La rabbia di classe degli immigrati in Usa

Falchi o colombe, per la borghesia l’immigrato è solo manodopera sfruttabile ad oltranza

Se credessimo alla telepatia, potremmo dire che in questi primi giorni di primavera, tra le due sponde dell’Atlantico il misterioso fenomeno si sta manifestando in proporzioni mai viste: da una parte e dall’altra dell’oceano le piazze sono riempite da milioni di persone che dicono “no” a una vita fatta di precarietà, ricatti, miseria.

Infatti, al di là le ovvie diversità, uno studente francese e un padre di famiglia centroamericano indocumentado [senza permesso di soggiorno] hanno in comune un’esistenza - o un futuro - dominata dalla totale mancanza di certezze, se non quella di vivere appesi alle mutevoli esigenze, ma anche alle semplici isterie anti-proletarie, di questo o quel padrone. Nel mentre i grandi boulevards parigini rimbombano degli slogan contro il CPE, le città degli Stati Uniti sono percorse da cortei interminabili di immigrati clandestini che si oppongono alle ingegnerie sociali dei settori più retrivi della borghesia statunitense.

Alla Camera dei deputati è infatti passata una legge (ora in discussione al Senato) che inasprisce la già poco tenera legislazione sull’immigrazione, ingrossatasi come un fiume in piena da quando Reagan, demolendo i “santuari” del lavoro cosiddetto protetto, inaugurò l’era del bad job ossia del lavoro ipersfruttato. Le grandi industrie manifatturiere chiudevano o si trasferivano in Messico, da questo paese e da tutta l’America Centrale salivano - in un flusso tuttora ininterrotto - milioni di proletari che hanno occupato, spesso in modo pressoché esclusivo, il vastissimo settore dei servizi (ma non solo) le cui brutali condizioni di lavoro si possono riassumere nella parola “walmartizzazione” (vedi BC-2/’06).

Con la nuova legge, se passerà definitivamente, verrà costruito sulla frontiera USA - Messico un muro lungo oltre mille chilometri e l’ingresso, così come la residenza, da clandestino verrà considerato reato grave, con il conseguente deciso aggravamento delle pene relative; infamia delle infamie, anche coloro che - vedi certe associazioni umanitarie - prestano soccorso ai clandestini esausti per le estenuanti marce nei deserti del Sud-Ovest statunitense (tanto che ogni anno muoiono a centinaia di sete e di stenti) rischiano parecchi anni di galera. A supporto di questa offensiva anti-immigrati, sono scesi in campo i settori più ottusi del sottomondo borghese - ivi inclusi strati di proletariato bianco - che hanno dato vita a formazioni di vigilantes; Colt 45, fucile Winchester, cappello a larghe tese: non manca proprio niente per interpretare un moderno western in cui i “cattivi” non sono più gli Apaches, ma i loro cugini proletari dell’America Centrale. Insomma, ognuno ha le sue disgrazie, e se noi “godiamo” di un Calderoni che guida le crociate “anti-islamiche”, nella repubblica stellata non mancano i cowboys pronti a estrarre la “45” contro i pellerossa del terzo millennio.

Ma così come in Italia il governo è stato costretto dalle pressioni del padronato a concedere il permesso di soggiorno a molti irregolari, allo stesso modo, negli USA una parte del partito repubblicano, guidata dallo stesso Bush, ha fatto passare alla commissione giustizia del Senato una proposta di legge che prevede la legalizzazione di milioni di clandestini (attualmente si calcola che siano undici milioni circa). I motivi? Gli stessi che da noi. Larga parte del padronato non sa che farsene delle isterie anti-immigrati, mentre ha bisogno di braccia da sfruttare a piacimento. Per questo, la legalizzazione prevede una serie di condizioni molto costose, per l’immigrato, e soggette agli abusi di funzionari pubblici/padroni, tanto per non far mai dimenticare ai chicanos chi ha il coltello dalla parte del manico.

Nel mezzo ci sono, appunto, gli immigrati che non ci stanno a vedere precipitare le loro condizioni di esistenza verso forme di schiavitù vera e propria. Da qui, una reazione di massa, probabilmente inaspettata anche da chi, su posizioni apertamente borghesi, incanala e controlla - non sappiamo dire quanto - se non tutta, certamente una buona parte della giusta rabbia proletaria degli indocumentados. Stando a quanto si legge sui giornali e alle immagini che passano in televisione, il movimento di massa si è mosso finora anche sulla spinta della chiesa cattolica (in crisi di immagine per “l’epidemia” di preti pedofili), ben felice di rimpinguare il magro gregge “bianco” con tante “pecorelle latine”. In sostanza, si mobilita sulla base di parole d’ordine che, quando non sono dichiaratamente nazionalistiche, non vanno più in là della questione specifica, senza tentare di allargare la lotta agli altri settori del proletariato in un più generale fronte anticapitalistico. Poiché i mass media hanno tutto l’interesse a dare un’immagine parziale e distorta del fenomeno, può essere sicuramente che il movimento esprima voci dissonanti rispetto al coro interclassista, ma rimane il fatto drammatico che negli USA come in Francia, come ovunque, la voce delle avanguardie rivoluzionarie è ancora troppo debole per farsi sentire nei brontolii annuncianti le future tempeste.

cb

 

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.