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Home ›Putin, la Yukos e l'oro nero - Lotta senza quartiere per il petrolio in Russia
Attorno alle ricchezze energetiche della Russia e dei paesi confinanti, nati dopo il crollo dell'Urss, si accentrano enormi interessi. Fuori dall'Opec, la Russia si presenta già come il secondo paese esportatore di petrolio al mondo. Sui profitti della vendita di petrolio e gas naturale hanno messo le mani sia gli esponenti della oligarchia economica moscovita sia l'aspirante zar, Putin. Fra i primi il miliardario M. Khodorkowski, ex patron della compagnia petrolifera Yukos, appoggiata dalla statunitense Exxon Mobil. Putin non ha dimenticato il tentativo di Khodor-kowski teso a creare nella Duma (elezioni del 2000) una minoranza in grado di controllare almeno il 26% dei voti, per bloccare ogni iniziativa governativa contraria agli interessi della Yukos. Il magnate russo è finito in carcere: conti bancari congelati, attività industriali in Siberia sequestrate, 7 mld di dollari al fisco per tasse arretrate. In difficoltà i cinesi che, da accordi precedenti, avrebbero dovuto ritirare 1,2 milioni di barili al giorno. Ma la Russia sembra più interessata ad offerte giapponesi specie per i giacimenti dell'isola di Sakhalin. Il contrattacco di Putin ha mirato al cuore delle ricchezze dei maggiori oligarchi russi del petrolio: Abramovic della Simmet, Alekperov, Velkberg e Fdridman della Tnk, che dalla amministrazione della "Famiglia Eltsin" hanno avuto a prezzi stracciati la proprietà delle risorse energetiche russe. La loro rinazionalizzazione è ora nei piani di Putin che non deve però allarmare troppo gli investitori stranieri, americani in primis: alcuni Fondi pensione Usa hanno acquistato azioni Yukos ai massimi prezzi e se le trovano oggi quasi azzerate. Più sale il prezzo del barile e più Putin fiuta l'affare, mal sopportando che montagne di dollari si rifugino "privatamente" nei paradisi fiscali (vedi Yukos con la Menatep Gibraltar). Una fuga che è stata di almeno 3 mld di dollari nel 2003 e si prospetta in forte aumento nel 2004.
Il colosso statale russo del gas, Gazprom, in ottimi rapporti con Putin, si appresta intanto a rilevare la maggioranza delle attività siberiane di Yukos. La "liberalizzazione" delle azioni di Gazprom le ha adattate alle condizioni di mercato: le società straniere ne potranno detenere più del 20%, fermo restando una partecipazione di maggioranza al governo russo. Il quale, con parte del pacchetto azionario, ha già acquistato gli asset della compagnia petrolifera Rosneft, formando la Gazpromneft per una intensificazione delle risorse energetiche. Con la capacità produttiva mondiale di oro nero ai limiti, per i prossimi anni si annuncia un grande boom nel settore del gas naturale, i cui prezzi sono già in forte crescita. Il suo consumo, specie negli Usa, è destinato ad aumentare ricorrendo alle importazioni ma dovendo superare un potenziale problema geopolitico di non facile soluzione. Infatti, è proprio nei territori dell'ex Urss (per lo più in Russia) e nel Medio Oriente, che si trovano i tre quarti delle riserve accertate di gas nel pianeta. Un altro forte esportatore mondiale di Lpg è l'Indonesia, nel mirino del terrorismo islamico, e la Libia che con i suoi 6,8 mld di metri cubi di gas sotto il deserto della Sirte (13,4 mld di dollari entrano già annualmente nelle casse libiche), la dice lunga sul riavvicinamento tra Washington e l'ex "leader canaglia" Gheddafi.
Le grandi compagnie petrolifere americane sono in prima fila, seguite da quelle europee e italiane, e allungano mani e piedi sul prezioso tesoro. Così Mosca siu prepara a buoni affari, visti anche gli alti prezzi raggiunti da greggio e gas naturale sui mercati mondiali. Tutto ciò comporta una valanga di petroldollari, cosa che potrebbe influire negativamente sull'economia russa, alimentando l'inflazione e una spinta verso l'alto del rublo, ancorato nei cambi al dollaro. La Banca Centrale russa si sta movendo verso il riferimento ad un paniere di valute per annullare le conseguenze negative del forte afflusso di petroldollari, cioè verso un cambio più favorevole al rublo. Ne beneficerebbero gli esportatori russi ma non le società che guadagnano in rubli. Quanto alle mayor straniere, le porte del petrolio si aprono a condizione di sborsare convincenti somme. La BP si è già presa il 50% di TNK (giacimenti siberiani di Tyumen); l'americana Conoco-Phillips ha sborsato 2 mld di dollari per il 7% di Lukoil (seconda società petrolifera russa) e con l'opzione per arrivare al 20%. L'altro 80% è nelle mani di fiduciarie russe ed europee. La francese Total ha acquistato il 25% di Novatek, secondo produttore russo di gas, mentre l'Eni è azionista di Gazprom. Gli affari sono affari e nel giro non vanno trascurate le alleanze-politico petrolifere, anche per quanto riguarda l'importante questione delle necessarie infrastrutture di trasporto del greggio. E su tutto vigila Washington, inutile dirlo, con molta attenzione.
dcBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
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