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Home ›L'Argentina alla vigilia di una nuova crisi finanziaria
Lo scorso mese di novembre l'Argentina è stata paralizzata da uno sciopero generale, che ha visto unitariamente scendere in piazza le tre più importanti confederazioni sindacali. Per la terza volta negli ultimi 11 mesi, milioni di lavoratori pubblici e quelli dell'industria privata hanno manifestato contro il governo guidato dal presidente Fernando De la Rua per protestare contro il piano di riforma dello stato sociale. Riforma imposta dal Fondo Monetario Internazionale per garantire all'Argentina un prestito di 20 miliardi di dollari necessari per evitare la bancarotta finanziaria.
Lo sciopero è arrivato proprio nel momento in cui negli ambienti finanziari internazionali è circolata la notizia che l'Argentina sarebbe sull'orlo di una crisi debitoria. Il pericolo che corre il paese latino americano è di non riuscire più ad onorare i debiti contratti ed a sospendere il pagamento degli stessi. Così come il Messico nel 1994 e la Russia nel 1998, l'Argentina è sommersa da una valanga di debiti e da una situazione economica gravissima; sono quindi molte le possibilità che lo stato argentino sia incapace di pagare i debiti in scadenza nei prossimi mesi. Dopo quella dei paesi del sudest asiatico, sulla quale abbiamo scritto sull'ultimo numero di Battaglia, una nuova falla rischia di aprirsi nel precario equilibrio del sistema finanziario internazionale.
L'Argentina è alle prese con una recessione economica che dura ormai da trenta mesi e le cui conseguenze sociali sono a dir poco drammatiche. Con una disoccupazione ufficiale al 16% (in realtà anche in Argentina come negli Stati Uniti i trucchi statistici occultano i dati reali) ed un costo della vita alle stelle, il proletariato ha subito negli ultimi anni una vera e propria spoliazione. La politica economica seguita dai vari governi che si sono succeduti alla guida del paese negli ultimi dieci anni ha privilegiato il contenimento del tasso d'inflazione, con politiche monetarie restrittive basate sulla parità fissa del peso argentino con il dollaro statunitense, affamando nello stesso tempo milioni di proletari argentini. Il tasso di povertà è aumentato enormemente, interessando il fenomeno oltre il venti percento degli argentini.
Dopo la crisi finanziaria che ha colpito il Messico nel dicembre del 1994, l'allora presidente Menem ha portato a termine il progetto di legare la moneta argentina in maniera stabile al dollaro. Il sistema monetario che si è realizzato in Argentina è basato sul principio che la banca centrale può emettere un peso solo nel caso in cui nelle casse della stessa banca ci sia un dollaro statunitense. Tra peso argentino e dollaro statunitense esiste una perfetta convertibilità ed un rapporto fisso di un peso per un dollaro. Aver legato le sorti dell'economia argentina al dollaro statunitense, se da un lato ha favorito il contenimento dell'inflazione e l'afflusso di capitali dall'estero, dall'altro lato l'economia reale del paese è stata letteralmente distrutta con le conseguenze sociali sopra descritte. Negli ultimi due anni la situazione economica è precipitata per il contemporaneo verificarsi di due condizioni: svalutazione del real brasiliano e supervalutazione del dollaro. La svalutazione della moneta brasiliana ha avuto un impatto economico molto negativo sull'Argentina, visto che il Brasile rappresenta il più importante partner commerciale; il grande paese vicino assorbe oltre un terzo delle esportazioni argentine, mentre le importazioni dal Brasile sfiorano quasi il 40% del totale. La svalutazione del real brasiliano, conseguenza della crisi finanziaria del 1998, ha reso le merci argentine meno competitive all'interno del mercato latino americano, alimentando la spirale di crisi dell'Argentina. Se consideriamo che la domanda interna, proprio per la politica d'austerità imposta dal Fondo Monetario Internazionale, è strutturalmente fiacca è facile immaginare le conseguenze economiche della contrazione delle esportazioni.
Le difficoltà di esportare i propri prodotti sono aumentate anche per la rivalutazione del dollaro sui mercati valutari internazionali. Essendo legato in un rapporto di parità fissa con il dollaro, il peso argentino ha seguito le stesse dinamiche, rivalutandosi a sua volta rispetto alle altre valute dell'America latina ed all'euro, con la conseguenza di subire l'ulteriormente contrazione delle esportazioni verso questi paesi. La rivalutazione del dollaro ha delle conseguenze nefaste soprattutto sulla situazione finanziaria dell'Argentina; la ragione va ricercata nel fatto che il 95% del debito pubblico e l'80% di quello privato è espresso in dollari. Con l'apprezzamento del dollaro il governo e i cittadini argentini vedono i loro debiti aumentare in proporzione all'apprezzamento della moneta americana; un dollaro più caro significa per gli argentini avere dei debiti più elevati. Infatti, la banca centrale argentina per mantenere la parità con il dollaro è stata costretta ad aumentare ripetutamente i tassi d'interessi. Per ottenere dall'estero i capitali necessari a rifinanziare le obbligazioni in scadenza nel mese di novembre, gli investitori internazionali hanno ottenuto dal governo argentino un tasso d'interesse del 16%, ben dieci punti percentuali in più rispetto a tassi presenti sul mercato americano.
La lievitazione del debito pubblico e del debito dell'intero sistema economico, unita alla caduta delle esportazioni, è una vera bomba ad orologeria che rischia di far esplodere l'insolvibilità del paese. Se l'afflusso di capitali esteri è finora bilanciato dalle esportazioni, il crollo di queste sta mettendo il paese nelle condizioni di non poter può ottenere dall'estero i capitali necessari a finanziare il debito pubblico. Solo l'innalzamento dei tassi d'interesse ha permesso al paese di ottenere dall'estero i capitali, ma nei primi mesi del prossimo anno sono in scadenza una grossa fetta di titoli obbligazionari che rischiano di rimanere senza sottoscrittori, con la conseguente dichiarazione d'insolvibilità dell'Argentina.
A differenza di quanto sostengono alcuni epigoni del bordighismo, le crisi economiche dei paesi periferici come il sudest asiatico e l'Argentina sono la diretta conseguenza della crisi che ha colpito le aree più avanzate del capitalismo. Il cuore della crisi mondiale si trova negli Stati Uniti, i quali per il ruolo che rivestono nel panorama imperialistico riescono a scaricare i costi della crisi nelle aree periferiche. Nel caso specifico della crisi debitoria argentina, questa è la conseguenza della rivalutazione del dollaro, ma tale rivalutazione è il prodotto di una politica economica statunitense atta a stornare da ogni angolo del pianeta quote di rendita finanziaria per contenere la caduta del saggio medio di profitto del settore industriale.
Per fronteggiare l'imminente crisi il Fondo Monetario Internazionale ha predisposto un piano di finanziamento di 20 miliardi di dollari il Fondo Monetario Internazionale, ma lo ha subordinato all'approvazione da parte del governo argentino di un piano d'austerità basato sul congelamento della spesa pubblica per i prossimi cinque anni e sull'innalzamento dell'età pensionabile delle donne da 60 a 65 anni. Un ulteriore giro di vite sulle già precarie condizioni di vita della classe operaia argentina.
plBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #12
Dicembre 2000
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