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India
Non meno di 50 milioni di lavoratori hanno preso parte allo sciopero di 24 ore del 21 maggio contro la decisione del governo di privatizzare numerose imprese statali e contro le modifiche proposte alle leggi sul lavoro. I settori maggiormente colpiti dalle riforme sono quelli in cui l'adesione allo sciopero è stata più forte: banche, assicurazioni, miniere, trasporti, petrolio, energia. La città di Calcutta, capitale dello stato del Bengala, è rimasta praticamente deserta, senza autobus e trasporti pubblici, con uffici e negozi chiusi e i porti bloccati, attraversata solo dai vari cortei di dimostranti. Lo sciopero è stato pressochè totale anche in Andhra Pradesh, Kerala, Tripura e Jharkhand. Proteste e cortei hanno avuto luogo anche a Bombay, pricipale centro finanziario, e Nuova Delhi, presidiate da decine di migliaia di poliziotti. A Nuova Delhi in particolare si sono verificati scontri tra manifestanti e "forze dell'ordine", con cariche della polizia, cartelli e striscioni strappati, numerosi arresti. Tra le preoccupazioni dei lavoratori, c'è soprattutto quella di perdere il posto di lavoro. Infatti il governo Vajapee, oltre alla vendita di proprietà e imprese statali per circa 2,75 miliardi di dollari, prevede anche una radicale riforma del mercato del lavoro che renderà ancora più facili i licenziamenti e permetterà di ridurre significativamente i contributi versati dalle aziende, tagliando quella quota di salario non percepito immediatamente in busta paga, ma in maniera indiretta come servizi sanitari e sussidi di anzianità. La protesta, pur con una partecipazione massiccia e in alcune regioni pressochè totale, è rimasta saldamente in mano ai sindacati che, più che opporsi al peggioramento delle condizioni dei lavoratori, hanno cercato di utilizzare il malcontento in funzione antigovernativa. E infatti uno sciopero di sole 24 ore, di fronte ad un attacco frontale di questa portata, può avere solo una natura strumentale, senza andare minimamente ad intaccare le necessità capitalistiche di riduzione delle spese statali, taglio ai costi di produzione, e quindi ai salari e alle pensioni, flessibilizzazione e precarizzazione dei rapporti di lavoro.
Israele
Dopo cinque duri giorni di sciopero, è terminata la lotta dei dipendenti statali guidata dal sindacato Histadrut. Pur con una adesione insolitamente alta e una eccezionale combattività dei lavoratori, che hanno paralizzato uffici pubblici, municipi, ospedali, aeroporti, ferrovie e trasporti pubblici, lo sciopero si è concluso in una sostanziale sconfitta. Infatti l'imbelle politica sindacale e riformista che ha guidato le proteste null'altro ha potuto ottenere dal governo se non un rinvio della privatizzazione dei fondi pensionistici. E il governo guidato dal Likud potrà proseguire speditamente nell'attuazione delle riforme, nella riduzione delle spese statali e nella riduzione massiccia dei dipendenti pubblici. E Netanyahu, al colmo dell'arroganza e del disprezzo dei lavoratori, si è persino permesso di affermare: "Ora potremo licenziare più facilmente i lavoratori meno efficienti e premiare solo chi si dimostra davvero utile".
Cambogia
Si è conclusa nel sangue la giornata di protesta degli operai del settore tessile fissata per il 13 giugno. Le centinaia di poliziotti inviati a reprimere le proteste non hanno esitato a sparare sugli operai e per loro non è stato difficile disperdere il migliaio di lavoratori che tentavano entrare nel centro della capitale Phnom Penh, specialmente dopo l'intervento di reparti dell'esercito inviati dal governo a presidiare l'area. Il bilancio è stato di due morti e una trentina di feriti, distribuiti tra forze dell'ordine e manifestanti. Il poliziotto è deceduto in ospedale, a seguito dei colpi ricevuti durante la carica più violenta. L'operaio è invece morto sul colpo, ucciso da un colpo di fucile al petto. Anche le manifestazioni operaie del giorno seguente, indette per protestare contro la repressione e l'assassinio di un loro compagno, hanno subito diverse cariche della polizia.
Il settore tessile è di primaria importanza per l'economia cambogiana. Le 220 aziende del settore l'anno scorso hanno esportato beni per più di un miliardo di dollari, pari al 77% del PIL. Spesso la produzione avviene su commissione dei grandi marchi internazionali dell'abbigliamento sportivo, come Nike, Adidas e Gap, e va a servire soprattutto il mercato statunitense. Nella maggior parte dei casi, i lavoratori sono sottoposti al totale arbitrio dei loro datori di lavoro. Infatti da un lato il governo, nel completo disinteresse della normativa che regola i rapporti di lavoro e che prevede formalmente la libertà di associazione dei lavoratori, nei fatti avalla tutte le azioni antisindacali delle imprese, dall'altro gli stessi operai del settore tessile, che arrivano in gran parte dalle zone rurali, hanno una scarsa consapevolezza dei propri diritti e solo in rarissimi casi denunciano le discriminazioni, le intimidazioni e i soprusi subiti quotidianamente. Nei casi peggiori si può arrivare anche all'arresto, come capitato a due sindacalisti che, accusati di incitamento alla violenza durante uno sciopero avvenuto mesi prima contro il trasferimento della produzione nell'ancora meno tutelato Vietnam, sono stati tenuti in carcere dal luglio fino al novembre del 2002.
Spagna
Diventa sempre più grave la situazione dei lavoratori delle grandi compagnie di telecomunicazioni europee. Telefonica, la compagnia spagnola, ha annunciato un numero di esuberi nel solo settore della rete fissa pari a 15mila lavoratori, quasi la metà dei 40mila dipendenti spagnoli. I tagli annunciati superano ampiamente le cifre previste dagli analisti di mercato, che si aggiravano attorno ai 10mila licenziamenti. Le cose non vanno meglio negli altri stati: France Telecom ad esempio ha annunciato che intende liberarsi di 13mila dipendenti entro quest'anno, mentre Deutsche Telecom intende licenziarne addirittura 55mila entro il 2005.
Germania
Secondo quanto riportato dal quotidiano economico Handelsblatt, la società pubblica che gestisce le ferrovie tedesche, la Deutsche Bahn, avrebbe deciso di tagliare altri 40mila posti di lavoro, nonostante negli ultimi dieci anni l'organico dell'azienda sia già stato ridotto del 44%, passato da 380mila dipendenti agli attuali 210mila. I tagli sarebbero stati annunciati dal presidente del gruppo nel corso di una dichiarazione fatta a Londra, contraddicendo le rassicurazioni date fino a metà maggio, quando durante il briefing sul bilancio aveva sostenuto che i programmi aziendali non prevedevano alcuna riduzione dei posti di lavoro.
Italia
Da sempre il settore dell'edilizia è tra quelli che maggiormente mettono a rischio la vita e la salute dei lavoratori, ma negli ultimi tempi la situazione sta ulteriormente peggiorando. Secondo i dati forniti dai sindacati, dall'inizio dell'anno ci sono stati 104 morti accertate in cantieri edili. Dal conto sono esclusi gli irregolari, spesso immigrati extracomunitari, perchè non sono presenti nell'anagrafe della Cassa Edili nè in quella dell'Inail, da cui sono stati ricavati i dati. Tra i decessi, il 39% è dovuto a cadute da impalcature, il 13% al crollo dei muri, il 13% finisce travolto da gru, carrelli elevatori o ruspe, l'8% colpito dai materiali di lavoro, il 7% folgorato. Spesso tra le cause degli incidenti figura l'errore o l'imperizia dei lavoratori, ma questo può essere smentito dal dato sull'età media delle vittime, che si aggira attorno ai 40 anni. Le vere ragioni dell'alto numero di incidenti risiedono altrove, nell'organizzazione del lavoro orientata alla massimizzazione del profitto e alla riduzione di tutti i costi, compresi quelli legati ai minimi livelli di sicurezza. Inoltre i ritmi di lavoro sono sempre sostenuti, i rapporti di lavoro precari, le imprese di dimensioni piccole, la forza dei lavoratori minima, soggetti ad ogni sorta di ricatto padronale pur di non perdere il posto di lavoro. La nuova legge 30 introdurrà ancora maggiore precarietà e potrà solo aggravare la condizione degli edili italiani, che registrano un tasso di mortalità pari a 3,3 ogni 100mila lavoratori, contro una media europea di 2,7.
micBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #7
Luglio-agosto 2003
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