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Home ›In Iraq è guerra totale - Continua la rapina Usa a mano armata
Mentre continua l'infame menzogna in base alla quale tutto ciò che sta avvenendo in Iraq sarebbe responsabilità del terrorismo interno e internazionale, la guerra divampa su tutto il territorio. Tutte le più importanti città sono in rivolta armata contro la presenza delle truppe occupanti della cosiddetta Coalizione. La repressione militare non risparmia niente e nessuno. Le città sono prese d'assedio, i bombardamenti hanno colpito la popolazione civile, gli ospedali, le scuole e i luoghi di culto. La rabbia e la volontà di lottare sono diventate trasversali alle varie frange della borghesia irachena e a consistenti settori del proletariato che, in mancanza di una prospettiva li lotta autonoma, sono stati agganciati alle strategie nazionalistiche della borghesia sia nella versione laica, sia nella versione integralista. È guerra totale, ma la solita compagna di disinformazione recita spudoratamente che il compito militare americano è quello di creare, anche con la forza, le migliori condizioni possibili per il passaggio di consegne dall'attuale governo a quello futuro entro il 30 giugno, quello democratico, degli iracheni per gli iracheni.
Facendo della fanta-politica un esercizio ludico, ipotizziamo che cosa succederebbe se il prossimo governo decidesse di non privatizzare le imprese petrolifere irachene. Se indicesse gare di appalto internazionali per l'ammodernamento e lo sfruttamento delle risorse energetiche. Se prendesse in considerazione l'eventualità di accettare come forma di pagamento per l'esportazione del suo petrolio l'euro, il rublo, lo yen oltre al solito dollaro. Se pensasse che nei prossimi anni la sua economia petrolifera e i suoi flussi finanziari avranno come punto di riferimento l'Europa e la Russia. Non succederebbe nulla per il semplice fatto che sono domande retoriche e prive di qualsiasi fondamento reale. Mai e poi mai l'imperialismo americano consentirebbe una operazione del genere. Il governo di Washington non ha mobilitato 135 mila uomini per niente. Non ha investito decine di miliardi di dollari, gravando a dismisura il deficit federale, per consegnare su di un piatto d'argento alla borghesia irachena il bottino per cui ha scatenato, in un mare di menzogne, la più aggressiva guerra di rapina degli ultimi anni. Il capitale americano non ha dimenticato i suoi gravi problemi di produttività che gli pesano addosso come macigni. La sua economia non può sorvolare sull'enorme indebitamento che colpisce l'industria privata, le famiglie, il bilancio federale e la bilancia dei pagamenti con l'estero che ha sfondato lo storico muro dei 600 miliardi di dollari. Soprattutto non può fare a meno del petrolio iracheno e dei suoi giacimenti con una dipendenza energetica che è arrivata al 70% e a fronte di un progressivo impoverimento delle proprie falde in Texas e Alaska.
Qualunque governo nasca, sempre che ciò avvenga il 30 giugno, qualsiasi sia la sua composizione e qualsivoglia sia la sua forma istituzionale, sarà sempre un governo dipendente in tutto e per tutto dalle esigenze dell'imperialismo americano. Non esistono altre possibilità se non quelle di una fantasia malata che si libra al di sopra dei fattori obiettivi per confonderli nel solito mare di bugie e di menzogne.
E che cosa succederebbe se l'attuale situazione scappasse militarmente di mano alle forze di occupazione? Se si verificasse un'alleanza, anche soltanto strumentale, tra la componente borghese sciita e quella sannita? Se l'integralismo di Sadr si alleasse con il moderatismo sciita di Al Sistani, senza peraltro che le masse proletarie imbocchino percorsi autonomi? In quest'ultimo caso assisteremmo al processo opposto: le borghesie (quali?) potrebbero allearsi temporaneamente alle forze di occupazione per reprime le istanze di classe. E quali scenari si proporrebbero se soltanto la resistenza irachena fosse in grado di impedire l'agibilità politica del nuovo governo e di contrastare quella economica sabotando, come già avviene, i più importanti oleodotti e le raffinerie del paese? Questa non è una domanda retorica e priva di significato, è ciò che sta avvenendo e che temono gli strateghi militari Usa.
L'impossibilità di accedere alla sfruttamento petrolifero, le difficoltà ad iniziare il business della ricostruzione, la crescente opposizione armata, un governo provvisorio che resiste solo perché sorretto dalle forze di occupazione e a fronte di una crescente esposizione in termini di decine di miliardi di dollari e di morti tra i soldati americani, giustificano l'ultimo tremendo attacco militare alle forze della resistenza irachena. L'obiettivo primario resta quello di garantirsi, con l'uso della forza, le migliori condizioni di permanenza sul territorio iracheno attaccando e respingendo gli assalti della resistenza. Quello a un po' più lungo termine, a giugno, qualora le strategie di equilibrio tra le forze collaborazioniste lo consentissero, di arrivare al passaggio di consegne, avendo eliminato sul campo il grosso dell'opposizione. Il futuro governo, sempre se nascerà nei tempi stabiliti, avrà maggiori possibilità di sopravvivenza e di funzionare per quegli obiettivi per i quali è stato programmato, solo a condizione che le forze dell'opposizione siano debellate politicamente e fisicamente distrutte, in una sorta di pulizia etnico politica che abbia il compito di spianare la strada al prossimo governatorato americano in Iraq, sotto nuove forme ma con i vecchi contenuti.
fdBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
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