Georgia - Cade Shevardnadze ma è solo un breve tregua

Nonostante i numerosi complotti e i diversi attentati, Shevardnadze, il presidente della Georgia, era sempre riuscito a rimanere a galla. Ma il sospetto che alle ultime elezioni avesse conservato la presidenza della repubblica grazie a brogli elettorali, ha fatto traboccare il vaso e così le forze dell'opposizione non hanno avuto alcuna difficoltà a mobilitare la popolazione stanca del caos e di una crisi economica che mentre la impoverisce ogni giorno di più favorisce il dilagare di ogni sorta di attività criminale.

Dopo tre settimane di proteste di piazza, i manifestanti, guidati dal giovane leader nazionalista, Mikhail Saakashevili, hanno invaso il parlamento costringendo il vecchio presidente, in carica da ben 11 anni, prima alla fuga e poi, anche grazie alla mediazione del ministro degli esteri russo Ivanov, alle dimissioni. Lo ha sostituito, ad interim fino alle prossime elezioni che dovranno svolgersi entro il 7 gennaio 2004, la presidente del parlamento Nino Burdzhanadze.

Il temuto spargimento di sangue è stato in tal modo evitato, ma non per questo la Georgia sembra avviata verso un periodo di stabilità. D'altra parte Il fatto stesso che ad emergere siano stati due personaggi di formazione, uno americana e l'altra russa, dice con molta chiarezza che la partita che si sta giocando è ben più importante della semplice conquista del potere interno i cui esiti potrebbero risultare determinati nella lotta per il controllo del petrolio del Caucaso e del Mar Caspio con riflessi sull'intero mercato mondiale.

Già Shevardnadze aveva tentato di trarre profitto dalla posizione strategica del suo paese concedendo alle multinazionali petrolifere statunitensi il permesso di avviare la costruzione di un oleodotto che dai campi petroliferi di Bakou, passando per Tiblisi fino a Ceyan in Turchia, consente al petrolio del Mar Caspio di raggiungere i mercati mondiali senza passare dagli oleodotti russi già operativi. L'ex ministro degli esteri della defunta Unione sovietica sperava di ottenere in cambio del suo consenso all'oleodotto la sicurezza militare e sostanziosi aiuti economici indispensabili per uscire dalla gravissima crisi in cui versa il paese; ma non ha ottenuto che un pugno di marine e qualche spicciolo. Troppo poco sia per contrastare la forte presenza militare dei russi che nel paese dispongono ancora di alcune basi sia per fronteggiare la crisi economica. Anzi a seguito di ciò sia le tensioni interne sia quelle con la Russia e i paesi islamici vicini, preoccupati che la Georgia possa assurgere al ruolo di potenza regionale, si sono intensificate e sarebbero sfociate in una guerra civile se, quando è apparso chiaro che Shevardnadze non era più in grado di controllare la situazione, gli Stati Uniti non avessero deciso di abbandonarlo al suo destino e di puntare tutto sul più popolare Mikhail Saakashevili, che, infatti, ha già annunciato la sua candidatura alle prossime elezioni. La Russia, pur non strappandosi i capelli per Shevardnadze, non si fida neppure dei suoi oppositori e si mantiene guardinga avendo cura di ricordare alle diverse fazioni in lotta e in particolar modo a quella più apertamente legata a Washington, che non è disposta in alcun modo a consentire ulteriori sbilanciamenti della Georgia verso gli Usa e, seppure con diplomazia, non fa mistero che pur di evitare una simile deriva è ben determinata a usare le ancora numerose armi in suo possesso. Non solo quelle militari, ma anche e soprattutto quelle economiche. L'economia georgiana, infatti, dipende quasi per intero da quella russa e basterebbe che Putin decidesse di bloccare le rimesse del milione e oltre di emigrati (su una popolazione di cinque milione di abitanti) che lavorano in Russia per farla collassare del tutto.

Gli Usa, la cui supremazia è tutta incentrata sul controllo del mercato mondiale del petrolio, a loro volta non possono in alcun modo consentire che l'area con le maggiori riserve petrolifere del mondo, dopo quella mediorientale, cada sotto il controllo di uno dei loro più pericolosi rivali; peraltro in rapporti di affari sempre più in stretti con la zona di quell'euro che, nonostante le recenti difficoltà interne, si sta confermando come l'unica valuta in grado di porsi in concorrenza con il dollaro nei processi di appropriazione della rendita finanziaria che proprio il controllo del mercato del petrolio consente di realizzare.

Stretta nella morsa di questi contrastanti interessi, difficilmente la Georgia del dopo Shevardnadze, uscirà da quel caos che ne fa oggi una sorta di terra di nessuno in cui si scontrano i diversi predoni imperialisti così come le più spietate bande della criminalità internazionale. Purtroppo, in assenza di un'autentica alternativa antimperialista, Il suo destino è la guerra che, seppure camuffata sotto le più variegate forme, ormai imperversa in tutte le aree che rivestono una qualche importanza strategica nella lotta per il controllo del petrolio e delle sue vie.

Giorgio

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.