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Home ›Vignette sataniche e vulcano islamico
Stupide provocazioni, manifestazioni di piazza e lotta di classe
È mai possibile che alcune vignette, anche se pesantemente irriverenti nei confronti della religione musulmana, pubblicate da un giornale conservatore della Danimarca, abbiano potuto suscitare un tal putiferio in molti paesi di religione islamica? È verosimile che il provocatorio, rozzo, razzista atteggiamento di un improbabile ministro della repubblica italiana, sia stato alla base di manifestazioni di piazza a Bengasi e della criminale violenza repressiva della polizia libica? La prima risposta potrebbe essere si, è possibile. In un mondo dove la religione ha radici profonde e permea di sé la vita degli individui come quella della società intera, tali atteggiamenti possono certamente produrre sdegno e irritazione, anche in considerazione del fatto che tra le popolazioni islamiche la diffidenza politica e l’odio viscerale nei confronti degli Usa e dei suoi alleati occidentali in questi ultimi anni sono cresciuti in modo esponenziale. Ma le cose non stanno solo in questi termini, dietro le risposte di piazza alle stupide provocazioni di stampa e di personaggi politicamente assurdi, si nasconde una serie di fattori economici e politici complessi. I paesi in cui si sono registrate le maggiori, e più intense manifestazioni, sono in profonda crisi economica o sull’orlo della guerra civile.
In Nigeria, nuova frontiera petrolifera dell’Africa occidentale, dove tutti gli imperialismi sono presenti con le rispettive compagnie petrolifere e agiscono all’interno dello scenario elettorale, ognuno con le proprie etnie e confessioni di riferimento, la partita per la nomina del nuovo presidente si gioca tra le confessioni cristiane, legate all’imperialismo occidentale, e quelle musulmane che ambiscono una amministrazione domestica per poi entrare a pieno titolo nel novero dei paesi che contano sullo scenario energetico internazionale. Lo “scandalo” delle vignette sataniche è stato un buon pretesto per inscenare manifestazioni contro il governo attuale e la presenza dei colossi petroliferi internazionali tra cui l’Eni.
In Pakistan le forze integraliste di opposizione al governo filo americano di Musharraf hanno inscenato intense manifestazioni di protesta con l’apporto dei resti, riorganizzati, dei taliban afgani che continuano la loro lotta in quella terra di nessuno che è collocata alla frontiera tra i due stati. La protesta è guidata da Yussuf Quraishi, capo di quella Jamaat-i-islami, che da tempo, in nome della jihad islamica, si propone come alternativa politica al corrotto governo di Islamabad.
Lo stesso scenario si è presentato in Turchia, dove i partiti integralisti di opposizione hanno colto la palla al balzo per mettere in crisi il governo di Erdokan e le sue propensioni europeiste e filo occidentali.
In Libia, il governo di Gheddafi, preoccupato di mantenere la sua pax sociale, che si basa sullo sfruttamento del petrolio e del gas naturale e sui buoni rapporti con i paesi europei, non ha esitato a trasformare la manifestazione contro l’ambasciata italiana di Bengasi, in un bagno di sangue, come monito a tutte le opposizioni che possano soltanto pensare di mettere in discussione il suo potere politico e le radici prime del suo business economico.
Lo schema delle attuali dinamiche tra il malessere sociale dovuto alle condizioni economiche di crisi in cui versa la stragrande maggioranza delle popolazioni islamiche e le opposizioni delle frange borghesi ai governi filo occidentali è tale per cui, la rabbia delle masse sfruttate e diseredate viene facilmente incanalata nelle strategie borghesi di opposizione sotto il verde vessillo dell’integralismo islamico. Sotto l’ammorbante manto religioso, intriso del peggiore conservatorismo, si intrecciano i fili che legano la disperazione delle masse proletarie agli obiettivi di quella borghesia che organizza la sua teocratica scalata. In gioco c’è il potere politico ed eonomico: su un fronte si attestano le frange borghesi filo occidentali che sono al potere, sull’altro i segmenti della borghesia che al potere ci vogliono arrivare.
Nel mezzo le masse sfruttate e diseredate diventano lo strumento di manovra o sul terreno della salvaguardia degli interessi costituiti, quelli imperialistici compresi, o su quello della lotta per la conquista di un potere che, in quanto borghese, conservatore e reazionario, non farà mai i loro interessi, ma verrà usato contro di loro tutte le volte che sarà messo in discussione o anche soltanto criticato. Questo tragico inganno è purtroppo destinato a protrarsi nel tempo, sino a quando cioè una forza autonoma di classe non inizi il duro lavoro per il loro sganciamento dai tentacoli del nazionalismo integralista e/o laico.
Per le masse proletarie la posta in gioco non è quella di scegliere tra le opzioni, che le componenti della borghesia pongono in essere di volta in volta, a seconda delle loro strategie, né è praticabile il percorso che porta alla lotta passando attraverso questo falso anti imperialismo, che lascia le cose come stanno sul piano dei rapporti tra capitale e lavoro, tra sfruttati e sfruttatori, all’interno del solito quadro capitalistico. L’unica via per l’emancipazione economica e politica può solo passare attraverso l’autonomia di classe, contro il capitalismo, la sua versione imperialistica, il nazionalismo in qualunque veste si presenti, in quella laica e falsamente progressista o in quella religiosa, palesemente reazionaria. $ fd
Battaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #3
Marzo 2006
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