La classista riforma Moratti - Nel solco antiproletario dei governi ulivisti

Dopo un lungo e tormentato travaglio, la signora Letizia ha partorito quella che, agli occhi di babbo Silvio, dovrebbe essere uno dei fiori all'occhiello della nuova Italia rigenerata dalla Casa delle Libertà. In sostanza, la riforma Moratti - che ha ricevuto il gradimento entusiasta di Confindustria - avrebbe il compito di mettere definitivamente una pietra sopra alla scuola "generalista", pasticciona, demagogica e dequalificante frutto dell'egemonia culturale della "sinistra". Barzellette a parte, questa ennesima riforma del sistema scolastico - non più pubblico nemmeno di nome - si caratterizza come un'accelerazione brutale, e per molti aspetti cialtrona, di un percorso di cui i governi di centro-sinistra sono stati i precursori e anche qualcosa di più.

La scuola, come qualsiasi altra istituzione borghese, ha sempre seguito, sia pure in ritardo e con qualche affanno, l'evolversi della società, preparando di volta in volta la forza-lavoro adeguata alle necessità di quella determinata fase del ciclo capitalistico. Per esempio, se è vero che la riforma Gentile di quasi ottant'anni fa dava poco spazio all'istruzione scientifico-tecnologica, questo non era dovuto tanto (ma anche, certamente) alla miopia del ceto politico-intellettuale borghese, quanto al fatto che il capitalismo italiano (iperprotetto dallo stato dai più forti concorrenti esteri) poteva disporre di un'abbondante riserva di manodopera povera e miserabile come poche nell'Europa industrializzata, resa ancor più docile dalla soffocante oppressione fascista. Perché investire somme enormi nella ricerca scientifica di medio/lungo periodo, quando si può comodamente torchiare una classe operaia che non può nemmeno aprire la bocca per dire "ahi"?

Scuola apertamente classista allora, scuola "democratica" e di massa dagli anni sessanta del secolo scorso, quando il boom economico necessitava di una forza-lavoro che possedesse qualche nozione in più del semplice saper leggere e scrivere; ritorno spudorato a un'impostazione apertamente classista della scuola oggi, senza neanche più gli ipocriti abbellimenti in salsa democraticistica architettati dall'ex ministro Berlinguer. L'unico aspetto positivo, se così si può dire, della riforma è appunto quello di mostrare chiaramente che, al di là della bugiardissima retorica sulla scuola come fucina di cultura e di crescita umana, l'istituzione scolastica ha il compito di fornire forza-lavoro che a grande maggioranza andrà a svolgere un lavoro dequalificato e dequalificante rispetto al corso di studi, indottrinandola sulle meraviglie della flessibilità, vale a dire di una vita lavorativa all'insegna dell'incertezza e della precarietà.

L'accorciamento del percorso scolastico (da tredici a dodici anni), la netta divisione, nonostante le chiacchiere, tra liceo e formazione professionale, la trasformazione di una parte degli istituti tecnici in istituti professionali e la gestione di quest'ultimi da parte delle regioni e non dello stato, la conseguente apertura a enti privati del territorio: ebbene, tutto ciò accentua la progressiva mera subordinazione dell'istruzione agli interessi padronali (in primis locali) e alle contigue bande di parassiti prosperanti nei vari enti di formazione creati o potenziati per l'occasione da politici, sindacalisti, preti, professionisti e faccendieri di ogni risma. Se, dunque, come pare, una buona fetta dell'istruzione tecnica verrà inglobata da quella professionale, se l'obbligo, pardon, il diritto allo studio potrà essere assolto anche nelle aziende con l'apprendistato e i famigerati stages - una delle più ipocrite forme di sfruttamento - lo stato potrebbe prendere i due classici piccioni con la non meno classica fava: da una parte, offrirà ampie possibilità ai suddetti faccendieri di gozzovigliare coi soldi della collettività (soprattutto con quelli del proletariato), dall'altra potrà tagliare ulteriormente le spese - scaricandole però sulle regioni - trasferendo una quota del personale scolastico alle dipendenze dell'ente locale. Tutto questo avrà, ovviamente, ricadute più pesanti sulle regioni maggiormente in difficoltà dal punto di vista finanziario - in primo luogo quelle meridionali, ma non solo - che probabilmente dovranno ridurre la cosiddetta "offerta formativa" in mancanza di "sponsor" economici (imprenditori, ecc.) interessati all'affare istruzione, in mancanza, per di più, di una precisa indicazione dell'obbligatorietà degli studi. Questo capolavoro ferocemente classista che è la riforma Moratti, ha infatti abolito la nozione stessa di obbligo, sostituendola con quella generica di diritto/dovere. È evidente, però, che se una regione, pur intenzionata ad assolvere tale dovere, non ha i soldi necessari, o aumenta le tasse regionali o viene meno al suddetto dovere, punto e basta.

Questi aspetti sinteticamente richiamati sono solo alcuni elementi di una riforma che, come si diceva più indietro, accelera brutalmente l'aziendalizzazione e la privatizzazione dell'istruzione in corso da tempo (vedi BC 8/9-2001), a loro volta parte del più ampio processo di smantellamento del cosiddetto stato sociale - detto in altri termini: rapina pura e semplice del salario indiretto e differito - sulla spinta della crisi che da una trentina d'anni attanaglia il capitalismo in tutto il pianeta. Sia detto di sfuggita, in altre parti d'Europa il personale docente e non docente sta vivendo problemi molto simili, a riprova del fatto che anche nei servizi e non solo nell'industria c'è una tendenza alla omogeneizzazione verso il basso delle condizioni complessive di lavoro, alla faccia del "salario europeo" agitato dai Cobas, non si sa se per demagogia o per quella congenita incapacità del riformismo di comprendere la natura del capitalismo. E sempre per rapidissimi accenni, è utile ricordare che la riunione dell'Organizzazione Mondiale del Commercio del settembre prossimo a Cancan (Messico) si occuperà proprio delle modalità con cui "ottimizzare" lo sfruttamento e il saccheggio delle tasche proletarie, dando in pasto agli speculatori finanziari internazionali la scuola, la sanità, le risorse idriche, ecc. Tornando a noi, l'aziendalizzazione e la privatizzazione della scuola non riguardano solamente la gestione della futura forza-lavoro, ma investono già l'attuale organizzazione del lavoro. I pesanti tagli al personale docente e non docente, cominciati anni fa, non solo non si arresteranno, ma diventeranno ancor più pesanti e spalancheranno definitivamente la porta all'irruzione del precariato. È già operativo da tempo il taglio-accorpamento delle cattedre (a un insegnante solo si assegnano classi di corsi diversi, per es. un triennio più un'altra classe ancora): con la riduzione delle ore di lezione settimanali, oltre a dequalificare gli studi, è evidente che molti docenti precari (ma, alla lunga, non solo questi) diventeranno "esuberi"; allo stesso tempo, le ore facoltative "a richiesta" degli studenti (altra "geniale" pensata...) saranno assegnate ai precari (o a figure esterne), per ora pagati dall'istituto, domani, chissà, dalle famiglie che se lo possono permettere...

Di fronte a tutto ciò, la reazione dei lavoratori della scuola, al di là del solito "sciopero-spot" annunciato mesi prima, è molto, ma molto al di sotto della gravità dell'attacco in atto, e ben lontana anche dalla "insurrezione" che travolse il concorsaccio di Berlinguer. Forse perché il concorsaccio colpiva palesemente e immediatamente la categoria nel portafoglio, forse perché la fumosità e la mancanza di copertura finanziaria della legge Moratti ritardano le percezione della sua estrema pericolosità e fanno sperare che il tutto si risolva nell'ennesimo pagliaccesco nulla di fatto. Ma, chi spera questo, fa male i conti: può essere che la riforma si impantani nei meandri ministeriali; quel che è certo, invece, è che non si fermerà l'aggressione generalizzata ai lavoratori della scuola (come a quelli dei servizi in genere e dell'industria), sintetizzabile in più orario e meno salario, più incertezza, meno "diritti" e meno occupazione. A meno che, tutto insieme, il mondo del lavoro dipendente e falsamente autonomo non sappia ritrovare in se stesso le energie per superare fatalismo, passività, senso di impotenza, e cominci a rispondere ai colpi ricevuti sul proprio autonomo terreno di classe, fuori e contro la logica sindacale: da quella biecamente corporativa (per esempio, nella scuola, Gilda e Snals) a quella apertamente collaborazionista e concertativa del sindacalismo confederale; senza escludere, naturalmente, il velleitarismo del sindacalismo cosiddetto di base.

cb

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.