La piena libertà di licenziare - Modifica dell'art. 18 dello Statuto dei lavoratori

Padroni e governo per l'abolizione dell'art. 18 dello Statuto dei lavoratori

Come abbiamo scritto più volte, le norme che regolano il mercato del lavoro sono state in questi anni completamente riscritte a tutto vantaggi degli industriali.

Questo processo ha interessato in modo particolare la cosiddetta flessibilità in entrata (contratti a termine, lavoro interinale, formazione lavoro ecc.), l'utilizzo della manodopera nei processi lavorativi (mobilità interna, regime di orario, nuovi turni ecc.), il vincolo crescente tra salario e produttività, ma ha toccato solo parzialmente la cosiddetta flessibilità in uscita ovvero la piena libertà di licenziamento. In questo campo permangono infatti alcune norme che non impediscono certo ai padroni di licenziare, ma rendono in alcuni casi il licenziamento individuale difficoltoso e economicamente oneroso, da qui i vari progetti imprenditoriali e sindacali per modificare anche questa ultima debole tutela per i lavoratori.

Per ora sotto tiro è l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori (L. 300/1970) che ha come oggetto la reintegrazione nel posto di lavoro nei casi di licenziamento senza giusta causa nelle aziende con più di 15 dipendenti per unità produttiva o 60 dipendenti nel territorio nazionale. Le proposte di modifica sia da parte padronale che sindacale sono diverse, ma tutte coincidono nella volontà di cancellare l'obbligo del reintegro del posto di lavoro per il lavoratore licenziato senza giusta causa lasciando solo una sorta indennizzo economico, la conseguenza sarebbe dunque l'introduzione di una sostanziale libertà di licenziare con l'annullamento definitivo della già precaria stabilità nei rapporti di lavoro.

Chi vuole cancellare la tutela di reintegra obbligatoria nel posto di lavoro sostiene che tutela risarcitoria sia di per se una garanzia sufficiente per la conservazione del posto di lavoro e che con una maggiore libertà di licenziare si creerebbe più flessibilità e occupazione, niente di più falso, perché:

  1. sottopone i lavoratori ad una maggiore sudditanza nei confronti del proprio datore di lavoro perché aumenta il rischio del licenziamento per chi nel posto di lavoro opera per la rivendicazione di migliori condizioni di lavoro o soltanto cerca di fare valere i propri elementari diritti come il rispetto delle norme contrattuali, una qualifica commisurata al lavoro svolto, ad un ambiente di lavoro salubre, ad assentarsi dal lavoro per malattia ecc. Basta, d'altro canto, osservare la situazione esistente nelle imprese con meno di sedici dipendenti, dove, appunto, la tutela contro il licenziamento ingiustificato è praticamente inesistente la violazione delle normative di tutela, specialmente in materia di orario, di sicurezza, di regolarizzazione previdenziale, costituisce la normalità e il turn over è altissimo.
  2. la sola tutela risarcitoria non ha lo stesso valore di diritto della reintegra sul posto di lavoro. Attualmente il lavoratore licenziato per discriminazione o rappresaglia non riesce, mai, o quasi mai, a provare il motivo vero che ha animato il licenziamento, ma è ugualmente tutelato perché comunque, la legge sancisce l'annullamento del provvedimento e la reintegra, se il datore di lavoro, a sua volta, non riesce a provare l'esistenza di una causa giustificatrice. È vero che il più delle volte la vertenza finisce con un le dimissioni volontarie del lavoratore e un risarcimento economico concordato ma è anche vero che se venisse meno la possibilità di aprire una vertenza legale e arrivare a un patteggiamento i licenziamenti sarebbero molto più facili e indiscrimnati.
  3. La rforma dell'art. 18 riguarderà anche la misura del risarcimento che attualmente non può essere inferiore alle quindici mensilità. Ma l'entità di questa cifra, legata al patteggiamento in sede di vertenza, con l'abolizione della giusta causa dovrà essere quantificata precisamente e sarà quindi oggetto di trattativa tra padroni e sindacato. verrebbe reintrodotta in sintesi una sorta di "indennità di anzianità", da corrispondersi al lavoratore in ogni caso di licenziamentoin aggiunta al Tfr.
  4. non è vero infine che una maggiore flessibilità della manodopera porta a una maggiore occupazione perché al massimo i lavoratori licenziati verrebbero sostituiti da un numero uguale di nuovi lavoratori, ma soprattutto, se i padroni ricorrono ai licenziamenti è perché vogliono ridurre nello specifico il numero degli addetti e in caso di nuove assunzioni intendono avvalersi di tutti quegli strumenti che gli permettono di risparmiare salario, aumentare lo sfruttamento, precarizzare il lavoro

Questo nuovo attacco al mercato del lavoro dunque non solo cancella ancora una volta dei diritti elementari di tutti i lavoratori, ma colpisce in modo particolare e discriminatorio le fasce più deboli, gli occupati dei settori economici maggiormente condizionati dall'andamento dei mercati, le piccole imprese, i lavoratori con il potere contrattuale individuale minore ovvero tutti coloro che andrebbero maggiormente tutelati che invece nel nome del profitto vengono ulteriormente marginalizzati.

LP

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.