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Home ›In difesa delle pensioni - Le riforme sono tutte un imbroglio
È stato dato ultimamente alle stampe il libro di Giovanni Mazzetti, docente di Economia all'università della Calabria, il cui titolo "Il pensionato furioso" fa da contrappunto, con una disamina puntuale e ben argomentata da riferimenti numerici, a tutta la sequela di ignobili idiozie che fanno parte della campagna mediatica volta contro i pensionati visti come parassiti o lucratori di ricchezza da altri prodotta. Il libro, di per sé molto scorrevole, si incentra sulla critica ai sostenitori dei tagli alle pensioni i quali, con tono assertivo degno di miglior causa, ritengono tali misure ineludibili se (poteva mai mancare?), si vuole riavviare l'economia verso un circolo virtuoso. È questa una mistificazione ormai più che datata e di cui il cavaliere di Arcore è solo l'attuale interprete ma che ha avuto quali precursori personaggi come Amato, Dini che, con la sua riforma, ha già tagliato il rendimento delle pensioni di un buon 40%.
La critica del professor Mazzetti tende a smontare il castello di fandonie e luoghi comuni che quotidianamente vengono ammanniti da destra e da sinistra e che, in estrema sintesi, si concentrano sul cosiddetto problema delle "culle vuote", sul conflitto tra generazioni e sulle virtù salvifiche del sistema pensionistico a capitalizzazione.
Quando si parla di pensioni, giova ribadire, non si fa riferimento né ad un regalo né tantomeno ad una benevola concessione: per essere più precisi, è vero che i pensionati godono dei frutti dei lavoratori in attività però è altrettanto vero che i pensionati con la loro precedente opera hanno fornito i mezzi per allevare i lavoratori attuali, hanno creato le condizioni materiali sulle quali si basa il mondo produttivo odierno, ferrovie, autostrade, fabbriche, ospedali ecc. e, a loro volta, hanno provveduto a mantenere gli anziani delle generazioni precedenti. La pensione, pertanto, alla luce di queste considerazioni, non può essere vista come un fatto meramente economico o di carattere privatistico: la pensione è un fatto sociale. Non ci sono accantonamenti in denaro che tengano in quanto nel momento in cui il lavoratore andrà in pensione dovrà necessariamente trovare persone che producano per lui, deve giocoforza gravare su altri. Ma tutto questo trova compendio nelle relazioni di reciprocità che hanno sempre caratterizzato le vicende umane. Inoltre, il classico gruzzolo che secondo certe teste d'uovo, adottando il sistema a capitalizzazione, dovrebbe assicurare una serena vecchiaia non assicura per niente che il potere d'acquisto attuale rimanga immutato da qui a 40 anni. Possono sopravvenire variabili impreviste quali catastrofi sociali: ad esempio il crollo dell'URSS ha gettato nella fame più nera milioni di lavoratori i cui risparmi erano diventati carta straccia. Ma può anche accadere che qualche furbo se ne appropri.: la statunitense Enron ha letteralmente rubato gli accantonamenti di migliaia di lavoratori americani. Senza considerare che giocano un ruolo molto importante anche taluni cambiamenti quali l'inflazione, il mutamento dei costumi e degli stessi rapporti produttivi. Tutto ciò premesso ci si rende conto come lo spauracchio agitato delle culle vuote che ha per conseguenza "la riduzione del numero di coloro che possono dare un contributo per la corresponsione delle pensioni" altro non è che una grossa panzana poiché i neonati raggiungono l'età lavorativa solo dopo qualche decennio e fino ad allora devono essere a loro volta mantenuti dalla popolazione attiva. È un discorso quindi fuorviante poiché una maggior chiarezza imporrebbe di riferirsi ai "neonati al mondo della produzione", cioè a tutta quella forza-lavoro giovanile in cerca di occupazione infatti, mentre i figli costano, i giovani possono produrre e, rapportando il tutto alla attuale produttività del lavoro, sono in grado di mantenere se stessi nonché fornire un grosso contributo al mantenimento della popolazione non attiva, pensionati compresi. I laudatores della riforma pensionistica vanno oltre e favoleggiano sull'insanabile conflitto tra generazioni facendo in tal modo del terrorismo irresponsabile.
Come altro può essere definita un'asserzione come la "carica degli anziani"? E cosa dire sull'affermazione che i pensionati sottrarrebbero risorse che potrebbero essere usate per "garantire la soluzione del problema della disoccupazione"? Sembrano riecheggiare le stesse parole d'ordine fatte circolare dopo gli accordi del luglio '93. Da allora, tanto per capirsi, nonostante l'introduzione massiccia del lavoro precario e la conseguente drastica riduzione del costo della forza-lavoro si sono persi oltre un milione di posti di lavoro. Dobbiamo quindi desumere che la tattica è sempre la stessa: si creano degli allarmismi, delle pseudo situazioni d'emergenza per far passare misure che hanno il precipuo scopo di ridurre ulteriormente il costo della forza-lavoro e rimpinguare così le tasche di parassiti vari. Si potrebbe comprendere questo conflitto tra generazioni soltanto in una situazione di sottosviluppo laddove ogni più piccola risorsa deve essere incanalata verso quella accumulazione che è alla base dello sviluppo capitalista, cosa che non è attualmente se si pensa che gli impianti vengono utilizzati solo in parte e che già adesso siamo in presenza di 3 milioni di disoccupati e di un milione di sottoccupati. Viene da chiedersi a chi possa giovare questo gioco al massacro se un "maitre a penser" della riforma pensionistica, Federico Rampini che scrive su "Repubblica", ammette che: "saranno sempre gli occupati a produrre il reddito con cui si mantengono i pensionati". A quale scopo penalizzare una categoria di persone che, da sola, costituisce una parte cospicua della domanda di beni e servizi? È solare come in queste ben misere crociate si voglia andare a parare sui fondi pensione e sugli appetiti sempre robusti del capitale finanziario. Il Rampini sostiene infatti che col sistema a capitalizzazione l'individuo mette da parte dei contributi che sono gestiti in un fondo pensione e pertanto vengovengono sistematicamente rivalutati. La realtà, purtroppo per Rampini, ha dimostrato che al posto di rendimenti si deve parlare solo di perdite nell'ordine del 3,5% relativamente all'ultimo biennio e per il prosieguo le previsioni non propendono per il rialzo. Ma anche nel caso si ottenessero, per ipotesi, dei rendimenti, per speculazioni di borsa, interessi sui titoli ecc., i pensionati dovrebbero comunque avvalersi delle prestazioni di chi lavora. In questo caso, come per incanto, i lavoratori attivi devono mantenere i pensionati i quali comprano ciò che loro necessita mediante i rendimenti dei fondi pensione, i rendimenti derivanti dalle speculazioni del capitale finanziario. Ci si scandalizza invece se comprano quanto loro serve attraverso il lavoro "sociale" da essi svolto in passato e che si materializza nella pensione. Pare proprio che questi Soloni cercano in tutti i modi di negare il "reale potere del lavoro sociale" in quanto vogliono degli individui atomizzati che potranno anche essere, nella migliore delle ipotesi, dei "percettori di rendite" ma che saranno soprattutto delle entità disancorate dalla strategia unificante della classe. È purtroppo questo il domani che va sempre più prefigurandosi per milioni di lavoratori che si imbatteranno in un problema come la povertà che finora era esclusivo appannaggio di persone che non erano mai entrate nei processi produttivi o c'erano entrate solo saltuariamente. Quel che va prendendo consistenza è una situazione di vera e propria pauperizzazione che interesserà quasi tutti i lavoratori i quali avranno di fronte la prospettiva di uno sfruttamento più che certo sui posti di lavoro e di un avvenire molto incerto una volta messi a riposo cioè solo dopo che - sempre per non pesare sulle giovani generazioni - si saranno scavati con le loro mani anche la fossa.
ggBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #12
Dicembre 2003
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