In Libano si accende la campagna elettorale

A poco più di un anno dall’invasione israeliana si organizzano in Libano le elezioni presidenziali. La data era fissata per il 25 settembre ma le intricate vicende interne e le pressioni internazionali l’hanno fatta slittare in avanti. L’elettorato libanese è chiamato ad eleggere il sostituto di Emile Lahoud, cristiano maronita come tutti i presidenti che lo hanno preceduto, come da dettato costituzionale. Già questo fatto la dice lunga sulla discrezionalità elettiva dei libanesi.

I cristiano maroniti sono al potere da sempre, da quando il Libano è uscito dall’amministrazione del protettorato francese nell’ormai lontano 1943. I cristiano maroniti sono i rappresentanti di quella borghesia nazionale che opera nel settore bancario e in quello commerciale. Sono presenti nei settori alti del terziario avanzato e anche in quelle poche attività economico-produttive che si sviluppano principalmente nei settori farmaceutico e manifatturiero.

Normale che abbiano preteso e ottenuto, con l’uso della forza quando è stato necessario, che al loro dominio economico corrispondesse, per costituzione, anche quello politico. Alle altre frange della borghesia, come quelle sunnita, sciita e drusa sono rimaste le briciole, ai proletari nemmeno quelle, hanno solo il diritto di votare per quale cristiano maronita dovrà assumere il controllo politico del paese. In un simile scenario, di solito, la maggioranza e l’opposizione si confrontano solo sulla figura del candidato, rimanendo all’interno dei rispettivi campi politici di appartenenza. Come per i vent’anni della guerra civile dove la consistente frangia della borghesia cristiano maronita era compatta, arroccata sulla difesa dei propri interessi economici e dei privilegi politici, e quella musulmana (sunniti, sciiti e drusi) altrettanto coesa, alla ricerca di spazi vitali da sottrarre ai maroniti.

In questo caso però le cose si sono complicate. La maggioranza cristiano maronita può usufruire dell’appoggio del sunnita Saad Hariri, del druso Walid Jumblat oltre che dall’arrogante quanto scontata presenza dell’ala destra falangista (Forze libanesi) di Samir Gea Gea. L’opposizione guidata dal partito sciita moderato di Nabih Berri e dai meno moderati Hezbollah, comprende anche il partito cristiano del Liberi patrioti di Mihel Aoun. La maggioranza pretende che il candidato venga scelto all’interno del suo schieramento, l’opposizione risponde proponendo la candidatura dell’alleato Aoun. Lo scontro prosegue sulle procedure di votazione, se a maggioranza semplice o a maggioranza qualificata, se i due tipi di maggioranza devono valere al primo o al secondo scrutinio e via di questo passo come in un qualsiasi stato borghese di questo mondo, dove le leggi elettorali si fanno o si cambiano a seconda delle proiezioni statistiche, dei rapporti di forza e degli interessi delle fazioni borghesi più consistenti.

Ma il fattore determinante che ha rimescolato le logiche degli schieramenti e messo in fibrillazione le varie frange della borghesia libanese sino al punto di spingerle sull’orlo di una nuova guerra civile, che per il momento è latente ma che potrebbe esplodere da un momento all’altro, è rappresentato dalla presenza congiunta dei mini imperialismi d’area indissolubilmente legati agli interessi strategici dei maxi imperialismi il cui raggio d’azione è a 360 gradi nello scenario internazionale. Sulle elezioni libanesi si sta giocando una partita che va ben al di là delle piccole vicende domestiche. Nella terra dei cedri, la posta in palio è gestita in primo luogo dalla Siria e da Israele che vedono nel Libano una vittima da sacrificare sull’altare dei propri interessi economici e strategici. Essi operano di conseguenza, scelgono i rispettivi alleati politici, li finanziano e li armano sconvolgendo il tradizionale assetto del quadro borghese nazionale.

Le due fazioni borghesi libanesi si dividono sullo spartiacque dei pro siriani e dei pro israeliani, rendendo palese la loro dipendenza dai due mini imperialismi quale condizione per la loro sopravvivenza politica con, in questo specifico caso, l’eventuale successo elettorale. Ma siamo solo all’inizio del grande gioco. Dietro la Siria e Israele ci sono le grandi ombre dei due maggiori imperialismi che si confrontano nell’area, la Russia e gli Usa. In questa circostanza la posta in palio è molto più alta. Nel processo di ricomposizione imperialistica, il controllo delle fonti energetiche, delle vie di trasporto e di commercializzazione, le rendite petrolifere normali e quelle parassitarie, il ruolo sempre più debole del dollaro sullo scenario monetario internazionale, fanno del Medio Oriente il territorio strategico per eccellenza.

Al centro degli interessi delle due super potenze imperialistiche c’è l’Iran con la sua enorme valenza, sia per ciò che concerne le riserve petrolifere, sia per la sua volontà di quotare e vendere il petrolio in euro e non più soltanto in dollari, sia per la sua posizione geografica che la colloca al centro dei crocevia delle varie pilelines che, da nord a sud (Kazakistan-Oceano Indiano) e da ovest ad est (Russia-Kazakistan-Cina) potrebbero, se portate a compimento, tagliare fuori gli Usa dal controllo dell’area, ridimensionare il ruolo del dollaro con tutto ciò che ne comporterebbe sugli equilibri imperialistici asiatici e non solo. Siria e Israele sono le pedine di movimento di Russia e degli Usa, l’Iran è a tutti gli effetti all’interno dell’orbita di Putin e alleato della Cina e il Libano, suo malgrado, rientra a pieno titolo nel gioco delle parti. Le sue fazioni borghesi sono state per tempo cooptate, i suoi partiti di riferimento svolgono il ruolo loro assegnato in vista delle elezioni quale momento topico dello scontro inter-imperialistico che tutto coinvolge.

Questo per le fazioni borghesi, e per il proletariato libanese quale destino si prepara? Quello che il quadro interno ed internazionale vogliono. A parte l’inconsistenza della vicenda elettorale: che i proletari libanesi votino per gli Hezbollah piuttosto che per Hariri, che sostengano la coalizione pro Siria-Iran-Russia o quella Usa-Israele, nulla cambia se non la frangia della borghesia nazionale a cui immolarsi e il relativo schieramento imperialistico di riferimento. O il proletariato libanese, al pari di quello siriano, palestinese, come quello di tutto il Medio Oriente, iniziano con le loro avanguardie politiche rivoluzionarie, ad imboccare l’autonoma strada della lotta di classe, oppure sulle loro teste non si abbatteranno soltanto le conseguenze delle truccate elezioni ma anche i pesanti fardelli delle guerre civili, delle guerre imperialiste, con il loro contorno di fame, morte e barbarie.

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Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.