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Home ›Terrorismo e integralismo islamico - Ma solo la lotta di classe è antimperialista
L'integralismo ha origini lontane, muove i primi passi nei primi decenni del secolo scorso, isolato dalle grandi masse, non ha mai giocato un ruolo significativo all'interno delle società islamiche se non a partire dagli ultimi anni. Il terrorismo islamico invece è un fenomeno recentissimo, è la risposta che in una parte del mondo arabo ha preso corpo contro il mini imperialismo israeliano e quello ben più potente ed arrogante degli Stati Uniti. La nascita delle maggiori organizzazioni terroristiche è scandita, non a caso, da episodi di aggressione patiti nelle aree economiche e strategiche più importanti del Medio oriente e non solo.
Nel 1967 in occasione della disfatta del movimento palestinese e della intera Lega Araba in seguito alla guerra dei sei giorni, nasce la Jihad islamica che inizia la sua attività terroristica nei territori occupati e nel resto del mondo contro obiettivi israeliani. Nell'87, quando nasce in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza la prima Intifada, sorge il movimento Hamas che si propone alla masse palestinesi come unico interlocutore in contrapposizione all'Olp di Arafat. Nel 1982, in occasione dell'invasione israeliana del sud del Libano, la cosiddetta operazione di pace in Galilea, l'integralismo libanese da vita al movimento degli Hezbollah che ancora oggi promuove azioni terroristiche e di guerriglia contro lo stato di Israele. A partire dal 1992, dopo la conclusione della prima guerra del Golfo, nasce e si potenzia in molti paesi islamici Al Qaeda, responsabile di una serie di attentati contro obiettivi americani in alcuni stati africani, nello Yemen, negli stessi Stati Uniti con gli avvenimenti dell'11 settembre, e per ultimo, la strage di Casablanca in Marocco.
Benché queste organizzazioni possano vantare un seguito all'interno delle masse islamiche, grazie al fallimento di ideologie democratico-borghesi e delle stesse esperienze socialisteggianti, e in virtù di una ripresa del ruolo ideologico, religioso e politico delle Moschee, favorito dalla crescente pauperizzazione di stratificazioni sempre più ampie della popolazione, il loro intimo proposito politico è dei più reazionari e anti popolari che si possano immaginare.
L'integralismo compare sulla scena politica del mondo arabo come la rivincita della teocrazia che per molti anni, soprattutto dalla chiusura della seconda guerra mondiale sino agli inizi degli anni settanta, ha dovuto cedere il passo a governi laici o di ispirazione stalinista, tipici del periodo della guerra fredda.
La natura del fondamentalismo e dell'integralismo, inteso come sua appendice armata, è conservatrice sul terreno economico, reazionaria su quello politico, e ispirata ad una sorta di fascismo nazional teocratico su quello ideologico.
In economia le idee e le prospettive sono chiare. L'unica forma produttiva praticabile è il capitalismo, cieca osservanza quindi alle sue inderogabili leggi, ogni deviazione o violazione viene punita secondo le rigide interpretazioni della sharia, ogni altra ipotesi di economia alternativa è bandita come frutto del pensiero del demonio.
Politicamente l'integralismo si presenta come un regime reazionario su tutti i fronti sociali. Da quello del ruolo della donna alla sottomissione del cittadino alle rigide norme religiose. Il suo obiettivo è quello di uniformare le strutture dello stato, il diritto civile e penale, il rapporti tra i cittadini e il potere, tra i cittadini stessi, in modo particolare tra uomini e donne, alle leggi del Corano. Ogni deviazione è punita con pene corporali e detentive, sino all'esecuzione capitale per i reati ritenuti più gravi. Nessun diritto civile, di associazione, che non siano quelle religiose, tantomeno sindacali. Ideologicamente lo si potrebbe definire una sorta di fascismo teocratico la cui maggiore attitudine è quella di esprimersi violentemente contro qualsiasi forma di laicismo e di comunismo. I comunisti, anche se nella versione stalinista, ma all'integralismo certe sottigliezze sfuggono, sono stati sempre le prime vittime sacrificate sull'altare dell'ideologia fondamentalista. È successo in Afganistan con il regime dei Mujaheddin prima e con quello dei Talebani poi. È avvenuto in Iran nel corso della rivoluzione khomejnista che ha visto il Tudeh, il partito comunista iraniano, eliminato fisicamente nello spazio di pochi giorni, in Sudan. Ovunque l'integralismo è salito al potere la sua mannaia si è ferocemente calata suoi comunisti atei e figli di satana.
Ciononostante l'integralismo trova simpatizzanti tra le file di sedicenti comunisti rivoluzionari. La simpatia oscilla tra una posizione di appoggio critico e una di appoggio incondizionato a seconda del livello di incomprensione del fenomeno. Anche le motivazioni variano. La più praticata è quella relativa al presunto anti imperialismo. Ci si dimentica che l'unico anti imperialismo possibile passa attraverso l'anti capitalismo; ogni altra soluzione, anche la più violenta e politicamente determinata rimane all'interno degli schemi borghesi e nazionalistici. Un esempio è rappresentato proprio dalla rivoluzione integralista iraniana del '79 che ha sì cacciato con la monarchia dello Shàh gli Usa dall'area del Golfo, ma nulla ha prodotto sul terreno della modificazione dei rapporti di produzione. Al dunque ha rappresentato soltanto uno scontro tra due settori della borghesia, benché di peso militare e imperialistico diversi, che si sono confrontati sulla questione della egemonia e del controllo del petrolio. Per il proletariato, e più in generale per le masse iraniane, nulla è cambiato nei rapporti tra capitale e forza lavoro, con un salto all'indietro di qualche secolo sul fronte delle libertà civili e sindacali.
La seconda motivazione riguarda un vecchio vezzo codista che non ha mai cessato di esistere all'interno del movimento operaio, che facendo eco alla prima, recita così: in questi movimenti, nonostante limiti e difetti, si muovono le masse dei lavoratori. Il loro muoversi è forte e determinato, si oppone alle mire dell'imperialismo e dunque lì è il posto dei rivoluzionari che le devono sostenere a tutti i costi. Ma proprio lì sta la tragedia, che le masse vengano attratte all'interno di movimenti nazionalistici, borghesi, conservatori e reazionari. Il compito dei rivoluzionari non è mai quello di entrare a far parte di simili movimenti solo perché contengono le masse, il loro obiettivo è esattamente il contrario, cioè quello di spostare le masse da quell'involucro che le condiziona e le sconfigge su tutti i fronti, per ricondurle su di un terreno di classe. Guai se nemmeno si ponesse l'opzione rivoluzionaria, sarebbe la certa sconfitta, l'ennesima battaglia perduta, oltretutto sotto le bandiere della più arretrata delle borghesie, quella teocratica e fascista, senza nemmeno affrontare il problema di una futura alternativa di classe.
L'ultima, che suona come una critica proprio all'alternativa classista, invoca la mancanza di tutte le condizioni soggettive ad un passaggio rivoluzionario. Si può parlare di spostare sul terreno rivoluzionario le masse solo a condizione che esista un partito rivoluzionario, che sia sufficientemente radicato tra i lavoratori; allora e solo allora si porrà il problema in termini di classe. Oggi non è così, continua l'ultima delle motivazioni, quindi tanto vale appoggiare questi movimenti integralisti, favorire la loro vittoria anti imperialista, e poi si vedrà. Se è vera la prima parte della formulazione, che mancano cioè le condizioni soggettivo per una proposta rivoluzionaria che si ponga come alternativa alla via teocratica e nazionalistica, è profondamente errata la seconda. Se le condizioni soggettive non esistono, il primo compito delle sparute avanguardie rivoluzionarie è quello di contribuire a crearle. La nascita di avanguardie comuniste, la costruzione politica di quadri rivoluzionari, e in prospettiva la costruzione di un partito di classe, non calano giù dal cielo per grazia ricevuta. Sono frutto di un lavoro costante e quotidiano, e certamente non si favorisce questo processo, lungo e difficile, in questi ambiti sociali anche rischioso sul piano fisico, annullandosi acriticamente all'interno dei movimenti integralisti che per ideologia, prospettive politiche e contenuti economici, ne sono la più assoluta e drammatica delle negazioni. Chi pensasse che una simile soluzione tattica produrrebbe, nel breve o nel lungo periodo, le migliori condizioni per una futura ripresa delle lotta di classe in senso rivoluzionario, commetterebbe il più grave degli errori. In primo luogo consegnerebbe immediatamente la rabbia e la frustrazione della masse arabe agli interessi economici e politici della più reazionaria delle borghesie, in secondo luogo inibirebbe per il futuro qualsiasi possibilità di creazione di quelle condizioni soggettive che sole potrebbero rovesciare i termini della partita in senso classista e rivoluzionario. La vecchia talpa continua a scavare ma in senso opposto.
fdBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #6
Giugno 2003
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