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Home ›La svalutazione dell'Euro
Se sono necessari ulteriori tagli ai salari, alle pensioni e alla spesa sanitaria è solo perché l'acuirsi della crisi ha accentuato la tendenza alla svalutazione della forza-lavoro e le spinte verso la guerra imperialistica
Dall'inizio dell'anno, l'Euro ha perduto rispetto al dollaro più di dodici punti percentuali di cui almeno cinque negli ultimi due mesi. Gli analisti e i commentatori economici, in piena sintonia con Governo, Confindustria e Sindacati, anziché analizzare con attenzione il dato, peraltro in buona parte scontato, lo hanno immediatamente utilizzato per lanciare una nuova campagna a favore di ulteriori tagli a salari, pensioni e sanità. In Germania e in Olanda il calo dell'Euro è stato attribuito al previsto, e da tempo annunciato, sforamento italiano del deficit di bilancio del 2,4 per cento rispetto al 2 programmato quando si prevedeva una crescita del Pil stesso del 2,5 per cento e non l'attuale 1,5.
L'Euro, secondo questa vera e propria campagna di disinformazione programmata, si starebbe svalutando rispetto al dollaro perché fra l'economia europea e quella statunitense esisterebbe un forte gap di competitività dovuto essenzialmente alla supposta maggiore flessibilità del mercato del lavoro statunitense che renderebbe la produttività di quel sistema economico molto più elevata di quella europeo. Tagliando salari, pensioni e spesa pubblica, è la conclusione più o meno esplicita di questa tesi, il sistema europeo guadagnerebbe competitività e la svalutazione dell'Euro cesserebbe.
In generale e in via del tutto teorica, il rapporto di cambio fra due monete è sicuramente influenzato dall'interscambio commerciale fra le aree economiche delle monete interessate; ma questo non è assolutamente vero quando una delle due moneta, come nella fattispecie il dollaro, svolge funzione di mezzo di pagamento e di moneta di riserva internazionali. In questo caso la teoria economica sugli scambi internazionali è del tutto inadeguata a spiegare le dinamiche dei rapporti di cambio. Il dollaro, se il suo valore fosse la reale espressione del rapporto dell'interscambio degli Usa con i loro concorrenti e partner commerciali, varrebbe almeno il trenta per cento in meno di quanto vale oggi visto che gli Stati Uniti hanno un deficit della bilancia commerciale di oltre duecento miliardi di dollari con la tendenza a crescere ulteriormente. Soprattutto da quando le ex Tigri asiatiche sono in crisi e le loro monete si sono deprezzate acquistare in dollari computer, telefonini e quanto altro viene prodotto in quell'area è veramente un affarone per cui vi è una vera e propria corsa da parte degli americani a importare merci a bassissimo costo. Stando alla tesi corrente che attribuisce la svalutazione dell'Euro alla scarsa competitività del sistema economico europeo, il dollaro in questo contesto dovrebbe tendere a svalutarsi e invece continua ad apprezzarsi. Peraltro, l'Europa, dal punto di vista economico e commerciale, è un'area già da tempo ben strutturata e il suo interscambio con il resto del mondo, essendo pari al 10 per cento del suo Pil, non può avere una grande influenza sui rapporti di cambio con il dollaro. Poi, quando si vanno a guardare i dati, anche la produttività del suo sistema economico non risulta tanto più bassa di quella statunitense e forse è addirittura superiore. Fatta 100 la produttività oraria statunitense rispetto al Pnl, nel 1960, essa risultava del sessanta per cento più alta di quella italiana; ma già nel 1995 la differenza era solo di uno stentato 10 per cento e forse anche mal calcolato (In Italia circa il 30 per cento del Pil sfugge alle statistiche). La Francia e la Germania, che nel 1960 facevano registrare una differenza di produttività oraria rispettivamente del 46 e del 48 per cento, già nel 1995 superavano il 102 e il 101 per cento rispettivamente quello che veniva considerato il mostro imbattibile dell'efficienza. Il declino statunitense rispetto all'Europa è confermato anche dai tassi di crescita del Pnl degli Usa e degli altri paesi Ocse nel periodo 1973-1997. Per esempio, per rimanere solo al confronto con i maggiori paesi europei, mentre negli Stati Uniti fra il 1973 e il 1979 il Pnl reale è cresciuto del 2,5 per cento, in Italia e in Germania è cresciuto del 3,1 e in Francia del 3 per cento. Nel periodo '79-'89 invece contro l'1,8 per cento statunitense, l'Italia ha registrato una crescita del 2,3, la Francia dell'1,7 e la Germania dell'1,8. Nel periodo 1989-'97 hanno fatto tutti segnare un forte calo attestandosi gli Stati Uniti all'1,1, l'Italia e la Francia all'1 e la Germania all'1,8 per cento.
I dati dimostrano chiaramente, dunque, che le ragioni della svalutazione dell'Euro in questi ultimi mesi vanno cercate altrove. In realtà esse sono tutte riconducibili al fatto che gli Usa costituiscono oggi la maggiore potenza imperialistica mondiale e sono perciò in grado di appropriarsi della quota maggiore della rendita finanziaria che viene estorta su scala planetaria.
Come ripetutamente da tempo BC va sottolineando, il dollaro in quanto mezzo di pagamento internazionale offre agli Stati Uniti lo straordinario privilegio di pagare le proprie importazioni dando in cambio solo carta-moneta che ha però il dono imperialistico di essere accettata in tutto il mondo in contropartita di qualunque cosa anche di concretissime merci ivi comprese tutte le materie prime. Inoltre si tratta di carta che le banche centrali dei paesi di mezzo mondo conservano come si faceva un tempo con il vestito della festa. Poiché era il vestito che si tirava fuori nelle occasioni importanti e poiché almeno una volta nella vita un matrimonio, un funerale o un invito improvviso non te lo toglie nessuno, quel vestito bisognava possederlo anche a costo di immensi sacrifici. Così oggi è con i dollari: bisogna possederne e tenerne una certa quantità nell'armadio, anche se sai che negli Stati Uniti non compererai mai neppure uno spillo perché sono necessari per pagare le rate dei debiti con l'estero, per acquistare il petrolio, la frutta esotica e un'altra infinità di merci anche se quel petrolio, quelle banane, e tutto il resto con gli Usa non hanno nulla a che fare e dagli Usa non passano neppure per sbaglio. Gli Stati Uniti lo sanno e fanno di tutto per vendere quella carta al prezzo che fa loro più comodo in quel dato momento e possono farlo in tanti modi: alzando o ribassando il tasso di interesse, facendo salire o scendere il prezzo delle materie prime e in particolar modo del petrolio di cui controllano militarmente tutte le più importanti aree di produzione, aumentando o diminuendo la massa monetaria in dollari che circola nel mondo e/o con tutta una serie di manovre finanziarie sul cosiddetto mercato dei derivati finanziari ecc. In questi ultimi tempi, per contenere la ripresa dell'inflazione seguita alla enorme crescita della massa di dollari messi in circolazione per far fronte alla crisi finanziaria asiatica, russa e del Brasile, senza far crescere molto i tassi d'interesse che avrebbe messo letteralmente in ginocchio il loro apparato produttivo, gli Usa hanno esasperato le tensioni internazionali (bombardamenti in Iraq e guerra contro la Serbia ecc.). La conseguenza di ciò è stato l'aumento dei prezzi del petrolio e la fuga verso il dollaro dei grandi investitori istituzionali (banche centrali, Fondi Pensioni ecc.) e privati spaventati dal timore di un allargamento della guerra nei Balcani.
Di fronte a ciò l'Euro non ha potuto fare altro che svalutarsi anche perché la Bce (Banca centrale europea) ha preferito mantenere bassi i tassi di interesse per non soffocare l'economia europea già in recessione. I differenziali di produttività quindi non c'entrano assolutamente niente, anzi il fatto che la Bce vi sia finora riuscita a non aumentare i tassi di interesse costituisce la migliore conferma che la nuova moneta sta assolvendo egregiamente al compito che le è stato assegnato che, almeno per ora, è appunto quello di contenere lo strapotere del dollaro. L'espediente propagandistico di addebitare la svalutazione dell'euro alla cosiddetta spesa sociale troppo alta o alla scarsa flessibilità dei salari o ai salari e al costo del lavoro europei che sarebbero troppo elevati, in realtà mira a nascondere un dato ben più preoccupante e cioè che la crisi del ciclo di accumulazione del capitale nonostante l'Euro e i sacrifici che è costato ai lavoratori, nonostante le guerre a catena che devastano il mondo, nonostante le gigantesche rendite finanziarie di cui si appropria soprattutto il grande capitale monopolistico, ha subito un'ulteriore accelerazione e ha accentuato ulteriormente la tendenza alla svalutazione del valore della forza-lavoro e le spinte alla guerra imperialistica.
g.p.Battaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #6
Giugno 1999
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