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Home ›Ancora a proposito di pensioni - Anche ridotte al lumicino costano troppo
A quanti, per ragioni le più varie però riconducibili sempre ad una sola logica, continuano a rimestare il problema non più eludibile, secondo loro, della riforma delle pensioni riteniamo sia doveroso contrapporre qualche elemento di riflessione per riportare, finalmente, l'intera questione nel suo alveo più comprensibile
e smascherare, in tal modo, gli attori e le strategie che sottendono questa campagna tanto forsennata quanto vergognosa contro i lavoratori. Gli spunti per farlo sono copiosi ove si pensi ai vari dossier approntati dai principali quotidiani borghesi, filogovernativi e no, e, non ultimo, la relazione di D'Amato all'assemblea di Confindustria. Tutti questi attacchi, pur partendo da presupposti diversi, hanno il raro ed illuminante pregio (si fa per dire) della loro concentricità. Che provengano da destra o da sinistra posseggono comunque il risvolto comune di identificare nella riforma delle pensioni un problema la cui soluzione non può essere più procrastinata. Gli uni martellano, giorno dopo giorno, sul costo del lavoro e postulano la riduzione dei contributi per le imprese in relazione ai nuovi assunti nonché il trasferimento obbligatorio del TFR nei fondi pensione ritenendo che la previdenza complementare possa essere il volano, l'elemento propulsore dei mercati finanziari italiani in crisi, considerando soprattutto che la quota annua di TFR da gestire si aggira sui 24 mila miliardi di lire. Di converso gli altri, per ragioni meramente di bottega e per contrapposizione a questo governo da avanspettacolo, sfornano dati che finora erano rimasti sottaciuti in base ai quali se già tempo addietro si prevedeva che per quanti sarebbero entrati adesso nel mondo del lavoro la pensione si sarebbe attestata sul 55% dell'ultima retribuzione riscossa, ebbene questa stima è stata di recente rimodulata verso il basso e si parla apertamente del 40% per arrivare a picchi addirittura del 27%.
Ambedue le parti danno quindi per assodato che il progetto di riforma sia incontestabile e che costituisca la misura più urgente per il risanamento dell'economia nazionale. Si paventa che nel 2030 ci sarà, stante questo sistema a ripartizione, la famigerata gobba con relativi effetti nefasti che seguono a cascata.
Gioco molto sporco e pesante che, avvalendosi di catastrofismi vari e di contrapposizioni capziose come quella tra padri e figli, mira a colpire sempre più il mondo del lavoro. Ma di quale gobba si parla? È veramente la gestione pensionistica dell'INPS deficitaria? Rappresenta la previdenza complementare il vero toccasana?
È da sempre che il deficit dell'INPS è dovuto a spese improprie quali le pensioni di invalidità, i sostegni a crisi e ristrutturazioni industriali, gli sgravi contributivi concessi alle aziende, sussidi vari e altro ancora. Se si separassero le mere spese di previdenza da quelle di assistenza questo deficit non ci sarebbe.
È stato dimostrato inoltre che i costi di gestione dell'INPS sono sull'ordine del 2% a fronte di quelli delle gestioni private che oscillano dal 15 al 20% senza tralasciare di considerare i rischi elevatissimi di truffa a danno degli assicurati (vedi caso Maxwell in Inghilterra ed il recente caso Enron negli USA). Dove sarebbe allora il guadagno per il lavoratore? Da nessuna parte. E ciò è ancor di più confermato da alcuni dati che, facendo riferimento a fondi pensione già esistenti, testimoniano come, dopo un rendimento di oltre il 3% nel 2000, hanno cominciato a perdere nel 2002 e specificatamente quelli chiusi sono andati sotto del 3,5% e quelli aperti ancora peggio. Se i rendimenti delle pensioni private saranno così bassi, come da più parti si prevede, che tipo di società avremo tra un po'e quanto diffuso potrà essere il neo-pauperismo? Già adesso in Italia sono oltre tre milioni le persone in condizioni di assoluta povertà. Il fenomeno, ovviamente, riguarda anche l'Europa dove i poveri sono saliti a 60 milioni, ossia il 18% della popolazione. Gli andamenti dei fondi pensioni sopra menzionati, come è facile comprendere, sono facilmente intelleggibili in quanto i rendimenti ed anche le perdite sono determinati da dinamiche tutte interne ai mercati finanziari e dalle speculazioni di assicuratori e banchieri. In ciò risiede il vero motivo per cui le pensioni vengono attaccate. Non c'entrano le "spese eccessive" di cui si accusa l'INPS e c'entrano ancor meno i lavoratori additati quali responsabili del dissesto finanziario dello stato. Si da invece il semplice caso che siano i lavoratori a produrre la ricchezza e che siano i contributi da loro versati che consentono di pagare le pensioni e tutto questo in virtù di un vincolo solidaristico grazie al quale con la ricchezza prodotta, oggi si mantengono anche coloro che la ricchezza hanno contribuito a crearla ieri.
Certo, a causa delle massicce espulsioni di forza lavoro dai processi produttivi, tende sempre più a restringersi la stessa base produttiva per cui se nel 1998 il rapporto lavoratori/pensionati era 109/103 di qui a non molto tale rapporto potrebbe risultare di su 1 su 2, cioè due pensionati per ogni lavoratore occupato. Ma anche questo è un falso problema in quanto non tiene in alcun conto che la produttività del lavoro si è centuplicata a partire dalla seconda guerra mondiale e quindi, facendo leva su questo, ogni lavoratore, in una società diversa però, sarebbe in grado di produrre non solo per 2 ma almeno per una decina di giovani e anziani. Per cui è del tutto normale, giusto, che le nuove generazioni producano anche per le generazioni che, per ovvi motivi di età oppure di salute o altro ancora, non lavorano più.
Quel che non è giusto, anzi è iniquo e mostruosamente immorale è che la maggior parte della ricchezza prodotta dai lavoratori serva a mantenere ladroni, lenoni e parassiti vari.
Il vero problema delle pensioni è quindi di altra natura ed è tutto compreso nella esigenza di settori della borghesia di rendere profittabile un comparto che, come dicevamo, smuove annualmente, come TFR, circa 12 milioni di euro per andare incontro alle esigenze del capitale finanziario nostrano. Di passata, si fa notare che i primi a porre il problema sono stati i cosiddetti rappresentanti della sinistra. È del tutto evidente che si tratti di una torta che fa gola a molti per cui la cosiddetta previdenza complementare rappresenta una partita che si gioca senza risparmio di colpi soprattutto tra i sindacati che gestiscono i fondi pensione negoziali, ossia quelli creati sulla base delle categorie professionali, e le banche unitamente alle società di assicurazione che propendono per fondi pensionistici integrativi individuali. È un'orgia di appetiti insaziabili in cui, facendo strame di ogni vincolo etico, di qualsivoglia tutela di chi lavora per vivere, ci si butta a capofitto su questi accantonamenti per cercare un profitto sempre più difficile da realizzare. Che poi, a ben vedere, tutto questo parossismo offusca anche la capacità di comprendere talune dinamiche economiche e sociali, soprattutto se viste in prospettiva. Cerchiamo di spiegarci meglio: se il capitale per poter operare in controtendenza, rispetto a saggi di profitto tendenzialmente decrescenti, è costretto ad incidere negativamente sul costo della forza lavoro soprattutto con l'introduzione di contratti capestro (lavoro interinale,part-time ecc.), sarà a dir poco problematico per i fortunati che possono entrare nel mondo del lavoro accantonare una quota della retribuzione per costituirsi la cosiddetta pensione complementare. Se le retribuzioni tendono sempre più al ribasso, in termini di potere d'acquisto, se le medesime crescono in media di un punto sotto il trend dei prezzi al consumo (dati Istat), se si intendono innalzare i contributi di un buon 3,4%, in una, se le condizioni di vita tendono ineluttabilmente a peggiorare, da dove storneranno i lavoratori la quota da accantonare per poter ricevere a 65 anni una pensione appena passabile?
Alcune assicurazioni richiedevano già una decina d'anni addietro un accantonamento annuo di 4 milioni per garantire, dopo 35 anni, una rendita mensile di 2 milioni. È ragionevolmente plausibile pensare che queste cifre siano nel frattempo aumentate. Con questi chiari di luna a quanti lavoratori sarà possibile accedervi?
ggBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #6
Giugno 2003
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