Le promesse mancate della globalizzazione e la conferma del Marxismo

Dal ciclo infernale della globalizzazione si esce solo archiviando il capitalismo

Sulle sue ali dovevano volare il benessere diffuso, la più ampia possibile libertà degli individui e la pace. I suoi sostenitori più audaci sono arrivati a ipotizzare che sarebbe bastato entrare in possesso di un personal computer e di un collegamento Internet e tutti, sia una grande impresa transnazionale sia un ragazzino avrebbero potuto egualmente arricchire. Secondo i suoi corifei, l'economia globalizzata avrebbe risolto una volta per sempre tutti i problemi dell'umanità, innanzi tutto quelli economici tanto che pur diventando i ricchi sempre più ricchi, sarebbero scomparsi i poveri.

Perfino i suoi critici ne erano rimasti ammaliati, anche alcuni che si dichiaravano marxisti, seppure di quella strana razza che a ogni stormire di fronda ritiene che sia giunto il momento di andare oltre Marx.

Non è andata così: i problemi dell'umanità, soprattutto quelli economici ovviamente non sono stati risolti, la pace è sempre una chimera e se qualcosa è stato confermato è stato proprio il marxismo.

Resa necessaria dall'accentuazione della tendenza alla caduta del saggio del profitto industriale e possibile dall'introduzione della microelettronica nei processi produttivi e nei sistemi delle telecomunicazioni, la globalizzazione dell'economia, in ultima istanza, si è tradotta essenzialmente nella deregolamentazione e unificazione su scala mondiale del mercato finanziario e del lavoro e in una nuova divisione internazionale del lavoro con il trasferimento di importanti segmenti produttivi a più elevato contenuto di manodopera nelle aree dove essa costava meno. Ne è scaturita la crescita stratosferica della sfera finanziaria e di tutte le attività speculative a essa connessa, una gigantesca concentrazione e centralizzazione dei capitali e una spinta permanente al ribasso dei salari reali in tutto il mondo e in tutti i settori.

La concentrazione dei capitali ha raggiunto un tale grado che ormai a comandare il mercato di settori importanti come per esempio quello automobilistico o della siderurgia è rimasto un numero così esiguo di imprese che per contarle bastano e avanzano le dita di una sola mano.

La centralizzazione dei capitali poi si è spinta così in avanti che ormai molti stati hanno dovuto rinunciare alla loro moneta nazionale a favore del dollaro o, come nel caso dell'Europa, dar vita a una nuova area monetaria con un'unica moneta di riferimento cosicché ormai a comandare i mercati finanziari sono rimaste, ien incluso, tre sole monete. Fanno il bello e il cattivo tempo le banche centrali delle tre are monetarie dominanti e pochi grandi gruppi finanziari, soprattutto i grandi fondi di investimento e di pensione anglosassoni e giapponesi.

Il risultato dei processi di concentrazione e centralizzazione dei capitali è che, a dispetto delle dichiarazioni ufficiali dei governanti e del pensiero economico dominante, la concorrenza, la dea che con mano invisibile tutto dovrebbe regolare per il meglio, è appunto un fantasma e l'attività speculativa ha preso il sopravvento su tutte le altre attività economiche tanto che i bilanci dei grandi gruppi economici e finanziari si gonfiano di profitti provenienti da essa più che dalle attività produttive in senso stretto e poiché il plusvalore non si genera nella sfera finanziaria grava sui salari reali una pressione permanente alla loro riduzione anche nei paesi e nei settori tecnologicamente più avanzati come gli Usa dove i salari nonostante i tanto decantati ed eclatanti incrementi di produttività sono sostanzialmente fermi ai livelli dei primi anni Settanta e non sfuggono essa anche i lavoratori della tanto decantata Neteconomy cioè l'economia legata a Internet. Frutto di un'attenta ricerca sulle condizioni di lavoro esistenti in questo settore è, appena uscito in Italia, edito da Fazi editore, un libro di due giornalisti americani, assolutamente non sospettabili di simpatie marxiste, Bill Lessard e Steve Baldwin, di cui il solo titolo Netslaves ovvero Gli schiavi della rete dice tutto. È un mondo fatto di lavoratori che trascorrono dalle 10 alle 12 ore al giorno dietro una tastiera per un salario che va dai venti ai trenta milioni di lire l'anno senza assicurazione sanitaria e senza pensione e senza alcuna garanzia sul posto di lavoro esposti perciò a ogni sorta di ricatto e di angheria.

Il mondo dell'economia globalizzata che avrebbe dovuto cancellare la povertà e consentire a chiunque avesse saputo usare un computer di arricchire a suo piacimento è in realtà un mondo che favorisce la concentrazione della ricchezza in poche mani rendendo i ricchi sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri, esattamente come aveva previsto il marxismo.

In verità, il termine globalizzazione, sottintendendo un'economia senza gerarchie, fatta cioè di soggetti posti sullo stesso piano e dotati dello stesso potere di contrattazione, è una mistificazione del processo reale della mondializzazione che Marx aveva descritto come una controtendenza alla caduta del saggio medio del profitto e che consiste nell'estensione sempre più capillare del dominio del capitale a tutto il pianeta per incrementare le opportunità di sfruttamento della forza-lavoro e la subordinazione del lavoro al capitale.

Si tratta quindi di un fenomeno che affonda le sue radici nelle contraddizioni proprie del processo di accumulazione capitalistica e non di scelte politiche di una borghesia miope che non saprebbe vedere al di là del proprio naso; pertanto non può essere contrastato opponendovi politiche altre e tanto meno con qualche manifestazione contro i potenti del momento in occasione di questo o quel vertice economico. Anche se fosse adottata su scala mondiale la tassa Tobin, tanto cara al cosiddetto popolo di Seattle, la mondializzazione del capitale continuerebbe e con essa la crescita e l'intensificazione dello sfruttamento della forza-lavoro e l'affamamento e l'emarginazione della stragrande maggioranza degli abitanti del pianeta. Da questo circolo infernale si esce solo se si archivia il capitalismo e solo se il proletariato saprà rilanciare la sua iniziativa di classe e le sue avanguardia avranno ricostruito per tempo il partito comunista rivoluzionario su scala internazionale.

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.