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Home ›Capitale fittizio e miseria proletaria
A pagare le conseguenze delle crisi sono sempre i lavoratori
La crisi finanziaria dello scorso mese di agosto che ha scosso i mercati di tutto il mondo ha lasciato sul terreno inevitabilmente delle vittime. Milioni di piccoli risparmiatori che avevano investito i pochi soldi posseduti in fondi finanziari che speculavano sui mutui subprime sono rimasti con il classico cerino in mano.
Piccoli ma importanti risparmi di una vita bruciati dal crollo delle borse e dal fallimento di molti fondi particolarmente esposti nella speculazione sulle obbligazioni legate all’andamento dei mutui statunitensi.
Ci sono poi quasi due milioni di statunitensi che hanno perso la propria casa, ovviamente ipotecata fino all’estinzione del mutuo stesso, perché non sono più in grado di pagare le rate del mutuo.
Proletari che non riescono a pagare le rate perché rese particolarmente esose dall’aumento dei tassi di interesse o semplicemente perché sono andati ad infoltire le file dei disoccupati. Secondo gli ultimi dati diffusi lo scorso mese di settembre dal ministero del lavoro statunitense il numero dei disoccupati è cresciuto più di quanto le più negative aspettative avessero previsto.
Tale dato ha innescato un’altra pesante caduta di tutti gli indici delle principali piazze borsistiche internazionali. A subire gli effetti nefasti di tale crollo finanziario sono anche quei lavoratori che sono stati costretti a legare le sorti delle loro pensioni all’andamento dei mercati.
Il rischio che corrono questi lavoratori è quello di non percepire la pensione a causa del fallimento delle società finanziarie che gestiscono i fondi pensionistici. Enron docet.
Ma questi sono solo gli effetti specifici ed immediati di questa particolare crisi finanziaria, che confermano ancora una volta come in ultima analisi a pagare le conseguenza dei crolli delle borse sia sempre il proletariato internazionale, che subisce in tali circostanze un repentino peggioramento nelle proprie condizioni di vita e di lavoro. La crescita spaventosa della produzione di capitale fittizio ha determinato su scala internazionale che il proletariato per sostenere il peso dei processi di valorizzazione di tali capitali, che ricordiamo non hanno alcun legame diretto con il mondo della produzione, è costretto a subire continui tagli ai salari e a lavorare a ritmi sempre più intensi.
Tale massa di capitale fittizio pur non essendo direttamente investito in attività produttive si arroga il diritto di valorizzarsi.
Ora dato che la valorizzazione del capitale non è un’opera dello spirito santo ma del più prosaico sfruttamento della forza lavoro del proletariato, se ne deduce che la crescita della massa di capitale fittizio impone una costante pressione verso il basso dei salari, ritmi lavorativi sempre più intensi e una sempre più diffusa precarizzazione del rapporto di lavoro.
Questi tre aspetti del peggioramento nelle condizioni di vita e di lavoro dei proletari su scala internazionale sono la logica conseguenza di un capitalismo in crisi, causata dalla caduta dei saggi di profitti, e sono accentuati dalla fame di valorizzazione della massa sempre crescente di capitale fittizio.
Se riflettiamo sulle modalità di gestione delle stesse crisi finanziarie e sulle ricadute che queste hanno sul piano della produzione reale è facile comprendere come sia sempre il proletariato internazionale a sostenere i costi di tale crisi.
Se c’è stato un insegnamento che ha fatto scuola durante la grande crisi del 1929 è quello di non ripetere la stretta monetaria praticata allora dalle banche centrali dei diversi paesi del capitalismo avanzato.
Infatti durante la crisi della fine degli anni venti del secolo scorso nel tentativo di risollevare le sorti dell’economia statunitense e mondiale in genere, la Federal Reserve e le altre banche centrali hanno aumentato i tassi d’interessi per stroncare sul nascere ogni tentativo di azione speculativa.
In realtà questo ha determinato un aggravamento delle difficoltà di liquidità sui mercati finanziari di tutto il mondo, accentuando oltre misura gli effetti negativi sull’economia reale. Sulla scorta di tale esperienza la borghesia ha capito che nel momento topico delle crisi finanziarie i mercati devono ricevere ossigeno attraverso l’immissione di dosi massicce di liquidità. La recente crisi dei mutui subprime non ha fatto ovviamente eccezione, tant’é che sia la Federal Reserve che la Banca Centrale Europea hanno immesso nei mercati miliardi di dollari ed euro, evitando in tal modo il crollo totale del sistema finanziario.
L’immissione di liquidità svolge la fondamentale funzione di garantire che il grande business del capitalismo-casinò non venga interrotto a causa di qualche debitore che non è più in grado di onorare i debiti contratti.
Se nel breve periodo l’aumento della liquidità sui mercati finanziari serve per sostenere l’ulteriore sviluppo di capitale fittizio, superata la fase acuta della crisi si pone la necessità di far rientrare tale massa monetaria per evitare sviluppi inflazionistici.
È evidente che il rientro della massa di liquidità non può avvenire con un aumento dei tassi d’interesse, in quanto in tal modo si toglierebbe ossigeno ai processi d’accumulazione del grande capitale finanziario, pertanto l’unica strada che può percorrere la borghesia è quella che prevede un ulteriore giro di vite su salari, stipendi e pensioni.
La gravità della crisi dei mutui americani ha spinto le autorità monetarie statunitensi ad abbassare per ben due volte consecutive il tasso di sconto, invertendo in tal modo il trend degli ultimi anni che registrava tassi d’interesse in costante crescita, e facendo scendere sotto la soglia del 5% il tasso d’interesse sui fondi federali. Il taglio al tasso di sconto ha avuto delle immediate ripercussioni sul valore del dollaro, che nel giro di qualche giorno ha perso nei confronti dell’euro ulteriore terreno, tanto che si è arrivati a scambiare un euro contro 1,42 dollari. Alla crisi finanziaria e borsistica sono seguite fortissime tensioni sui mercati valutari, con pesanti ripercussioni sull’andamento dei prezzi petroliferi, a dimostrazione di come l’intero sistema capitalistico si regga sempre di più su precari equilibri e dove a pagare le conseguenze sia sempre la classe lavoratrice. La necessità di non far crollare l’intero sistema finanziario impone alla borghesia di accentuare quel meccanismo di conservazione capitalistico che ha lo scopo di spostare quote crescenti di ricchezza dai lavoratori verso i redditi da capitale.
Questo finora è avvenuto senza grossi problemi per la borghesia grazie alla sostanziale passività dei lavoratori, speriamo che in un imminente futuro il gioco sporco della classe dominante possa trovare sulla sua strada l’ostacolo della lotta di classe del proletariato internazionale.
plBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #10
Ottobre 2007
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