Il boia Saddam nelle mani del criminale Bush

La cattura di Saddam e gli effetti collaterali della democrazia preventiva

Quanto è stato solerte il governo americano, pur di portare la democrazia in Iraq non ha badato alla forma ma è andato dritto all'obiettivo. Ha costruito di sana pianta, con la collaborazione inglese, un dossier che avrebbe scoperto un improbabile traffico di uranio arricchito con la Nigeria per la costruzione di un'altrettanto improbabile bomba atomica, ha inventato l'esistenza di armi a distruzione di massa che non sono mai esistite dal 1991 e che precedentemente erano state fornite dai suoi stessi stabilimenti del Maryland. Ha fatto pressioni sul funzionario dell'Onu, Blix, perché confezionasse un rapporto falso sull'esistenza delle stesse, ha teorizzato, contro tutti e tutto, la legittimità di una guerra preventiva al di fuori di qualsiasi possibile interpretazione del diritto internazionale. Ha prodotto almeno trentamila morti, il 90% dei quali civili. Non ha speso un dollaro per creare le minime condizioni di vita decente per la popolazione irachena. A nove mesi dalla dichiarata fine della guerra, sia a Baghdad che in tutte le maggiori città, l'erogazione della corrente elettrica è di quattro ore al giorno, l'acqua potabile non arriva in tutte le case, non c'è benzina per far muovere i mezzi pubblici, tutto è rimasto come, se non peggio, all'arrivo delle truppe di invasione. In compenso Saddam Hussein doveva essere preso, il suo governo abbattuto, ed entrambe la cose sono state portate a compimento senza risparmio di mezzi e di uomini.

Non ha importanza, come sostengono insistenti voci arabe, che Saddam sia stato preso mesi prima ma che solo in occasione dell'inizio della campagna elettorale per le presidenziali si sarebbe resa pubblica la notizia della sua cattura. Non sposta di un millimetro la questione l'ipotesi che a prendere Saddam sia stata l'Itelligence curda di Talabani nella speranza di una futura autonomia territoriale e petrolifera, o che le cose siano andate come i media ce le hanno raccontate, Saddam doveva essere preso a tutti i costi e la missione è stata portata a compimento. È stato preso in nome di quella stessa democrazia che in occasione della prima guerra del Golfo aveva suggerito all'allora amministrazione di Bush padre di lasciarlo al suo posto nonostante una palese violazione del diritto internazionale e una serie di infami crimini compiuti nella appena finita guerra contro l'Iran. Come sanno anche i bambini, il concetto di democrazia, nelle mani dell'imperialismo, è un meschino paravento dietro il quale si celano i più squallidi interessi economico - strategici e dal quale si intravedono solo le nefande menzogne che li accompagnano ad ogni passo.

Nel non lontano '91, Saddam e il suo regime, una volta colpiti militarmente e messi in condizione di non nuocere al progetto americano di entrare a pieno titolo nell'amministrazione del petrolio del Golfo, sono stati lasciati al loro posto nonostante la concreta possibilità da parte delle forze Onu - americane di sbarazzarsi in un sol colpo di entrambi. Non solo, ma quando le popolazioni irachene, quella curda del nord e quella sciita al sud insorsero in armi contro il regime di Saddam, i resti dell'Armata repubblicana ebbero la possibilità di reprimerle ferocemente grazie al compiacente comportamento dell'esercito alleato. L'amministrazione di Bush padre non solo consentì al regime di schiacciare le opposizioni, ma gli fornì anche l'appoggio logistico e non mosse un dito a favore di quelle popolazioni che essa stessa aveva incoraggiato alla ribellione. Qualcuno parlò di infausto errore, di eccesso di approccio democratico alla guerra e di stupidaggini del genere. In realtà le cose dovevano andare in quel modo perché solo così l'imperialismo americano avrebbe potuto giustificare la sua successiva presenza militare in tutta l'area. Finchè lo spauracchio di Saddam fosse rimasto al suo posto sarebbe continuato il pericolo per i paesi petroliferi del Golfo, e il governo americano avrebbe potuto difendere le sue alleanze petrolifere dall'Arabia Saudita al Kuwait con decine di migliaia di soldati sparsi nei settori di maggiore valenza strategica. La non cattura di Saddam era funzionale alla strategia del governo americano in quella fase di approccio alla questione petrolifera del Golfo.

Nel secondo episodio le cose dovevano andare diversamente perché si stavano modificando i precedenti equilibri. Per motivi interni l'Arabia Saudita e il Venezuela, i maggiori fornitori petroliferi degli Usa, si sono dimostrati meno affidabili. La necessità di diversificare gli approvvigionamenti, la crescente dipendenza energetica americana che andava assumendo livelli preoccupanti, più del 60% del petrolio doveva essere reperito all'estero a fronte di un aumento dei consumi e della diminuzione delle scorte domestiche, la rendita petrolifera parassitaria, lo scontro tra dollaro ed euro, l'insostenibile peso dell'indebitamento complessivo dell'economia americana, lo scontro sempre più acceso con i maggiori paesi europei, con la Russia e la Cina hanno fatto il resto. I giacimenti petroliferi iracheni, secondi solo a quelli dell'Arabia Saudita, non potevano rimanere economicamente inerti mentre la recessione continuava a scavare profondi solchi nelle pieghe produttive e finanziarie dell'economia americana. A quel punto nulla avrebbe potuto fermare la guerra, niente avrebbe consentito a Saddam e al suo governo di rimanere al loro posto, benché non rappresentasse un pericolo per nessuno, sotto embargo da dodici anni, senza armi, con un esercito ridicolo e una popolazione stremata dalla fame e dalle privazioni che anni di isolamento avevano ridotto alla mera sopravvivenza. La guerra preventiva doveva necessariamente scattare, le scuse si sarebbero trovate, le menzogne sarebbero state gettate in pasto all'opinione pubblica interna e internazionale, come le caramelle ai bambini. Se avessero funzionato: bene, altrimenti si sarebbe proceduto lo stesso. Tutto è stato calcolato, la guerra doveva avere un esordio veloce, la lottizzazione per lo sfruttamento del petrolio e per gli affari della ricostruzione irachena sono stati distribuiti preventivamente, ogni dettaglio è stato studiato: da quale governo si sarebbe dovuto insediare, a quali compagnie americane avrebbero potuto amministrare il dopo guerra, a quali alleati dare le briciole del grande business e chi escludere.

In nome della democrazia si è armata la mano assassina di Saddam negli anni ottanta durante la guerra contro l'Iran. Gli si è fatto credere che, se avesse invaso il Kuwait, non gli sarebbe successo nulla, pur di creare le condizioni di una crisi dell'area con la conseguente scusa dell'intervento militare, ma lasciandolo al potere in funzione delle strategie di dominio attraverso la costante presenza militare. Sempre in nome della democrazia è stato per l'ennesima volta sconfitto, ma in questo caso catturato perché la sua permanenza al potere non solo non era più funzionale ma era diventata d'ostacolo alle mire imperialistiche americane. Da alleato a nemico numero uno degli Stati Uniti, tutto è stato possibile perché le vie della democrazia borghese sono infinite, soprattutto se portano verso il controllo monopolistico della più importante delle materie prime energetiche.

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Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.