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Pericolose intersezioni di interessi imperialistici nel sud est asiatico
Notizie dell’ultima ora riferiscono di un incontro informale tenutosi a Pechino, dove rappresentanti della Corea del Nord, degli Stati uniti e della Cina avrebbero raggiunto un accordo per riprendere entro novembre un possibile negoziato dopo il test nucleare del 9 ottobre effettuato dal regime di Kim Jong Il, al quale parteciperebbero oltre alle due Coree, la Cina, il Giappone, la Russia e gli USA. Ciò sancirebbe la ripresa dei colloqui già iniziati nel 2003, dopo che Pyongyang aveva deciso di tirarsi fuori dal Trattato di non proliferazione nucleare, e ratificati da un accordo preliminare, del 2005, basato sulla cessazione delle attività atomiche in cambio di benefici economici ma soprattutto di garanzie di sicurezza. Questo lavorio era stato tuttavia azzerato in quanto pochi mesi dopo gli Stati uniti, muovendo accuse di contraffazione di danaro e di attività illecite, avevano bloccato 24 milioni di dollari di attivi nordcoreani a Macao.
Il riavvicinamento di queste ore è certamente ascrivibile al sapiente lavoro di ricucitura della diplomazia cinese che, cosciente degli attuali rapporti di forza, ha tutto l’interesse a che la Corea del Nord non attizzi ulteriormente il fuoco in un’area già calda di suo. Sul piano sostanziale c’è da rilevare però che i futuri negoziati prescinderanno da possibili cambiamenti delle posizioni attuali dato che avranno ancora vigore le sanzioni approvate dall’ONU mentre la Corea del Nord non ha preso impegni sulla rinuncia a effettuare altri esperimenti nucleari. E allora a che cosa è valsa l’accelerazione data alla crisi specie se rapportata ad un test atomico di dimensioni molto piccole e addirittura, si dice, nemmeno riuscito? Comprendere ciò che sta avvenendo significa tener conto delle realtà imperialistiche in contrasto tra di loro, e non da oggi, che operano nell’area. Come trascurare la circostanza che dietro gli attriti tra Nord Corea e Stati uniti si celi il vero contrasto sino-americano già una volta rappresentatosi, se si riannodano i fili della storia, con la guerra del 1950? Addentrarsi nella realtà di oggi, interpretandola, significa ricordarsi che i nordcoreani hanno sempre considerato quel conflitto come una guerra di liberazione nazionale contro l’imperialismo americano che, in pratica, aveva preso il posto di quello giapponese, presente nella penisola coreana per tutto l’arco di tempo che va dal 1905 al 1945. Privi infatti del nemico sovietico, gli strateghi del Pentagono, per non dover ridimensionare i programmi di rilancio dell’arsenale americano, sintetizzati dal Nuclear Posture Review (Riesame della politica nucleare), anzi per giustificare la loro continuazione individuano sette paesi contro cui si sarebbero potute utilizzare armi nucleari tattiche di nuova generazione: Russia, Cina, Iraq, Nord Corea, Libia e Siria mettendo esplicitamente in conto che la prevenzione della proliferazione non si basa più sui trattati quanto su preventivi attacchi americani. Ricercatori della fondazione Carnegie Endowment for International Peace asseriscono in maniera molto diretta che:
un potere che, con ogni evidenza, non può essere utilizzato, non è un vero potere.
M essaggio che viene recepito da due paesi dell’Asse del male - Nord Corea e Iran - che non rinunciano più alle loro ambizioni nucleari. D’altro lato basta ricordare quanto dichiarato nel 1994 dal segretario alla difesa di Clinton, William Perry:
Non vogliamo la guerra con la Corea per nessun motivo... Certo, se le sanzioni adottate dall’ONU spingessero i nord-coreani a entrare in guerra... allora dovremo assumerci il rischio.
Cosa sottendono queste dichiarazioni? Veramente vogliamo credere che la proliferazione nucleare sia tutta addossabile ai paesi canaglia? Ipotesi che può anche essere suggestiva ma che è per niente convincente. È dato comune come oltre alla Corea anche il Pakistan e l’India abbiano condotto test nucleari, anzi con quest’ultima, che non ha mai aderito al TNP, gli USA, dal 2005, hanno avviato le procedure per un programma di cooperazione in campo nucleare. E tutti sanno che Israele possiede tra le 70 e le 200 testate nucleari. Il tratto apparentemente paradossale ma che appartiene per intero alla logica capitalista è che, escluso Israele, queste potenze nucleari rappresentano paesi in cui fame, miseria, povertà attanagliano la stragrande maggioranza della popolazione.
La Corea del Nord è uno strano paese, in cui convivono, allo stesso tempo, la più cronica e disperata carestia ed un sistema missilistico capace di raggiungere il Giappone e tutto questo si fa forza su un’ideologia, il Chuch’e, che teorizza e incoraggia l’autosufficienza. Non secondaria è la circostanza che il paese vive in una situazione di quasi isolamento fatta eccezione per i rapporti preferenziali con la sorella del Sud e la Cina. Intervenuta una certa distensione tra le due Coree, quella del Sud, persegue l’obiettivo, neanche tanto velato, di una riunificazione dei due paesi escludendo, per bocca dell’ex presidente Kim Dae Jung, che possa essere realizzata con la forza o che possa avere gli effetti rovinosi di quella tedesca. La Cina appoggia in linea di principio questo progetto e si sta già muovendo affinché possa realizzarsi secondo coordinate funzionali ai suoi interessi, secondo le sue logiche, sia sul piano economico che su quello strategico: ridimensionerebbe di molto il tentativo di accerchiamento americano ed accentuerebbe una leadership, già riconosciuta, nella regione. Sotto questo aspetto ha ottime carte da giocare: gli aiuti cinesi a Pyongyang rappresentano il 70% degli aiuti globali e, inoltre gli idrocarburi importati da Pyongyang provengono quasi tutti da Pechino che può quindi esercitare un potere di condizionamento mirato ad incoraggiare il cambiamento, riforme economiche alla “cinese”, una certa cooperazione internazionale in materia nucleare, una vera ricostruzione materiale. Ciò impone anche una difesa, sul piano internazionale, della Corea del Nord, che si esprime coi diritti di veto all’ONU, e per mezzo della quale “sensibilizzare “gli altri paesi ad una non-ingerenza negli affari coreani.
Il quadro che va enucleandosi è molto chiaro: la questione coreana è una delle tante spie che segnalano scontri imperialisti che, nella fattispecie, riguardano direttamente, Cina e Stati Uniti senza tralasciare le correlazioni con la Russia o il Giappone. Gli Stati uniti manifestano anche loro un certo interesse a un processo di riunificazione, con valenza ovviamente diversa da quella cinese, o quantomeno ad un cambio di regime che possa consentir loro di attestarsi a ridosso del confine cinese. Le loro relazioni con Pechino risentono di questa dicotomia di fondo e sono segnate, a seconda delle circostanze/convenienze, da blandizie o minacce. Se i neocons della cordata Cheney-Rumsfeld si fanno sostenitori di un “contenimento strategico” della Cina, Condoleeza Rice porta avanti un più raffinato processo di “co-engagement” (contenimento più coinvolgimento), rappresentando però entrambe le tattiche, un guadagnare tempo in previsione di una definizione netta del contenzioso. Un particolare accento va posto ancora su di un ulteriore interesse/necessità statunitense ad essere più presente nell’area in quanto la salvaguardia della rendita petrolifera passa anche nello scrutare con attenzione quanto sta delineandosi in Siberia con gli oleodotti e i gasodotti che avranno i propri terminali a Nahodka, a Shakalin oppure a De Kastri, dove, per fare un esempio, il greggio verrà venduto all’asta a compratori di tutto il mondo, in tutte le valute. Ci sono pertanto più motivi per ritenere che questa momentanea tregua, in Corea come altrove, preluda ad un “incrociar di spade” che sarà molto più terrificante di quanto avvenuto finora a meno che uno sconvolgimento rivoluzionario non orienti le dinamiche attuali in altro senso.
ggBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #11
Novembre 2006
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