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Home ›Colombia: un souvenir dell'inferno
Seconda parte.
Errata corrige - Nella prima parte apparsa su BC 5/99: nella terza colonna da sinistra, nona riga dal basso, dove si legge "socialismo di stato", deve leggersi: "capitalismo di stato". Si è trattato di un errore di traduzione di cui ci scusiamo con l'autore e con i lettori.
La stratificazione della classe operaia in gruppi privilegiati e marginalizzati, con grandi differenze salariali e di livello di vita, così come la divisione dell'industria in un settore moderno e l'altro "arcaico", rappresentano anch'esse un potente fattore negativo in termini di unità e di possibilità di azione della classe operaia. Benché la classe operaia colombiana sia relativamente numerosa, circa 12 milioni di salariati, questa non è un blocco monolitico e omogeneo né tutti quelli che sono inclusi nelle categoria di "salariati" sono operai. A volte il tipo di reddito che percepiscono non è in realtà salario bensì altri tipi di rendite. Una porzione relativamente grande è composta da giornalieri migranti che lavorano temporaneamente nelle piantagioni e nei fondi agricoli durante la raccolta. Un secondo settore è costituito da lavoratori informali. Un terzo è formato da operai appartenenti alle industrie domestiche e alle officine (probabilmente questo è il più numeroso). Un quarto è occupato nei piccoli commerci orientati ai servizi, mentre una porzione percentualmente piccola, sebbene di maggior peso specifico, appartiene ai centri industriali controllati dagli oligopoli nazionali e dalle multinazionali nel settore automobilistico, alimentare, chimico, della gomma, dell'acciaio, cementizio ecc. Almeno due milioni di persone sul totale dei salariati sono impiegate nel settore statale. Senza dimenticare gli strati consistenti di proletariato e sottoproletariato che lavorano per l'economia sommersa sostenuta dalla prospera lumpenborghesia. Si calcola che circa un milione e mezzo di persone - senza distinguere se sono operai dei laboratori clandestini di droga, contadini coltivatori, giornalieri raccoglitori, sgherri a pagamento o "boss" del traffico (ci sono casi in cui i membri di una stessa famiglia assumono simultaneamente tutti questi ruoli) - traggono il loro sostentamento dal mercato del narcotraffico. A ciò si aggiunge la presenza strutturale di un'enorme sovrappopolazione fluttuante che rafforza il potere di estorsione e il ricatto connaturati al rapporto salariale capitalistico.
Quanto detto sopra testimonia di un enorme grado di atomizzazione e dispersione, così come della mancanza di un legame permanente con la produzione. Si registrano pure continui movimenti migratori da una regione all'altra del paese e si producono cambiamenti di condizione sociale grazie alla potente e ricca economia sommersa e alla presenza di estese zone di colonizzazione vicine alla frontiera agricola legale. Così possiamo vedere un giornaliero convertirsi facilmente in contadino proprietario di un campicello coltivato a papavero, o antichi operai edili della città trasformarsi in coltivatori di coca in estese aree di colonizzazione. Il denaro riciclato del narcotraffico e di altre attività illecite è anche usato per finanziare attività economiche legali o meno criminose come il commercio e il contrabbando. Ciò permette a significativi settori poveri della popolazione di accedere rapidamente alla proprietà e a considerevoli entrate. L'emigrazione verso i paesi vicini - specialmente il Venezuela - e verso gli USA offre ugualmente il suo contributo agli elementi disgregatori dell'identità operaia. Negli ultimi dieci anni non c'è stato nessun segnale di inversione della inattività della classe operaia. In cambio, l'ultima riforma riguardante il lavoro, malgrado abbia introdotto la flessibilizzazione del mercato del lavoro e concesso più potere ai capitalisti nelle relazioni contrattuali, non ha provocato una reazione di massa veramente significativa. Nemmeno il fatto che a partire dalla seconda metà degli anni ottanta si fossero applicate con violenza le riforme neoliberali fu sufficiente per destare la rabbia dei lavoratori. Nessuno mosse un dito per difendere quello che fino a quel momento era considerato un insieme intoccabile di "diritti acquisiti della classe operaia", la mini-versione colombiana di stato sociale. E nemmeno si registrarono disordini degni di menzione in conseguenza degli altissimi livelli di desertificazione industriale e dell'applicazione del down sizing che accompagnarono la lunga lista di privatizzazioni effettuate a partire dalla seconda metà degli anni ottanta - inizi novanta. In un paese nel quale la vitalità dell'economia è dipesa per decenni dalla funzione regolatrice dello Stato, la diminuzione delle dimensioni e delle attribuzioni economiche dell'apparato statale, conseguente alla riforma neoliberale, ha portato con sé l'accentuazione della crisi dell'economia reale, privata del mercato creato dal governo e della copertura delle tariffe e dei sussidi che la proteggevano dalla concorrenza straniera; altra conseguenza è la disoccupazione massiccia (un'importante città industriale situata nel sud-ovest del paese, Cali, oggi registra un tasso di disoccupazione pari al 35% della popolazione attiva) e l'avanzamento dell'economia dei servizi e il trionfo delle forme parassitarie e speculative del capitale. In linea generale, ha provocato una nuova ondata di disgregazione e di regressione della vita sociale a livelli di contrasto e di brutalità animaleschi.
Tutto questo processo è giunto al culmine in mezzo a un clima di terrorismo caratterizzato dallo sterminio di importanti nuclei della dirigenza sindacale e del movimento democratico-nazionalista organizzato dalla "sinistra" locale. Ci sono casi di sindacati di interi settori industriali che sono stati quasi completamente liquidati dall'azione criminale degli sbirri padronali. Quantunque la sinistra si sia tradizionalmente appoggiata sulle masse, in particolare contadine, è stata isolata dalla popolazione urbana a causa della repressione e di una sistematica campagna di diffamazione. La forza e la "popolarità che apparentemente aveva questa sinistra nei barrios periferici delle grandi città poiché non si basava sulla capacità auto-organizzativa e politica delle masse, erano totalmente usurpate. In effetti, la sinistra non diceva nulla alle masse urbane, non parlava dei loro interessi né dei loro problemi, non combatteva per il programma dei lavoratori, non aveva fiducia nella loro iniziativa né nella loro azione e organizzazione, si limitava a fare "alta politica", a recitare il monologo dell'avanguardia nazionale illuminata e basava la sua sorte sulle manovre e gli accordi presi nelle stalle della democrazia. In tal modo, la strategia repressiva e terrorista dello Stato borghese conseguì il suo obiettivo di isolare la sinistra da una massa che non vedeva rappresentati in essa i suoi interessi. E una volta isolata, il suo sterminio si accentuò fino ad arrivare a un punto in cui, espulsa dalla vita sociale e politica, la sopravvivenza propria e dei propri membri non era più possibile se non in esilio e la sua azione e la sua presenza politica non consentivano altro terreno che quello della sollevazione armata. E su questo terreno la sua proposta ha avuto, innegabilmente, molto più successo, come dimostra l'inarrestabile processo di dissoluzione dello Stato nella maggior parte delle aree rurali sotto l'assalto di una guerriglia militarmente vittoriosa, che conta cinquant'anni di esperienza in un combattimento continuo e l'appoggio di una massa contadina che ha partecipato a più di cento guerre civili a partire dalla vittoria della repubblica sopra il sistema coloniale monarchico (1819). (fine)
jaBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #6
Giugno 1999
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