Dietro le manovre sull'articolo diciotto

Le teste pensanti della borghesia - destra o sinistra, pari sono - continuano a fingere che attorno all'articolo 18 (pro o contro) si giochino in buona parte anche le sorti dello sviluppo economico e sociale del Paese. E fingono di ignorare che, comunque, il capitale da sempre regola assunzioni e licenziamenti secondo i propri esclusivi interessi - sia dei 9 milioni di lavoratori "tutelati" dallo Statuto dei diritti e sia degli altri 7 che ne sono esclusi perché occupati in piccole aziende.

La validità, relativa, dell'art.18 sta nel rallentare soprattutto i licenziamenti di rappresaglia; cancellandolo, il capitalista avrà un'arma in più per intimorire ed eliminare le avanguardie operaie in fabbrica. Per gli altri motivi legati all'organizzazione della produzione, alle crisi aziendali, ecc., tutti gli imprenditori (grandi, medi e piccoli) fanno già ciò che il categorico imperativo del profitto impone loro. Quando il mercato non tira, contro i licenziamenti non c'è alcun articolo, alcuna "sufficiente sicurezza" che tenga. Si dice, dai mass media, che i "modelli" adottati in altri paesi europei facciano meglio funzionare il mercato del lavoro, tanto in entrata quanto e soprattutto in uscita, garantendo "maggiore libertà per tutti". Ma queste sono barzellette, come quella che si racconta e che pretenderebbe di fornire - attraverso le manovre riformatrici in corso - "una garanzia anche per i 5 o 6 milioni di italiani che nel mondo del lavoro oggi neppure riescono ad entrare" a causa delle eccessive rigidità che bloccano la mobilità di chi ha la fortuna di avere un posto di lavoro! (P. Ichino, Corsera,3/6)

È chiaro che la massima libertà deve essere riservata unicamente al capitale in crisi, il quale per aumentare la produzione di plusvalore non può fare a meno di intensificare lo sfruttamento anche di ogni singola forza lavoro momentaneamente occupata. Deve necessariamente vincolare questa occupazione alle esigenze di un'organizzazione della produzione, regolata in stretta dipendenza con le richieste del mercato e con la competitività, e che si modifica in continuazione. Il costo della merce forza lavoro deve diminuire sia in generale e sia nell'impiego individuale e limitato nei tempi. L'imprenditore paga l'operaio (al prezzo più basso possibile) solo per il breve periodo in cui può usare produttivamente la sua forza-lavoro. Quindi lo rimanda a casa, eliminando ogni momento di rallentamento o di attesa e quindi di costo senza adeguato rendimento nello sfruttamento esercitato su ogni lavoratore. Ti assumo solo quando posso sfruttare al meglio la tua forza lavoro, solo per il tempo che mi occorre e con il salario che meglio mi conviene. E poi ti licenzio quando mi pare. Prendere o lasciare. È la fine definitiva delle oniriche visioni, inseguite dai riformisti del capitalismo, sulla "dignità" del lavoro salariato.

Da notare inoltre che la cancellazione dell'art.18 sarà estesa anche alle imprese medie e grandi quando queste creeranno società più piccole, con meno di 15 lavoratori, dove trasferire, riassumere e sottoporre alle nuove normative molti ex dipendenti. Una possibilità di escamotage, con cessione di rami d'azienda, che consentirà ai capitalisti di esercitare in piena libertà il loro comando sulla forza-lavoro.

Anche per la sinistra democratica, la pretesa del posto fisso è una "vecchia logica". Ed è lei stessa a proporre possibili "miglioramenti dell'art.18 e delle forme di arbitrato e conciliazione". Purché - parla Fassino - "si dia a queste modificazioni un significato tutto politico". Continuando cioè a coltivare l'illusione della collaborazione fra le classi, della concertazione fra governi e sindacati, del coinvolgimento dei lavoratori nella gestione della crisi capitalistica. Affermando e sostenendo che "le imprese hanno bisogno di minore prelievo fiscale, di ammortizzatori sociali, di mobilità da un posto di lavoro a un altro, di sostegni pubblici per aumentare la loro competitività, L'Italia ha bisogno di un nuovo patto sociale per garantirsi una fase di crescità e di sviluppo". Insomma, lunga vita al capitale e alla società borghese, grazie ai sacrifici che la classe operaia - se fosse governata dalla sinistra borghese - potrebbe ancora e meglio accettare. Come si vede (e rispondendo anche a certi gruppi antagonisti che vanno dicendo in giro che bisogna abbattere il governo Berlusconi perche è il peggiore che ci poteva capitare), al peggio non c'è mai fine finché al potere siede la borghesia, sia essa di destra o di sinistra.

Chi ha posto in questo momento l'art.18 al centro di altri e ben più gravi attacchi contro i lavoratori, ha quindi inteso raggiungere senza perder tempo due obiettivi: intimorire chi si oppone ai soprusi e agli sfruttamenti che sono imposti in aziende, uffici e servizi; gettare ombra sulle ancor più concrete misure che, con la diretta o indiretta complicità delle tre direzioni sindacali, stanno per essere applicate contro i proletari, occupati o disoccupati.

È solo l'inizio, precisa Tremonti: "L'intesa contiene gli elementi delle riforme strutturali che vogliamo portare avanti". E D'Amato aggiunge: "Mai viste tante flessibilità tutte insieme. Ora potremo recuperare competitività". Tra i prossimi colpi, la distruzione della previdenza pubblica e la "costruzione del secondo pilastro privato della previdenza" che - dice il miliardario Tremonti - "è necessario in società sempre più vecchie e sempre più ricche". Le quali, divise in due classi, possidente e sfruttatrice l'una, nullatenente e sfruttata l'altra, anziché assicurare agli anziani proletari una felice sopravvivenza, li abbandonano nella miseria o fra le spire delle private assicurazioni.

cd

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.