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Home ›Condizioni e lotte operaie nel mondo
Nuova Zelanda
Per due volte nell’ultima settimana di marzo le strade di Auckland sono state riempite dai lavoratori che sostengono una campagna per l’abolizione del salario d’entrata e per l’aumento del minimo salariale. Il salario minimo in Nuova Zelanda è attualmente di 9,50$ l’ora, mentre quello per i giovani con meno di 18 anni è di soli 7,60$; inoltre per i dipendenti al di sotto dei 16 anni non esiste un minimo salariale.
Il 18 marzo anche i dipendenti di McDonald’s e Starbucks si sono uniti alle altre migliaia di lavoratori in corteo per il centro della città.
Pochi giorni dopo anche gli studenti di molte scuole e dei college sono scesi in piazza per sostenere la lotta, sfidando fra l’altro le minacce di sanzioni disciplinari dei loro presidi. Il corteo ha attraversato la città, passando per le principali vie commerciali, e si è fermato infine davanti ai negozi di McDonald’s e Burger King. La polizia è intervenuta dopo che i manifestanti hanno bloccato il traffico delle strade e ha arrestato alcuni di loro.
In seguito a questa mobilitazione McDonald’s, che è l’azienda con più dipendenti giovani, ha annunciato di aver aperto un negoziato con i sindacati per eliminare gradualmente il salario d’entrata.
Indonesia
I lavoratori stanno lottando contro la riforma delle leggi sul lavoro. Le nuove leggi permetterebbero alle aziende di introdurre con maggiore facilità e frequenza il sistema di lavoro a contratto, di utilizzare la terziarizzazione nella maggior parte delle fabbriche e di licenziare senza nessuna liquidazione. Anche i sindacati sostengono che queste leggi anti-operaie del governo sono volte a rendere l’Indonesia un paese sempre più allettante per gli investitori stranieri. È questa un’altra conferma di come il sindacato, accettando la logica delle compatibilità capitalistiche, non sia più, nemmeno nei Paesi in via di sviluppo, un valido strumento per la lotta anche solo economica.
Vietnam
Nella fabbrica di scarpe Pou Chen, di proprietà di imprenditori di Taiwan, sono ormai 8000 I lavoratori in sciopero per richiedere aumenti salariali e migliori condizioni di lavoro.
Questo non è che l’ultimo di una serie di scioperi selvaggi portati avanti, da dicembre ad oggi, da migliaia di dipendenti di fabbriche gestite da padroni stranieri in Vietnam. Gli investitori stranieri sono sempre più richiamati nel paese dalla grande quantità di forza lavoro a bassissimo costo e dall’efficace sistema repressivo messo in atto dal regime. I lavoratori vietnamiti, senza alcuna specializzazione, sono così impiegati nelle fabbriche di scarpe, vestiti e altri prodotti d’esportazione, e vengono pagati meno di 2 $ al giorno.
Non solo il governo, ma anche alcuni sindacati si sono duramente opposti alla protesta, appellandosi al fatto che per la legge del paese qualsiasi sciopero deve essere autorizzato almeno 20 giorni prima. Il ministro del lavoro ha affermato che l’azione repressiva è stata necessaria per limitare il diffondersi delle proteste, in quanto esse potevano creare “un ambiente instabile per gli investimenti stranieri”. Anche la camera europea del commercio, in una lettera al governo vietnamita, in gennaio aveva espresso preoccupazione che gli scioperi potessero arrivare a coinvolgere anche le fabbriche europee. Evidentemente per la borghesia europea le uniche imprese che sfruttano i lavoratori del sud del mondo sono le multinazionali americane.
Sud America
In Brasile, nello stato di Pernambuco, lo sciopero durato 10 giorni di 23.000 lavoratori della Sanità è terminato dopo che il governo ha accettato di sottoscrivere una bozza di legge per migliorare le condizioni di lavoro. L’accordo dovrebbe portare anche a un aumento del minimo salariale di circa 100$.
In Nicaragua continua invece lo sciopero di 20.000 dipendenti pubblici della Sanità iniziato 2 mesi fa, per richiedere un aumento salariale del 30% e migliori condizioni di lavoro. Anche i medici della sanità pubblica sono in sciopero da mesi, tanto che gli ospedali pubblici dal 14 novembre 2005 forniscono soltanto i servizi d’emergenza.
Come conferma il quotidiano di Quito ‘la Hora’, il presidente dell’Ecuador, Alfredo Palacio, ha dichiarato lo stato d’emergenza in tre regioni nell’area amazzonica del paese. Si tratta delle regioni di Napo, Sucumbios e Orellana dove due settimane fa sono entrati in sciopero i lavoratori dei contratti in subappalto dalla compagnia statale del petrolio Petroecuador. Gli operai (circa 4.000) rivendicano l’assunzione a tempo pieno, il pagamento degli stipendi e migliori condizioni di lavoro. Allo sciopero, iniziato con blocchi stradali nelle principali strade del Paese, ha aderito anche il sindacato del Fronte unitario dei lavoratori (Fut) che ha portato in piazza insegnanti, studenti, medici e infermieri. La compagnia statale Petroecuador aveva annunciato che la sua produzione calerà di 20 mila barili al giorno a partire dal 7 marzo. La riduzione è dovuta allo sciopero. Petroecuador produce circa 200 mila barili al giorno di greggio.
Italia: Arena
Occupazione dello stabilimento Arena di S.Angelo: i lavoratori non si muovono di un millimetro. Il management dell’azienda ha chiesto di ricominciare immediatamente l’attività nella linea rimasta aperta, quella dei tacchini. Ma gli operai non ne vogliono nemmeno sentire parlare. Un centinaio di loro stanno facendo i turni, garantendo una presenza costante anche nelle ore notturne. Sono determinati ad andare avanti per un periodo di tempo indefinito, finché non si troverà una soluzione. Quale possa essere è però difficile immaginarlo. C’è addirittura chi parla di autogestione della ditta. I lavoratori sono anche esasperati dai loro rappresentanti di Cgil, Cisl e Uil; pensano, infatti, che gli accordi sindacali dei mesi scorsi fossero solo propedeutici ad una chiusura ormai certa e perciò si sentono traditi.
Un rilancio dei consumi delle carni avicole basterebbe? I dirigenti di Arena dicono che 750 mila polli trattati settimanalmente consentirebbero di tenere aperti tutti gli stabilimenti, compreso quello di S.Angelo. Ora siamo solo a 400 mila. Ma il nodo, forse, è un altro. Ci sono grossi problemi finanziari, come traspare dai pagamenti ritardati degli stipendi e ai fornitori. Comunque stiano le cose, il dato di partenza deve essere la sorte degli 80 lavoratori fissi e 570 stagionali occupati nello stabilimento. Di questi, anche prima dell’occupazione scattata l’altro ieri, solo 150 circa erano ancora impegnati nella linea tacchini.
JuBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #4
Aprile 2006
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