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... per controllare i finanziamenti internazionali - Il proletariato palestinese come sempre paga il conto dello scontro inter-borghese
I lavoratori palestinesi hanno sempre sofferto di una situazione economica e sociale a dir poco spaventosa. Sotto la gestione borghese del leader storico Arafat, capo dell’Olp, responsabile della Anp (autorità nazionale palestinese), il 40% della popolazione in età di lavoro era disoccupata. Del rimanente 60% la maggior parte, sia che trovasse un impiego nell’industria o nel settore agricolo, era costretta a vendere la sua forza lavoro ai capitalisti israeliani. Il che comportava una gravissima penalizzazione. I permessi di lavoro venivano concessi solo a coloro che dimostravano di non avere rapporti politici con l’Olp o con altre organizzazioni per la liberazione della Palestina. In caso contrario la concessione dei permessi era impossibile e la revoca era immediata nel momento in cui il loro status politico veniva a conoscenza delle autorità israeliane.
I salari erano i più bassi possibili e indipendenti dall’orario di lavoro che poteva arrivare sino alle 10-12 ore al giorno. Il tutto, ben inteso, con un alto grado di ricattabilità, senza nessuna garanzia sindacale, senza assistenza sanitaria e pensionistica. Per quelli che avevano la fortuna di essere impiegati nelle strutture amministrative dell’Anp le cose sembravano andare meglio. In teoria c’era un posto fisso e uno stipendio da ritirare mensilmente. Nella realtà, negli ultimi anni, gli stipendi non venivano più erogati, o lo erano a singhiozzo e la sicurezza del posto di lavoro era sempre più una chimera, a fronte di una corruzione dei dirigenti politici tanto diffusa quanto sfacciata, che intascavano buona parte dei fondi internazionali che arrivavano nelle casse dall’Anp. In più di un’occasione si sono avuti scioperi spontanei a Gaza e nei maggiori centri della Cisgiordania. Scioperi per un lavoro sicuro, per il pagamento degli stipendi arretrati e contro la dilagante corruzione che investiva tutti i livelli dell’Amministrazione. Scioperi che la polizia di Arafat ha represso nel sangue senza alcuna esiatzione.
Tra le altre cause, questi episodi hanno contato non poco nella perdita elettorale di Al Fatah a favore di Hamas. Ma le cose non sono cambiate, anzi. Sotto la gestione della versione integralista della borghesia palestinese che, pur uscita da una consultazione elettorale democratica, senza peraltro essere riconosciuta dai governi occidentali e dal governo israeliano in quanto contraria al riconoscimento dello stato di Israele, le condizioni del proletariato palestinese sono precipitate verso il basso.
Secondo le stime dalla Caritas di Gerusalemme, dal marzo 2006 i 165 mila dipendenti dall’Anp non ricevono lo stipendio. Dei 20.968 permessi di lavoro in territorio israeliano si è passati a 3.698, e la quota zero è ormai prossima. Per gli altri lavoratori della striscia di Gaza e della Cisgiordania le cose vanno ancora peggio. Variano dalla disoccupazione più assoluta e senza speranze di sorta, a lavori saltuari, mal pagati, che consentono appena la loro sopravvivenza fisica e quella delle loro famiglie.
È pur vero che i fondi internazionali e i soldi che Israele avrebbe dovuto versare allo stato palestinese sono stati bloccati in attesa che Hamas riconosca il diritto all’esistenza dello Stato di Israele, ma è anche vero che Haniyeh non ha nessuna intenzione di cedere perché riceve abbondanti finanziamenti dalla Siria e dall’Iran, sufficienti per il suo apparato civile e militare, e si disinteressa di tutto il resto, primi fra tutti i dipendenti dall’Anp. Nel gioco delle parti che Al Fatah non riceva più i finanziamenti internazionali e che Abu Abbas si trovi per questo in condizioni politiche di enorme difficoltà, va a tutto vantaggio di Haniyeh e di Hamas. La questione dei finanziamenti è così vitale che i due fronti della borghesia palestinese non hanno esitato, nel tentativo di risolvere la questione a proprio vantaggio, a ricorrere all’uso della forza.
In ottobre ci sono stati scontri a fuoco tra alcuni elementi delle Brigate Al Aqsa e miliziani di Hamas che hanno causato12 i morti e decine i feriti. Il 19 d’ottobre lo stesso Haniyeh è scampato ad un attentato. Al Fatah ha addirittura organizzato degli scioperi in tutti i territori palestinesi contro l’attuale governo, con il dichiarato intento di indurlo ad un governo di coalizione, o di indebolirlo a tal punto da farlo decadere. La risposta di Hamas è stata la repressione degli scioperi a Ramallah e Rafah dove le manifestazioni sono state più intense e politicamente più guidate.
In tutti i casi, il proletariato palestinese si è trovato nella scomoda posizione di fungere da massa di manovra dei due schieramenti borghesi. Al Fatah e Hamas si giocano la leadership nei territori occupati servendosi del proletariato palestinese come strumento per i loro interessi di classe. Nemmeno la questione nazionale, alla quale entrambi strumentalmente ricorrono, li avvicina. In compenso le fonti dell’approvvigionamento finanziario li dividono in termini d’assoluta contrapposizione. Per Al Fatah, l’accondiscendere alle pressioni occidentali, Usa in particolare, è questione prioritaria per continuare a ricevere i finanziamenti che sono stati bloccati dopo le elezioni di marzo, e per continuare a gestire il potere in termini di corruzione e di appropriazione parassitaria.
Per Hamas, che i finanziamenti li ottiene dallo schieramento imperialistico asiatico, Iran, ma non solo, (perché ci ha rimesso lo zampino anche la Russia post sovietica), le cose stanno bene come stanno. Più Al Fatah è economicamente in difficoltà e Hamas acquista potere e valenza politica.
Per il proletariato palestinese, come per tutti i proletariati dell’area, quello israeliano compreso, la strategia non è quella di scegliere tra un’ala della borghesia e l’altra, tra un fronte dell’imperialismo e l’altro, ma iniziare ad imboccare un percorso politico autonomo, con un proprio partito di classe, per un progetto politico che esca dagli schemi fratricidi e dagli interessi economici e strategici delle rispettive borghesie.
- fd
Battaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #11
Novembre 2006
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