I lavoratori della scuola nel pantano del corporativismo

Alla fine, il contratto della scuola per il biennio economico 2000/2001 è stato firmato e, come di rito, governo e sindacati confederali esprimono la loro soddisfazione per un accordo che, finalmente, avvierebbe il percorso verso quello "stipendio europeo" invocato a gran voce dai sindacatini autoproclamatisi antagonisti. Anche questi ultimi, se pure denunciano - non a torto - più di un aspetto del contratto e il gioco sporco dei mass media che danno la massima diffusione possibile alle falsità spacciate dai firmatari suddetti, si sentono in diritto di fischiettare un po' vittoria. A loro dire, infatti, pur non essendosi nemmeno lontanamente avvicinati allo "stipendio europeo", tuttavia gli aumenti ottenuti - molto più di quanto hanno finora avuto gli altri settori del pubblico impiego - sarebbero stati strappati grazie alle "_formidabili lotte degli insegnanti negli ultimi due anni (5 giorni di sciopero nazionale)
" come asseriscono i comunicati ufficiali dei Cobas.

A questo punto, prima di proseguire il discorso, è utile ricapitolare brevemente i contenuti dell'accordo. In primo luogo, è falso che gli aumenti siano sull'ordine delle 300.000 lire mensili: questo è vero solo per gli insegnanti con oltre 28 anni di anzianità e, in ogni caso, sono da ritenersi lorde. Inoltre, solo molto parzialmente il 2000 è coperto dalla rivalutazione dello stipendio, e già questo, di per sé, sarebbe una bella fregatura; ma accanto a questa ce n'è un'altra, data dal fatto che l'ulteriore "bonus" mensile, variabile da 68.000 a 117.000 lire, non è pensionabile ossia non incide nel calcolo delle pensioni, della tredicesima e della liquidazione. Non parliamo poi degli ATA (personale amministrativo, tecnico e ausiliario: i bidelli ecc.) che recuperano ancor meno quanto è stato perso in questi ultimi dieci anni. Come se non bastasse, i sindacati confederali, tanto per far capire chi comanda, hanno modificato le norme che regolano il funzionamento delle RSU, sopprimendo la possibilità per il singolo eletto di indire assemblee e hanno imposto nelle trattative di istituto la presenza di rappresentanti confederali, anche nel caso in cui non ci fossero elementi di CGIL-CISL-UIL nella locale RSU, in modo da poter comunque controllare la situazione. Queste ed altre amenità, che rafforzano il potere dei presidi e della triplice sindacale, completano un quadro che, se non altro, ha il pregio di mostrare a chiare lettere come la stessa democrazia borghese, per i padroni e i loro reggicoda sindacali, vada bene finché tutto rimane sotto il loro totale controllo. In caso contrario, ci mettono niente a modificare a loro favore le pur innocue "regole democratiche". Dunque, non solo non serve a nulla, ma è decisamente nocivo ai fini di una corretta impostazione delle lotte, richiamarsi al rispetto di quelle leggi che la borghesia crea non per tutelare i lavoratori, ma solo ed esclusivamente se stessa. È anche da qui che emerge il limite insuperabile del sindacalismo sedicente di base, consistente, appunto, nella pretesa velleitaria di difendere in modo antagonistico gli interessi dei lavoratori ma rimanendo sul terreno sindacale, il quale, per definizione, è volto alla contrattazione della forza-lavoro nel quadro delle compatibilità capitalistiche. Ma se queste compatibilità si sono enormemente ristrette e irrigidite a causa della crisi storica del capitale, rimane ben poco da contrattare, poiché il sindacato non può far altro che amministrare l'esistente. Per questo, soprattutto oggi, le vere lotte di difesa, sia pure a livello puramente "economico", non possono che trascrescere oltre il quadro sindacale e collocarsi su un piano inequivocabilmente di scontro di classe. Ma ciò implica, preliminarmente, che chi aspira a porsi alla testa di queste lotte dia sempre indicazioni teorico-pratiche tali per cui i lavoratori possano riconoscere nell'attacco padronale al proprio settore un momento del più generale attacco al mondo del lavoro salariato/dipendente e, per questa via, siano sollecitati alla generalizzazione e all'unificazione del conflitto di classe in senso apertamente anticapitalistico. Insomma, è esattamente ciò che non fanno i Cobas, i quali, mentre condiscono la loro azione con vaghi accenti "antagonisti" solleticano il corporativismo ben diffuso nella scuola, aggiungendo anche il loro fumo al già magro arrosto sindacal-governativo. Se è vero che gli aumenti (come si diceva) sono stati più consistenti che in altri settori (ma siamo sicuri, poi, che non si debba aspettare altri dieci anni per vederne altri?), è anche vero - a detta degli stessi Cobas - che tutto ciò è avvenuto dopo il rallentamento degli scatti di anzianità, l'eliminazione di numerosi posti di lavoro e l'ulteriore precarizzazione dei precari per antonomasia, cioè i supplenti. Ma a parte questi aspetti - che non sono affatto prerogativa esclusiva dei lavoratori della scuola - è stata la ricaduta elettorale a condizionare la "disponibilità" del governo. Con le più che incerte elezioni alle porte, il governo e i suoi compari sindacali non potevano permettersi di imbufalire una categoria così numerosa e, almeno in parte, "di sinistra". I calcoli biecamente elettoralistici non hanno contato meno delle "formidabili lotte" ( cobas-scuola.org ) che, al di là delle esagerazioni su scioperi comunque autoregolati secondo i diktat della borghesia, non hanno in alcun modo "rotto il quadro delle compatibilità prestabilite da 'lor signori', sindacalisti e governo" (vedi sito cit.) Ciò che ricevono gli insegnanti è stato - e sarà - scremato da altri settori (anche interni alla scuola: vedi gli ATA) e, allo stesso tempo, è stato prelevato dai fondi già disponibili per il famigerato concorsaccio. A tale proposito, non è affatto vero che la filosofia clientelar-aziendalistica che sottendeva il concorsone sia stata battuta: le è stata solamente messa la sordina, in attesa che i tempi maturino per l'affondo finale. Il criterio della differenziazione del personale è comunque rimasto (vedi i 416 miliardi da destinare a non meglio - o fin troppo bene - precisate attività extra), nonostante non soddisfi la Confindustria (il Sole 24 ore, 16-2), la quale vi vede applicati più criteri di gestione clientelar-sindacali (vero) che aziendalistici.

Ma dal punto di vista di classe, l'unico che ci interessi, quale bilancio bisogna trarre da quelle "formidabili lotte"? Un bilancio tutto al passivo, visto che quelle agitazioni, in linea di massima, non hanno sedimentato niente quanto a crescita di una coscienza di classe anticapitalista, rafforzando, anzi, l'ottuso e radicato corporativismo della categoria. E non ci riferiamo solamente all'aumento esponenziale degli iscritti alla berlusconiana Gilda, ma anche e forse soprattutto, al persistere di un vittimismo autocommiserante (e, appunto, corporativo) della sua ala "antagonista", che fa emergere una volta di più il limitatissimo orizzonte politico-sociale della piccola borghesia docente.

A rimanere chiusi nella propria stanza e piangersi addosso, rifiutando il collegamento con gli altri lavoratori, non si fanno né i propri interessi né quelli, più generali, del lavoro salariato/dipendente.

cb

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.