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Home ›Perù: proclamato lo stato d'emergenza
Anni di politiche economiche imposte dal Fondo monetario internazionale e dalla Banca mondiale hanno devastato l'America latina. I guru di Washington profeti della svolta ultra liberista la cui ricetta sostanzialmente si basa sull'austerità di bilancio, sulle privatizzazioni e sul libero movimento di capitali e di merci, a parte qualche risultato contingente di crescita non sono stati in grado di risolvere la crisi. Al contrario quest'ultima si è aggravata per intensità e dimensione.
I borghesi possono inventarsi tutti gli espedienti che vogliono, ma da marxisti sappiamo bene che alla caduta del saggio di profitto e alla conseguente crisi di accumulazione di un capitalismo maturo, non potrà più corrispondere un altro boom economico prima di nuovi devastanti rivolgimenti. Nel frattempo il capitalismo potrà vivacchiare sulle spalle di un proletariato internazionale permanentemente colpito duramente da tutti i punti di vista.
Naturalmente a cadere per primi sono i paesi della periferia capitalista e fra questi quelli latinoamericani. Ora è la volta del Perù, dove per prevenire quanto è successo altrove, per esempio in Argentina, il governo "progressista" di Toledo, succeduto due anni fa a quello autoritario e ladrone di Fujimori, mobilita la repressione statale contro i manifestanti.
Dal ventisette maggio il presidente peruviano ha dichiarato lo stato di emergenza in tutto il paese per un mese, sguinzagliando nelle 12 provincie il 70% delle forze dell'esercito, e tutto l'organico di polizia. È la seconda volta che viene dichiarato lo stato di emergenza, la prima fu nel giugno del 2002 nella sola città di Arequipa dove ci furono forti proteste contro il tentativo di privatizzazione di due centrali elettriche.
La decisione di utilizzare nuovamente il pugno di ferro contro le piazze in rivolta è la risposta alle grandi manifestazioni che chiedevano aumenti salariali nel settore della sanità da parte di medici e infermieri, la diminuzione delle imposte per i contadini sui generi di prima necessità come riso e mais e la protezione dalla impari concorrenza delle multinazionali, migliori condizioni di vita e di lavoro degli insegnanti da mesi mobilitati su questi temi.
Nonostante la pesantissima situazione, la protesta e la mobilitazione continuano in tutte le città del paese. Nei violenti scontri di questi giorni tra militari e studenti scesi in piazza a fianco degli insegnanti, a Puno, nel Perù meridionale sono morti due studenti e molti altri sono stati feriti. Gravi incidenti si sono verificati anche in altre città.
La crisi economica che ha impoverito la maggioranza della popolazione in America latina oramai sta assottigliando le file del ceto medio. Una parte minoritaria di piccola borghesia si è arricchita passando alla borghesia vera e propria, invece la grande maggioranza ha subito un inevitabile processo di proletarizzazione. È proprio dalle file di questa stratificazione sociale in fase di esclusione che prevalentemente partono le proteste di questi giorni.
Le stesse modeste richieste degli scioperanti non possono essere soddisfatte oggi. Il capitale a scala internazionale arranca, le centrali imperialistiche a loro volta cercano di scaricare sui paesi più deboli le proprie contraddizioni. Le borghesie locali sempre dipendenti dagli aiuti e dagli investimenti esteri sono costrette a sottostare alle imposizioni delle grandi potenze in una spirale senza fine che fa sì che la ricchezza del pianeta si concentri in un numero sempre minore di persone mentre dilaga a dismisura la miseria.
Nemmeno la demagogia socialdemocratica può attenuare il corso degli eventi. Negli ultimi tempi il ricambio tendenziale delle elite di governo che ha già portato a uno spostamento a sinistra o verso partiti cosiddetti "progressisti", dopo l'oscurantismo delle destre reazionarie, non ha spostato di un millimetro le condizioni del proletariato del sub continente americano.
In Brasile il presidente Lula, ex sindacalista e personaggio con trascorsi di sinistra, sul quale si riponevano tante speranze, esaltato dal riformismo internazionale quale nuovo esempio che avrebbe reso il suo paese maggiormente indipendente dagli Stati Uniti e che si sarebbe proposto come un inedito modello di sviluppo da seguire attraverso un liberismo moderato e più attento alle necessità della società, in altre parole la vecchia storiella trita e ritrita già applicata in passato e che non ha impedito al capitalismo di essere quello che oggi è, si sta già sgonfiando. Si levano le prime proteste contro il suo governo giacché è intenzionato a mettere mano alla riduzione delle pensioni.
Come al solito la socialdemocrazia, ma in fondo anche i suoi oppositori, fa qualche promessa finché è all'opposizione. Quando poi va al governo deve fare i conti con le ferree leggi del capitalismo, il quale nella sua parabola discendente non è per il proletariato riformabile positivamente, nel senso che non ci sono briciole da spartire in cambio della pace sociale. Mentre ci sono tante bastonate da prendere, indipendentemente se al governo c'è la destra o la sinistra, a conferma che questo sistema non ha più nulla da offrire se non fame e miseria.
cgBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #6
Giugno 2003
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