero che la lotta di classe - se non si pone l'obiettivo di spezzare il circolo vizioso delle contraddizioni capitalistiche, vera causa del terrorismo che in tutte le sue forme imperversa da Occidente ad Oriente - sarà impotente e costretta a subire non solo miserie e sofferenze ma sempre più bestiali carneficine.

dc

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.