La Russia nella tempesta dei Balcani

La polveriera russa promette nuove guerre e nuovi massacri soprattutto se il proletariato internazionale continuerà a subire inerme e inerte l'offensiva del suo nemico di classe

Il frastuono delle bombe con il loro carico di morte non è ancora cessato in Kosovo, ma i soliti tromboni del giornalismo italiano non hanno perso tempo per apprezzare l'importante ruolo di mediazione svolto in questi mesi dal russo Cernomyrdin, principale artefice dei colloqui diplomatici di pace con il governo di Belgrado, in qualità di sponsor principale presso Milosevic del piano di pace elaborato dal G8. Un piano di pace che a grandi linee prevede di fatto la spartizione del Kosovo in diverse aree ognuna delle quali posta sotto l'egida delle grandi potenze mondiali, ma che fino al momento in cui scriviamo non è stato ancora sottoscritto dal governo jugoslavo e in qualche modo ancora contrastato dalla stessa Russia e dalla Cina. Infatti, contrariamente a quanto sostengono questi commentatori chiaramente asserviti alla propaganda della Nato e secondo cui la guerra in Kosovo, grazie alla mediazione con La Serbia, avrebbe rilanciato la Russia sulla scena internazionale riconsegnandola quel ruolo di grande potenza mondiale che la crisi economica e la successiva caduta del "comunismo" le aveva fatto perdere, non è condivisa e non convince neppure una buona parte dei centri di potere russi. In realtà la guerra nell'ex Jugoslavia tra le forze della Nato e l'esercito di Milosevic, tra le altre cose, ha dimostrato invece tutta la debolezza dell'ex grande potenza. La guerra l'ha vista assolutamente incapace di opporsi alle sue dinamiche militari e politiche e nello stesso tempo subire passivamente l'avanzata di forze militari nemiche, quali sono quelle della Nato, in paesi che fino a qualche anno prima gravitavano nella sua orbita con il preciso scopo di sottrarle il controllo del petrolio del Caucaso e del Mar del Caspio sui cui poggiano molte delle aspettative di ripresa economica, oltre che di isolarla dal resto dell'Europa.

A testimoniare di questo difficilissimo momento, proprio nel corso dei bombardamenti sul Kosovo e sulla Serbia da parte delle forze della Nato, il paese è stato di nuovo scosso dall'ennesimo terremoto politico che ha portato Yeltsin a destituire il presidente del consiglio Primakov, sostituendolo con una figura di secondo piano come l'ex capo della polizia Sergey Stepanhin.

Cogliendo l'occasione di una situazione di stallo nel processo di mediazione portato avanti dalla Russia, Eltsin ha prima nominato plenipotenziario per i Balcani l'ex primo ministro Cernomyrdin, gradito agli Stati Uniti, e poi, rovesciando le parti ha silurato Primakov ed suoi alleati filo comunisti, accusandolo di eccessiva accondiscendenza nei confronti della Nato e del FMI. La manovra non ha provocato reazioni aperte per cui la situazione appare tranquilla e in molti pensano che tale resterà almeno fino a quando Eltsin resterà presidente, ma sia per il contesto in cui è maturata sia per il fatto che la situazione interna rimane drammatica si tratta di una calma che nasconde il solito fuoco sotto la cenere pronto ad incendiare il paese nei prossimi mesi. Come spesso accade in queste circostanze, la destituzione di una figura come quella di Primakov, legata ad un settore importante dell'universo economico-politico-militare russo, è solo la punta di un iceberg, dietro la quale si sta combattendo una ferocissima battaglia per il potere il cui esito sarà determinante oltre che per la Russia anche per la ridefinizione degli equilibri interimperialistici in atto su scala planetaria.

La situazione economica è a dir poco drammatica. Dopo la crisi finanziaria della scorsa estate, che ha visto la completa dissoluzione del valore del rublo rispetto alle altre monete internazionali, la situazione economica è ulteriormente peggiorata. Secondo il Centro per lo studio sul livello di vita, quasi ottanta milioni di russi vivono al di sotto della soglia della povertà. Il grande processo di privatizzazione dell'economia, realizzato durante gli anni Novanta, ha prodotto una crescente polarizzazione della ricchezza nazionale tanto che oggi il 2% della popolazione s'accaparra di ben il 57% del prodotto interno lordo. A cospetto di un paese ridotto letteralmente alla fame e mentre il governo deve chiedere l'elemosina al Fondo Monetario Internazionale per ottenere poche decina di miliardi di dollari, i nuovi ricchi, quelli nati grazie alle ruberie perpetrate durante il nuovo corso neoliberista di questi anni, esportano annualmente capitali all'estero per una cifra che s'aggira tra i 200 e i 250 miliardi di dollari. A questa cifra da capogiro bisogna aggiungere l'enorme flusso di capitali che fuoriesce da tale conteggio grazie alle partite di giro realizzate tra le varie imprese multinazionali. Nel corso dei primi mesi del 1999 il debito estero, nonostante la minaccia di congelamento del pagamento fatto all'indomani della bufera finanziaria dell'estate '98 da parte del governo russo, ha raggiunto la cifra record di 180 miliardi di dollari, mentre il debito interno ha raggiunto i 161 miliardi di dollari. Ma il dato che esprime più di ogni altro le difficoltà economiche e sociali è quello relativo ai salari arretrati non percepiti dai lavoratori: rappresentavano l'11% del prodotto interno lordo nel gennaio 1997 e nel settembre 1998 hanno raggiunto il 27%! Nonostante ciò la Russia, però, continua a essere la seconda potenza militare dopo gli Stati Uniti e a possedere immense ricchezze naturali: una macchina bellica e un potenziale economico di tutto rispetto con alle spalle un'economia da terzo mondo (ricordiamo che il valore del Pil russo nel contesto di quello mondiale rappresenta circa l'1% del totale)! Questa è la Russia di oggi, ma questa è anche la ragione per cui gli Stati Uniti l'unica superpotenza rimasta in vita dopo la caduta del muro di Berlino continuano a temerla e operano per ridimensionarla ulteriormente e isolarla con lo scopo di impedire una sua possibile alleanza con l'Europa dell'euro. Ma questa è anche la ragione per cui, all'interno, settori consistenti della borghesia, di quella più legata al settore industriale e vasti settori dell'apparato militare, non accettano di l'attuale status sicuramente più consono a un paese del terzo mondo e tanto più che una maggiore integrazione con l'Europa dell'euro potrebbe rappresentare una possibile via di uscita dalla catastrofica crisi in cui versa il paese.

La guerra nei Balcani per essere oltre che una guerra degli americani contro l'Europa anche una guerra contro la Russia e le sue aspirazioni di rinascita economica e politica, non poteva non avere conseguenze sullo scontro di potere che si trascina ormai da anni fra il gruppo economico e mafioso che fa capo a Eltsin, che del disastro economico e dello smantellamento dell'apparato industriale statale ha fatto la fonte del proprio incredibile arricchimento e perciò fortemente interessato a mantenere lo status quo e i gruppi, che facendo capo a quella parte del complesso militare-industriale che la politica yeltsiniana ha fortemente penalizzato, mirano invece a rovesciare l'attuale presidente e i suoi compari evitando però accuratamente di prendere iniziative che potrebbero loro sfuggire di mano e rimettere in movimento il proletariato e quegli strati della popolazione, ormai molto consistenti, impoveriti dalla crisi. Le crescenti accuse mosse in questi giorni da parte degli ex comunisti di Zuganov al corrotto e miliardario Cernomyrdin di tradimento della Serbia a favore degli Usa e le resistenze che i militari stanno opponendo al dispiegamento delle forze Nato in Kosovo per ottenere una consistente presenza dell'ex armata rossa nell'area, dimostrano chiaramente che lo scontro interno è ancora aperto e che i suoi esiti sono ancora tutti da scrivere. Altro che pace raggiunta, dunque, altro che calma! La Russia è una polveriera che accenderà ancora chissà quante guerre e quanti massacri, soprattutto se il proletariato di quest'area come quello del resto del mondo continuerà a subire inerme e inerte l'offensiva del suo nemico di classe.

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Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.