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Home ›Il papa critico di Marx, la rivoluzione culturale di Lenin e noi
Continua dal numero precedente: leftcom.org .
Non è necessaria una indifferente certa base materiale, è necessaria una certa base materiale in transizione al socialismo. Di fatto la rivoluzione culturale era impraticabile e quanto scritto fra parentesi ne è l’evidenza palmare. Era lo slancio sovrastrutturale che avrebbe dovuto sopperire alle mancanze della struttura, era il drammatico tramonto della prima rivoluzione proletaria. Fiorirono le purghe culturali e non solo. Finché durò l’URSS l’antagonismo ideologico collimò perfettamente con quello imperialistico, dopo arrivò il contrasto al pensiero unico del capitalismo vincente, in attesa di un nuovo imperialismo antagonista. Sia prima che dopo tutto era ed è racchiuso all’interno dello stesso sistema economico-sociale. Sia prima che dopo per noi è esistito ed esiste solo un pensiero dominante, perché la lotta di classe non conosce che l’ideologia della classe dominante. In tutto questo tempo, in occidente, il ‘comunismo’ si è ridotti a democrazia borghese, mentre la riforma sociale ha aderito alle esigenze del capitale tanto da essere definita controriforma. I lavoratori occidentali hanno ceduto alle lusinghe delle merci nell’illusione dominante di poter raggiungere la quiete del piccolo borghese nelle quattro pareti di un appartamento di proprietà. Contraddizione potente in un sistema irrazionale, per sua natura percorso da periodiche crisi e da rivoluzioni delle tecniche produttive che richiedendo più lavoro morto che lavoro vivo precipitando il capitalismo in più profonde crisi.
Crisi che scuotono le gracili gambe della quiete proletaria. A questo si è sommata la fine di un’illusione con tanto di delusione e rifugio nell’utopia possibile: l’esistente. Da ciò e dallo smarrimento di classe si è però arrivati ad un punto: i lavoratori devono cominciare ad imparare a partire da se stessi, dalla loro condizione di lavoratori, una volta si sarebbe detto proletari. Questo punto dev’essere supportato teoricamente non perché la crisi economica sta erodendo i diritti conquistati, le condizioni sociali ed i salari spingendoli alla soglia della povertà.
Nella società capitalista la povertà non è condizione sociale, è condizione sociale quella di lavoratore e questa condizione può diventare povertà. Ed occorre far ballare la democrazia borghese sui suoi propri punti: l’uguaglianza di fronte alla legge, l’uguaglianza politica, le libertà. Queste meraviglie mettono in evidenza che la differenza economica è il fondamento della disuguaglianza sociale, non essendoci nella società capitalista, a differenza di quelle precapitalistiche, forme di dominio extra-economiche ad esempio di carattere giuridico. Poiché si gode tutti degli stessi diritti e si è liberi, la disuguaglianza sociale è di carattere economico: tra chi detiene i mezzi di produzione e chi, sprovvisto di essi, non può che vendere la propria forza-lavoro.
Proprio lo Stato liberal-democratico o social-democratico sono la condizione dello sfruttamento dei lavoratori salariati perché in essi si è tutti liberi ed i rapporti sono determinati da contratti. Ciò significa che l’uguaglianza di diritti e le libertà sono le condizioni formali per lo sviluppo dei meccanismi di sfruttamento del capitalismo, quindi lo sfruttamento esiste proprio in virtù di quelle uguaglianze e delle libertà.
Così pose la questione Marx parlando delle condizioni più favorevoli per i lavoratori:
“ma come il vestiario, l’alimentazione, il trattamento migliori e un maggior peculio non aboliscono il rapporto di dipendenza e lo sfruttamento dello schiavo, così non aboliscono quello del salariato.” (5)
Cioè che è la dipendenza, dovuta ad una condizione sociale, che lega i lavoratori allo sfruttamento del capitale e non la loro povertà.
Quel processo storico che abbiamo velocemente tratteggiato ha attraversato ed attraversa anche noi, lacerandoci, indebolendoci, ma allo stesso tempo richiedendoci uno sforzo di analisi per decifrare le forme assunte dal capitalismo, le tendenze in atto dello stesso e gli effetti sui lavoratori, ma soprattutto la capacità di riproporre la validità del marxismo. A tal proposito ci si attaglia la critica fatta da Marx a Weitling:
“è un inganno sobillare il popolo senza offrirgli nessun fondamento solido e meditato; rivolgersi agli operai senza possedere idee rigorosamente scientifiche e teoria concreta significa giocare in modo vuoto e incosciente con la propaganda. In un paese civilizzato non si può realizzare nulla senza teorie ben solide e concrete; e finora, infatti, nulla è stato realizzato se non fracasso ed esplosioni improvvise e dannose, se non iniziative che condurranno alla completa rovina la causa per la quale ci battiamo. L’ignoranza non ha mai giovato a nessuno.” (6)
AtsFine
(5) K. Marx, ‘Il Capitale’, vol. I, cap. 23, pag. 677, Ed Riuniti.
(6) Testimonianza del 1880 di P. Annenkov, riferita a una lettera di K. Marx del 1846, in ‘Colloqui con Marx e Engels’, a cura di H.M. Enzensberger, Einaudi 1977.
Battaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #3
Marzo-aprile 2009
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