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Egitto
L’imponente lotta che il proletariato egiziano sta portando avanti dimostra ancora una volta quanto le condizioni di vita dei lavoratori siano sempre più insostenibili.
La situazione in Egitto è stata aggravata dalla politica di privatizzazione del pubblico impiego e ha rivelato, una volta ancora, come le organizzazioni sindacali siano apertamente dalla parte dei padroni.
La lotta ha avuto una svolta il 25 settembre scorso a Mahalla al-Kubra, quando migliaia di operai tessili hanno deciso di non sopportare più le false promesse fatte per mesi dai dirigenti.
La vertenza era infatti iniziata nel dicembre dello scorso anno quando i lavoratori, spinti dall’aumento dell’inflazione (stimata attorno al 12%), avevano iniziato a lottare per ottenere un cospicuo aumento salariale. Il casus belli è stato la questione degl’indennizzi annuali che spettano ai dipendenti pubblici e che equivalgono a circa due mesi di stipendio. La lotta è infatti nata dagli operai delle aziende tessili statali, probabilmente uno degli strati più tutelati del proletariato egiziano ma, riguardando la comune condizione di vita di tutti i lavoratori, si è presto estesa agli operai dei cementifici (gestiti per altro in parte dall’italiana Italcementi), degli allevamenti, ai minatori e subito dopo agli impiegati dei trasporti urbani, ferrovie e sanità e ai netturbini del Cairo.
La fabbrica di proprietà statale da cui è partita la lotta è uno dei più grandi impianti tessili del Medio Oriente; gli operai richiedono il licenziamento dei dirigenti e soprattutto delle rappresentanze sindacali, accusate di non difendere i loro interessi.
Da dicembre si susseguono dunque scioperi e proteste, a cui hanno sempre partecipato migliaia di operai; ma ora i lavoratori riuniti in sit-in davanti allo stabilimento sono più di 27 mila. Nonostante le “leggi di emergenza”, che reprimono duramente le manifestazioni pubbliche, siano in vigore da più di vent’anni, gli operai tessili si sono comunque decisi a lottare per difendere i propri interessi economici.
Due fenomeni sono estremamente positivi: la grossa partecipazione delle lavoratrici alla lotta (almeno un terzo degli scioperanti) e la nascita di diverse organizzazioni di lavoratori sganciate dal sindacalismo ufficiale.
Da questa lotta si sono sviluppate naturalmente nuove organizzazioni di lotta dei lavoratori ed è cresciuto un forte odio contro i sindacati ufficiali e contro il governo.
Ora molti richiedono che siano legalizzati questi nuovi “sindacati”, ma occorre fare molta attenzione. È infatti giusto lottare contro la persecuzione dello Stato, ma l’uscita dalla condizione di illegalità non deve essere subordinata alla rinuncia alla difesa degli interessi dei lavoratori e non deve riproporre le logiche sindacali che stanno strozzando il proletariato in tutto il mondo.
Dopo una settimana di occupazione degli stabilimenti, dopo che le lotta è stata appoggiata da tanti altri strati del proletariato, gli operai della Misr Spinning and Weaving Company di Mahalla hanno ottenuto un aumento salariale del 40% e premi di produzione.
USA
Alla General Motors è stato indetto il 24 settembre il primo sciopero nazionale negli USA dal 1970. Allora, ancora contro la G.M., durò due mesi.
L’ultimo sciopero della UAW (United Automobile Workers) contro G.M. riguardò due stabilimenti del Flint, Michigan, nel 1998, e andò avanti per sette settimane. Ora oltre 73 mila persone sono scese in sciopero in tutti gli Stati Uniti; le proteste riguardano soprattutto la sicurezza del posto di lavoro e un aumento del salario, ma ci sono altri importanti punti, primo tra tutti quello riguardante le spese sanitarie che l’azienda deve sostenere.
Il sindacato ha proposto la creazione di un fondo per la copertura sanitaria (chiamato Voluntary Employees Beneficiary Association, VEBA), ma inizialmente erano forti le divisioni sull’entità del contributo delle aziende nel fondo.
La trattativa alla GM avrebbe dovuto, su questo punto, far da modello anche per le vertenze in altri due colossi dell’auto, la Ford e la Chrysler. Evidentemente i sindacati sono stati spinti dalla rabbia dei lavoratori ad impugnare l’arma dello sciopero, in quanto il leader della UAW ha dichiarato che non avrebbe voluto arrivare a questo punto, siccome “da uno sciopero nessuno ne esce vincitore” e che la dirigenza sindacale stava cercando di trovare un accordo più pacifico.
I lavoratori hanno comunque fatto picchetti e cortei nelle strade delle città per due giorni, fino a quando il sindacato ha trovato un accordo con la Gm. Sebbene non si conoscano ancora i dettagli, l’accordo raggiunto dalle contro-parti comprende la ristrutturazione dei piani pensionistici dei lavoratori, il sindacato gestirà infatti un fondo per l’assistenza sanitaria per i lavoratori dell’azienda in pensione (calcolati in 460 mila ex-dipendenti) e le loro famiglie, con un costo complessivo di circa 50 milioni di dollari.
Sul problema della sicurezza del posto di lavoro, messa in crisi soprattutto dallo spostamento della produzione in paesi dove il costo del lavoro è più basso, come la Cina o il Messico, i sindacati non hanno trovato un vero accordo, ma la GM ha fatto le solite inutili promesse sull’assunzione indeterminata delle migliaia di operai part-time.
juBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #10
Ottobre 2007
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