Catene sempre più pesanti: la soppressione del diritto di sciopero

A quando la camera dei fasci e delle corporazioni?

Il 27 febbraio, è stato approvato dal consiglio dei ministri, all’unanimità, il disegno di legge Sacconi, che segna un ulteriore e violento attacco alla possibilità di fare scioperi e lotte anche minimamente incisive da parte dei lavoratori. Il provvedimento approvato è per ora limitato al settore dei trasporti pubblici e i punti messi maggiormente in evidenza sono i seguenti.

Rappresentanza. Solo i sindacati che assieme “rappresentino” oltre il 50% dei lavoratori potranno indire uno sciopero. In caso contrario, servirà invece un referendum preventivo nel quale sarà necessario ottenere almeno il 30% dei consensi.

Dichiarazione preventiva di adesione. Il singolo lavoratore dovrà annunciare in precedenza l’adesione allo sciopero. Oltre ad esporsi a minacce e ritorsioni, come è facile immaginare, il lavoratore vedrà anche la sua lotta completamente svuotata, dato che il padrone potrà riorganizzare compiti, turni e ritmi per adattarsi alle assenze.

Sciopero virtuale. Sarà obbligatorio per alcune categorie professionali. Durante queste “proteste virtuali”, sempre indette dai sindacati, il lavoratore lavora ma non viene retribuito, mentre per l'azienda è prevista una indefinita sanzione economica, su cui dovrà essere raggiunto un accordo. Insomma, il servizio non sarà interrotto e le sanzioni - per l'azienda - saranno lievi, per cui più che “sciopero virtuale”, si tratterebbe di una pratica puramente masochista dei lavoratori, che perderebbero il salario in cambio di niente.

La posizione della Cgil, secondo i media, sarebbe “molto critica”. Ma in realtà Epifani ha dichiarato che:

“In materia di libertà del diritto di sciopero costituzionalmente garantito bisogna procedere con molta attenzione. Se c'è qualcosa da aggiustare rispetto a una normativa già rigida eventualmente lo si può vedere. Ma se si vogliono introdurre forzature che limitano poteri e prerogative è altra questione.”

Innanzitutto, la Cgil reclama un posto al tavolo delle trattative, per decidere assieme al governo come implementare questo ulteriore giro di vite, senza metterne in discussione la logica. In soldoni, il messaggio è di prestare attenzione, perché privare ulteriormente i sindacati della possibilità di mobilitare i lavoratori (sempre a fini di “pompieraggio”, ossia di deviazione delle lotte sul binario morto delle compatibilità del sistema), farebbe perdere loro presa sulla classe. Se viene impedita ogni lotta minimamente incisiva, allora i lavoratori che si ponessero sul piano della lotta finirebbero immediatamente fuori dall’alveo sindacale, con tutti i rischi del caso per la stabilità del sistema. A parte le probabili preoccupazioni per la difficile gestione di questo decadente sistema, di cui ormai il sindacato costituisce un ingranaggio fondamentale, naturalmente gioca un ruolo in questa blanda e marginale opposizione anche la convenienza politica di opporsi ad un governo della fazione avversa. In realtà il provvedimento si pone perfettamente nel tracciato delle iniziative dei governi precedenti (di sinistra o destra che fossero).

Ma oltre a quegli aspetti, sono state introdotte ulteriori norme che andranno ad intaccare notevolmente le possibilità per i lavoratori di muoversi autonomamente dalle strutture sindacali, e quindi portare avanti lotte che diano davvero fastidio ai padroni.

Prima di tutto le sanzioni. Saranno riviste le sanzioni per chi infrange le regole, per arrivare fino a 5 mila euro di multa a lavoratore.

Poi i blocchi stradali e dei trasporti. Inasprimento della normativa contro le azioni di blocco stradale, ferroviario e dei trasporti pubblici. Questo aspetto è particolarmente grave, in quanto va a toccare uno degli strumenti che si sono dimostrati più efficaci per le lotte operaie negli ultimi anni: si pensi al caso eclatante dell’Argentina, ma anche alle tante lotte di minori dimensioni che hanno avuto forza solo grazie al blocco di qualche importante arteria stradale. Negli ultimi giorni è avvenuto sia per la lotta dei lavoratori Alitalia, che per gli operai Fiat di Pomigliano, su cui peraltro si sono abbattute subito le manganellate dalle forze dell'ordine borghese.

Il disegno di legge è quindi un gravissimo attacco alla classe operaia e al lavoro dipendente in generale. In un primo momento colpirà in particolare il settore dei trasporti, ma in realtà questo è un pericolosissimo cavallo di Troia. La presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, esprimendo prevedibile soddisfazione, ha dichiarato di non escludere la possibilità che i principi del provvedimento siano allargabili ad altri settori.

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Infatti, la crisi economica aumenta l'aggressività del capitale, tanto da mettere in campo una serie di misure volte a prevenire, a impedire prima ancora che si manifestino, eventuali episodi di lotta di classe, soprattutto se “selvaggi”, cioè fuori e contro le collaborazioniste e blande iniziative sindacali. Se la normativa anti-sciopero ora in vigore nei servizi pubblici ha già caratteristiche fascistoidi, il disegno di legge del governo è di stampo apertamente fascista, di un fascismo preventivo.

Spetta al mondo del lavoro salariato/dipendente rispondere con la lotta di classe aperta - con scioperi non addomesticati, che vadano oltre le false divisioni di categoria, senza preavviso, senza limiti di tempo e di spazio, ecc. - a questa guerra “termonucleare” scatenata dalla borghesia (con l'appoggio dei suoi manutengoli sindacal-governativi) contro tutto il proletariato. Spetta agli elementi più coscienti, più combattivi, più sensibili della classe rafforzare, irrobustire l'avanguardia rivoluzionaria, strumento indispensabile per unificare e orientare politicamente i vari momenti di lotta verso il superamento della barbarie capitalista.

2009-03-01

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.