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La rabbia delle lavoratrici e dei lavoratori del Quebc si fa sentire
La rabbia dei lavoratori e delle lavoratrici del Qué bec si fa sentire. Dopo la giornata di agitazioni di giovedì 11 dicembre gruppi di proletari in lotta hanno bloccato i porti di Montré al, Qué bec, Trois-Riviè res e Bé cancour, mentre altri hanno barricato le strade che portano alle regioni dell' Abitini, della Cote - Nord e del Saguenay-Lac-St-Jean.
Il trasporto pubblico ha subito ritardi a Qué bec e Montré al; una buona metà del personale dei servizi di assistenza all'infanzia ha incrociato le braccia ed è stato raggiunto poi dai genitori che hanno partecipato numerosi ai raduni organizzati in varie città. Nella sola Montré al erano presenti 30000 persone. Sono stati organizzati picchetti di sensibilizzazione ovunque, davanti alle scuole, ai centri ospedalieri e agli edifici governativi. In varie fabbriche ci sono state proteste ma senza la parola d'ordine dello sciopero, né la volontà da parte delle confederazioni sindacali di organizzare azioni comuni. Molti lavoratori si sono spostati per partecipare alle manifestazioni dopo il turno di lavoro.
I picchetti sono stati accolti ovunque con clacson di approvazione da parte degli automobilisti. L'intervento delle squadre antisommossa ha incontrato una resistenza determinata, più o meno efficace a seconda dei casi. Su una strada del Saguenay, ad esempio, la polizia ha attaccato in piena notte un picchetto di qualche centinaio di persone. I compagni si erano organizzati in un sit-in e così la barricata è stata rimossa e sono state arrestate 15 persone. Nel porto di Montré al, invece, i poliziotti, che avanzavano coi manganelli, si sono trovati sovrastati dalla presenza massiccia dei proletari in piedi e hanno dovuto ritirarsi. La classe operaia quebecchese ha vissuto una giornata di resistenza che non solo merita di essere apprezzata ma che mette in luce il suo potenziale e il suo ruolo fondamentale all'interno di questa società. Ma veniamo alle ragioni che hanno scatenato la rabbia dei lavoratori.
Dalla vittoria elettorale del 14 aprile scorso il Partito Liberale lavora a quella che definisce una ristrutturazione dello stato, esattamente come avviene più o meno dappertutto nel resto del mondo.
Questa ristrutturazione implica un vero e proprio smantellamento del sistema sociale nella provincia del Qué bec. In vista della finanziaria 2004-2005 il governo liberale intende rivedere la struttura statale limitando l'accessibilità ai servizi pubblici, come sanità ed istruzione, attraverso programmi di privatizzazione, subappalto e tariffazione. Vuole inoltre modificare radicalmente, se non abolire, tutta una serie di leggi e regolamentazioni considerate un freno all'occupazione, minacciando quelle sulla protezione dell'ambiente, sulla sanità e sicurezza sul lavoro. In cantiere anche una nuova riforma dei servizi di assistenza sociale che prevede attacchi sempre più duri alle centinaia di migliaia di senza lavoro con programmi di workfare e tagli senza precedenti a scapito delle famiglie monoparentali e delle persone che hanno superato i 55 anni.
Il governo ha intenzione di approvare a brevissimo termine due importanti emendamenti al Codice del Lavoro. Il progetto di legge 31 va a colpire l'articolo 45 dell'attuale Codice spianando ancor più la strada al subappalto. Il 95% delle aziende quebecchesi, infatti, ricorrono già al subappalto e il Qué bec, grazie al lavoro del PQ (Partito del Qué bec) e alla collaborazione dei sindacati, è una delle province in cui il fenomeno è più diffuso. Il progetto di legge 30, invece, porterà alla fusione delle unità sindacali del settore sanitario e dei servizi sociali. Noi non ci accodiamo a chi denuncia la fusione forzata di strutture borghesi e collaborazioniste quali sono oramai i sindacati. Tuttavia, il progetto prevede la fusione delle unità sindacali secondo un modello di 5 categorie lavorative predeterminate e inamovibili, il che implica che molto probabilmente intere categorie del personale attuale verranno subappaltate senza possibilità di appello. Per finire, il governo liberale si propone di aumentare di 520 dollari le spese annuali di custodia per ogni bambino, rendendo allo stesso tempo più cavillose le procedure burocratiche per accedere a questi servizi essenziali.
Le ragioni immediate che hanno portato alle ultime agitazioni sono le modifiche al Codice del Lavoro e l'aumento dei costi dei servizi di assistenza, ma è chiaro che queste mobilitazioni sono espressione dell'inquietudine crescente di chi si vede attaccato su tutti i fronti nelle condizioni di vita e di lavoro: è probabile il rincaro dell'elettricità (sostenuto tra gli altri dalla FTQ - la Federazione dei lavoratori del Qué bec), il rincaro annunciato dei prezzi dei mezzi pubblici per non parlare dei costanti aumenti delle spese d'affitto. È inevitabile che esploda la rabbia e sembra che le lotte vadano allargandosi, nonostante la vasta propaganda delle ultime settimane che vuole far passare buona parte dei lavoratori e delle lavoratrici della sanità per dei sadici e la giornata di lotta dell'11 per un atto di sabotaggio al buonismo delle feste natalizie.
Ma come ci si deve porre di fronte alla necessità di dare un seguito e quindi una speranza di successo a queste lotte? Innanzitutto, non bisogna cadere nelle trappole che la classe dominante ci tende con la sua schiera di pennivendoli e collaboratori sindacali. La prima è quella della dispersione e divisione delle lotte che i sindacati hanno provveduto a rendere ancora più efficaci. I sindacati prendono posizioni che incitano a parole a fronti comuni e a un ipotetico sciopero generale (ed è in questo senso che bisogna spingere) ma nei fatti fino ad oggi non abbiamo visto neanche uno straccio di manifestazione! Questo rientra perfettamente nella pratica dei sindacati di svendere la classe proletaria spacciandosi per difensori dei suoi interessi, quando invece i vari capoccia sindacali non aspettano altro che un cenno benevolo dal Primo Ministro per "riaprire il dialogo". La presidente della CSN - la Confederazione Sindacale Nazionale - ha riconosciuto al governo tutti i diritti sulla legislazione e, alla stregua dei colleghi delle altre federazioni, promette senza convinzione di mantenere l'ordine. C'è di più, la ragione principale per cui è impossibile persino concepire l'idea di una manifestazione unitaria sta nel vantaggio che conseguirebbero alcuni dei sindacati a scapito di altri dalle fusioni imposte dal progetto di legge 30. Devono pur conservare la loro "parte di mercato" di schiavi salariati su cui hanno il controllo! Non stupisce allora che all'Alouette, fabbrica di alluminio di Sept-Iles e alla Gaspé sia di Chandler i lavoratori vengano aggrediti dai gorilla sindacali perché non hanno la tessera giusta... A tutto questo noi dobbiamo opporre l'unità di tutti i lavoratori e lavoratrici, con e senza lavoro, senza distinzione di categorie, l'unità che abbiamo constatato con piacere nei picchetti e in alcune manifestazioni locali. Fuori dai sindacati! Organizziamoci in assemblee generali, contro il sindacalismo e il corporativismo dei sindacati, sui luoghi di lavoro, nei quartieri e nelle regioni, coordinandoci il più possibile. La logica sindacale e la divisione non possono che portarci alla sconfitta.
La seconda trappola è quella di ridare fiducia al Partito del Qué bec. È evidente che Charest e i suoi liberali altro non sono che dei gran farabutti, ma non possiamo per questo dimenticare i torti che il PQ, questo partito borghese, ha fatto alla classe proletaria. Non solo André Boisclair, ambizioso leader dell'opposizione afferma pretenziosamente che il PQ si è fatto portavoce dei nostri interessi ma quel farabutto del presidente Landry ha il coraggio di venire a fare discorsi nelle nostre manifestazioni. Non ci siamo dimenticati che è stato proprio il PQ ad avviare una nuova ondata di tagli e controriforme quando era al governo, né dell'odioso "Deficit Zero" del 1996-97 applicato risolutamente con l'appoggio entusiasta dei sindacati e nemmeno delle leggi brutali contro la bella lotta delle infermiere, per non parlare poi dell'infame dichiarazione di Landry in cui si lasciava intendere che le donne delle famiglie povere sono meno intelligenti degli uccelli, dato che almeno questi ultimi riescono a sfamare i loro piccoli. Diciamo no al PQ ed escludiamo i partiti borghesi dalle nostre lotte.
La terza trappola è credere che esista una soluzione duratura all'interno del sistema capitalista. Come abbiamo già detto sopra, il problema non si risolve con la caduta del governo liberale. La palla passerebbe allora al partito del Qué bec o all'ADQ (Azione Democratica) che non farebbero altro che riproporre tagli, riduzioni e controriforme di cui la classe sfruttatrice ha assolutamente bisogno. Questo avviene a livello mondiale: governi di tendenze diverse ma tutti indistintamente asserviti alla borghesia sferrano attacchi contro la classe operaia in maniera più o meno identica. Questo è il futuro che ci riserva la società di classe, la cruda realtà dello sfruttamento capitalista.
Gruppo Internazionalista Operaio (BIPR)Battaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
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