Prove di guerra in Asia centrale

Cina e Russia organizzano le risposte militari agli Usa nel continente asiatico

L'imperialismo americano, le sue carte, le ha giocate tutte e pesantemente. La sua economia, indebitata sino al collo, in crisi di profitti, con nemmeno un bilancio in attivo, ha spinto le varie amministrazioni, in particolare quella repubblicana di Bush, a cercare in Asia Centrale quelle boccate d'ossigeno che le consentissero di sopravvivere alle proprie contraddizioni. Con la scusa dell'11 settembre si è dato il via a quel piano imperialistico che già agli inizi degli anni novanta era stato preparato e che aspettava soltanto l'occasione opportuna per entrare in azione. Tra le altre aree, il piano prevedeva l'inserimento dell'imperialismo americano nella strategica zona dell'Asia Centrale. In primo luogo per controllare l'area petrolifera del mar Caspio, in seconda battuta per gestire le vie militari e commerciali nord-sud ed est-ovest, in terzo luogo per separare geograficamente e politicamente i due maggiori concorrenti asiatici, Russia e Cina.

Partendo dal Pakistan, attraverso la conquista militare dell'Afghanistan, puntava al controllo del Kazakistan e delle maggiori repubbliche ex sovietiche. Sempre sulla scia dell'11 settembre il governo di Washington è riuscito, a suon di dollari, a ottenere dai governi del Tagikistan, Uzbekistan e Kirghizistan le necessarie basi aeree per il controllo militare della zona. Un'operazione in grande stile che faceva il paio con l'occupazione dell'Iraq a sud ovest e con l'allargamento della Nato ai paesi dell'ex Patto di Varsavia, in una sorta di accerchiamento preventivo della Russia ad occidente e di isolamento della Cina ad oriente. Il tutto, forse, nella presunzione che la Russia non fosse ancora uscita dalla sua devastante crisi economica e politica degli inizi anni "90" e che la Cina non fosse ancora sufficientemente forte da opporsi ai suoi piani. Invece le cose stanno andando ben diversamente. I due imperialismi asiatici, ognuno con il proprio peso specifico, ma con il comune intento di non lasciarsi tagliare l'erba da sotto i piedi, hanno prontamente organizzato la risposta. A luglio, Cina e Russia hanno firmato un comunicato congiunto, in coordinazione con tutti i paesi dell'area, fatta eccezione solo per il Turkmenistan, in cui si intimava agli Usa di abbandonare le basi militari e di togliere il disturbo dalla zona. In agosto i governi di Pechino e Mosca hanno dato vita, per la prima volta, ad esercitazioni militari, preludio di un'armata comune da contrapporre, in caso di necessità, alle mire dell'imperialismo rivale. La Russia è perfettamente cosciente che la sua ripresa economica, il suo futuro imperialistico non possono fare a meno del petrolio caspico e del controllo, anche se in condominio con la Cina, delle vie di commercializzazione che passano attraverso le "sue" ex repubbliche. La Cina è altrettanto cosciente del fatto che il suo straordinario sviluppo dovrà basarsi sempre di più sul controllo delle materie prime strategiche, petrolio innanzitutto ma non solo, e che una alleanza militare con la Russia sia, al momento, una necessità irrinunciabile. Per entrambi l'ingombrante imperialismo americano deve essere contenuto con le buone o, all'occorrenza, con le cattive. Al governo di Putin non mancano le risorse militari da impiegare nella zona, e a quello di Pechino non fanno difetto le disponibilità finanziarie. È di 1000 miliardi di dollari il deposito nei suoi forzieri statali, è dell'8% il controllo del debito pubblico americano, e si può permettere di proporre l'acquisto della Unocal americana, garantendo un'offerta di un miliardo di dollari superiore a tutte le altre. Questo spiega la facilità con cui Russia e Cina hanno così velocemente convinto i governi del centro Asia a passare dalla loro parte. Armi e finanziamenti, con la prospettiva di un business petrolifero più domestico, hanno giocato in modo determinante il loro ruolo lasciando il governo di Washington nella scomoda situazione di ricominciare tutto daccapo, sia per quanto riguarda lo sfruttamento del petrolio, sia per il ruolo egemone del dollaro nella zona. I giochi sono però solo all'inizio. La ricomposizione imperialistica internazionale, dopo la fine della guerra fredda, sta marciando a passi da gigante, la crisi economica di questi ultimi anni funge da acceleratore, e nello scenario centrasiatico ritornano sinistramente i bagliori delle lame. Il che non significa che sia, sin dall'inizio, guerra immediata e generalizzata, e che i tre colossi imperialistici, dalle fauci insaziabili, si confrontino sul terreno della forza senza esclusioni di colpi. Più verosimilmente dovremo aspettarci un'escalation della crisi politica e militare con episodi di colpi di stato, di guerre civili fomentate da un fronte piuttosto che da un altro, da tensioni belliche che l'aggravarsi della crisi internazionale potrebbe poi trasformare in episodi di guerra guerreggiata, allora sì, generalizzata e senza esclusione di colpi.

Se queste sono le prospettive che l'imperialismo sta organizzando nello scenario centrasiatico, per i proletariati dell'area si sta preparando un futuro di sangue e di morte. Come ben si conviene in questi casi, quando non si praticano, o non si tentano di praticare, soluzioni rivoluzionarie e il tutto rimane all'interno degli schemi capitalistici ed imperialistici, per i vari proletariati la scelta è obbligata e perdente: al fianco della propria borghesia che, a sua volta, è al traino di uno dei fronti imperialistici. Al massimo, e con altro spargimento di sangue, la scelta potrebbe ulteriormente scomporsi, determinando lo smembramento del proletariato in due o più segmenti a seconda degli orientamenti economici e strategici di tronconi della borghesia, a loro volta strumenti interessati a più fronti imperialistici. Dal tragico circolo vizioso delle crisi economiche, dalle guerre imperialistiche, dagli interessi borghesi, comunque paludati, con drappi religiosi o con vessilli nazionalistici, non si esce se non si tenta di imboccare la strada della lotta anticapitalistica, l'unica che porti al vero anti imperialismo, alla rivoluzione sociale, all'alternativa comunista. Scegliere tra i segmenti della borghesia nazionale, a loro volta strumenti dell'imperialismo di turno, ha prodotto, e continuerà a produrre, sanguinanti sconfitte per il proletariato e terra bruciata per le future riprese della lotta di classe.

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Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.