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Home ›Cina e Wto - Il gigante asiatico nella spirale della competizione interimperialistica
Con l'intensificarsi della competizione tra le potenze imperialistiche, la Cina è destinata ad assumere un peso crescente nella prospettiva della definizione dei futuri equilibri. Lo stare con una parte piuttosto che con l'altra potrà costituire un fattore importantissimo nel determinare l'esito dello scontro. Da qui derivano i diversi atteggiamenti tra Europa e Stati Uniti nei confronti dello sterminato paese asiatico, tanto temuto per un verso quanto appetibile per un altro.
In ottobre si è tenuto il terzo vertice tra Unione europea e Cina riguardante la richiesta di ammissione di quest'ultima all'Organizzazione mondiale del commercio (Wto). Appare chiaro immediatamente una maggiore disponibilità europea a soddisfare le aspettative cinesi rispetto alla prudenza americana.
Per riequilibrare lo strapotere americano in campo finanziario e militare, l'Unione europea sta cercando di costituirsi come polo di riferimento alternativo, per il momento attraverso l'euro in qualità di moneta unica che possa contrastare il dominio del dollaro nella funzione di moneta di scambio a livello internazionale, e un domani anche sul piano militare tastando nel frattempo le disponibilità per alleanze e rapporti privilegiati sul terreno economico.
Oltre alla lotta tra i maggiori centri imperialistici, assistiamo al fermento dei paesi subalterni che vorrebbero divincolarsi dalla presenza totalitaria del predone unico americano, avere la possibilità di orientarsi tra più opzioni, un po' come avveniva durante la guerra fredda, se non altro ciò permetterebbe qualche spazio di manovra in più e di vendersi più convenientemente al miglior offerente. Molteplici sono i segnali che vanno in questa direzione, ad esempio la recente notizia che l'Iraq ha ottenuto dall'Onu la possibilità di ricevere in euro invece che in dollari il pagamento delle proprie forniture di petrolio. Subito dopo si è appreso che anche Giordania e Iraq utilizzeranno l'euro come valuta per i loro scambi commerciali.
Nella stessa direzione va l'annuncio della Cina nel corso dell'incontro bilaterale con l'Ue di non volere vendere euro, nonostante il costante deprezzamento nei confronti del dollaro che si stava verificando; dichiarando per bocca del primo ministro Zhu Rongji che il suo paese guarda avanti e scommette sull'Europa nell'investimento di lungo periodo. A questo scopo Pechino ha dichiarato la propria volontà di superare gli ultimi ostacoli per essere ammessa al più presto nella Wto; impegnandosi ad aprire maggiormente il mercato interno e gradualmente il settore bancario, assicurativo, delle telecomunicazioni e del turismo, oltre agli scambi commerciali interni ed esteri.
Il fatto che le cose siano andate a rilento e in modo contraddittorio sino a ora è dovuto alla preoccupazione della borghesia di stato cinese che l'apertura all'esterno significherà nuove ristrutturazioni dell'apparato produttivo per competere con il potente capitale straniero, con pesanti costi sociali che questa volta potrebbero far riempire le piazze di proletari arrabbiati e non di piccola borghesia studentesca come in passato. Inoltre, non è semplice adeguare un'economia a capitalismo di stato ancora predominante alla complessità e quantità di leggi necessarie per adeguarsi alle regole Wto.
Comunque sia, l'Europa è interessata affinché ciò avvenga in fretta, perché le prospettive del mercato cinese sono enormi, e anche per riequilibrare gli scambi commerciali che attualmente sono a tutto vantaggio della Cina. Senza contare che anche da un punto di vista strategico-militare avere per alleato, in caso di necessità, un paese di un miliardo e trecento milioni di persone significa avere un notevole vantaggio. Dunque un fatto molto significativo dal punto di vista degli equilibri interimperialistici sarebbe la nascita di un eventuale asse Europa-Cina, in quanto costituirebbe un contraltare allo strapotere americano, e sicuramente accelererebbe, dandogli più linfa, il processo di unificazione politica dell'Unione europea.
Da parte statunitense le cose sono più complesse. Per un verso, gli Usa hanno la necessità di guadagnarsi i favori, di fare in modo che il gigante asiatico diventi un proprio alleato e non passi nel campo avverso. Dall'altro sono coscienti che esso difficilmente può trasformarsi in una docile e sottomessa pedina. Inoltre, l'impronta infamante di essere un paese "comunista", nonostante le aperture e il processo di liberalizzazione in economia, è un'ossessione stampata nelle teste poco elastiche della borghesia americana. A tutto questo si aggiunge il raffreddamento delle relazioni tra i due paesi dopo il bombardamento Nato della sede diplomatica di Pechino a Belgrado, durante l'intervento militare contro la Jugoslavia di Milosevic, incidente che ha scatenato la reazione dei manifestanti cinesi (pilotati dal governo) contro l'ambasciata Usa.
Il capitale americano è combattuto tra l'integrare la Cina in un sistema di regole per meglio tenerla sotto controllo, e la paura dei contraccolpi economici soprattutto nei settori produttivi tradizionali. Comunque tra diffidenze e perplessità gli scambi commerciali si sono intensificati negli ultimi anni. E qui nasce un ulteriore punto di conflitto, gli Stati Uniti hanno un deficit dell'interscambio con la Cina di 60 miliardi di dollari l'anno. Il timore è che una maggiore liberalizzazione del commercio possa aumentare tale squilibrio.
Lo scenario internazionale del capitalismo nella fase attuale appare come un magma in movimento, e così sarà sino a che non troverà un bilanciamento, per quanto precario, nei confronti dell'imperialismo americano. Il mondo è in mano a pochi centri di potere che decidono la sorte di tutti, il concetto di globalizzazione trova pratica attuazione in meccanismi come la Wto, strumenti di cui si serve il capitale per azzerare le vecchie regole e imporne di nuove nei confronti della forza lavoro, in primo luogo. Mano libera e fare ciò che il capitale vuole, è l'imperativo della borghesia, quale condizione fondamentale per la sopravvivenza del capitalismo.
Si tratta di mettere a punto ancora più efficacemente di quanto non sia ora, strumenti per facilitare enormi trasferimenti di plusvalore dalla forza-lavoro al capitale. Per esempio nelle manifatture tessili e degli elettrodomestici un operaio americano costa 12 dollari l'ora, mentre quello cinese 1,50. Certamente l'operaio americano non potrebbe vivere negli Usa con lo stesso guadagno dell'operaio cinese, però il nuovo contesto metterà in concorrenza la classe operaia delle varie nazioni, provocando una pressione costante verso il basso dei salari, i quali tenderanno ovunque nel corso del tempo ad oscillare verso il minimo della sussistenza, se non addirittura al di sotto soprattutto nelle aree più deboli.
CgBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #12
Dicembre 2000
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