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Home ›Il pogrom contro i rom a Ponticelli
Coltellate, pestaggi e sassaiole hanno solo aperto il pogrom. Le molotov hanno fatto il resto, dando alle fiamme le baracche dei campi dove i Rom vivevano, tra raccordi dell’autostrada, rifiuti a marcire e scheletri delle industrie dismesse. Siamo a Ponticelli, periferia orientale di Napoli, una delle zone più degradate della Campania. Il 10 maggio divampa il fuoco: una sedicenne rom è arrestata per tentato rapimento di una bambina italiana di 6 mesi. I Rom si sono allontanati dal quartiere, mettendosi al riparo dalla violenza esplosa irrefrenabile. I campi sono stati devastati - e saccheggiati - per evitare che qualcuno vi tornasse.
Lascia sconcertati il casus belli, una leggenda metropolitana che affonda le radici in stereotipi antichi.
Nell’Ottocento a rubare i bambini erano gli Ebrei, oggi i Rom. Eppure basta consultare gli archivi dei casi giudiziari, nessun Rom è mai stato condannato per rapimento di minore. Il sequestro dei bambini è un fantasma popolare vecchio di duemila anni, anche se il diverso da demonizzare cambia col tempo. Fino al Trecento a popolare analoghe leggende romane erano i cristiani. Furono poi i cristiani a rovesciare la leggenda sugli Ebrei, e ancora i cattolici contro eretici, Rom, donne in odore di “stregoneria”.
È una leggenda tornata prepotentemente con alcuni casi di cronaca negli anni Novanta, che attualizza variamente la vecchia storiella della zingara che al mercato fa sparire i bambini sotto la gonna. Come diceva Einstein “è più facile disintegrare un atomo che un luogo comune”: così si è potuto fare leva su questa dubbia vicenda di cronaca per generalizzare la criminalizzazione dell’eterno capro espiatorio, dietro cui confondere i problemi reali dei lavoratori. La destra ha avuto campo spianato per il decreto sicurezza, che prepara una nuova stagione di violenza statale, con particolare forza contro Rom e immigrati senza documenti. La discriminante razziale all’interno della legge italiana, mai scomparsa nella Repubblica post-fascista e formalizzata già duramente dalla Turco-Napolitano, si dispiega ora al pieno della brutalità. “Via gli accampamenti Rom da Ponticelli!”, fa eco il PD dai suoi manifesti.
Il senso della parola pogrom è in questo legame tra la violenza razzista emersa dall’emarginazione sociale, la politica della borghesia che la fomenta e l’azione dello Stato che l’accompagna. La crisi strutturale del capitalismo cancella i margini delle politiche riformiste: l’assistenza ai settori emarginati, il sostegno per casa, lavoro e sanità vedono rarefare le proprie possibilità di esistenza.
Rinfocolare e intensificare gli attacchi contro i capri espiatori mentre si continuano ad attaccare le condizioni di vita e di lavoro di tutto il proletariato è un copione da manuale.
Allo stesso tempo si peggiora ulteriormente la situazione dei “clandestini”, manodopera da tenere docile e a prezzi stracciati, colpendo insieme tutta la classe sempre più divisa e indebolita. L’attacco contro i Rom in quanto categoria etnica è evidentemente pretestuoso, essendo in maggioranza di cittadinanza italiana, proletari che lavorano ordinariamente e non abitano nei campi. Riaccendendo tutti gli stereotipi sui Rom e i Sinti si sfrutta una diffusa rappresentazione, irrealistica ma radicata e funzionale: quest’attacco trova così un ampio consenso, che permette il varo indisturbato di norme che verranno poi usate contro tutti. Il processo di demonizzazione dei Rom è evidente e non limitabile a quest’ultimo periodo. Basta aprire gli occhi sulla loro ostinata raffigurazione come nomadi che rifiutano il concetto stesso del lavoro e che vivono per subcultura di espedienti e furti.
In realtà il nomadismo riguarda appena il 15% degli zingari. La situazione di indicibile emarginazione che vivono negli ultimi decenni è da inserire interamente nella contabilità del capitalismo. I lavori tradizionali dei Rom, legati all’artigianato e alle arti di strada, sono stati travolti dall’industrializzazione fino a scomparire. La distanza delle comunità rom dal resto della società nasce come portato della continua dinamica di espulsioni, persecuzioni e sedentarizzazione forzata che subiscono a partire dal Sei-Settecento. Come accade ancora oggi agli immigrati clandestini, nell’emarginazione coatta si tende a coltivare un’identità comunitaria radicale e artificiosa. La dissoluzione dell’economia tradizionale ha spinto nel secondo dopoguerra molte comunità rom a spostarsi alle periferie delle grandi città, formando enormi baraccopoli e vivendo ai margini della società capitalistica.
Grazie alle leggi razziste contro gli immigrati, i Rom apolidi o di origine extracomunitaria non avranno nessun modo di uscire dall’esclusione sociale attuale. La miseria e l’emarginazione che devono vivere i Rom ha veicolato un generale peggioramento delle proprie condizioni di vita, in particolare per donne e bambini che, per la prima volta nella storia di questo popolo, diventano un fattore di sostentamento per la tribù, costretti all’accattonaggio, a piccoli furti o a vendere fiori ai semafori. È questo il mostro contro cui sputa la borghesia, il tragico frutto della sua società infame.
mlBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #6
Giugno 2008
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