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Da tempo le aziende possono utilizzare la manodopera a loro completo piacimento ma la disoccupazione non è mai diminuita. Ora D'Alema...
Il messaggio forte che ossessivamente diffondono quotidianamente tutti i media, si fonda su due concetti chiave:
La concorrenza sempre più agguerrita e il progresso tecnologico impongono alle imprese strategie produttive che entrano in conflitto con la rigidità del mercato del lavoro, la flessibilità della gestione della forza lavoro è quindi l'unica rimedio in grado di mantenere alta la competitività del sistema produttivo.
La flessibilità inoltre, a lungo termine, non aumenta la disoccupazione e riduce i salari ma al contrario stimola gli investimenti, favorisce il turn over e crea nuove opportunità d'impiego purchè si vinca l'ansia di volere risultati a breve termine e ci si adatti alle nuove regole del mercato.
In particolare, gli obiettivi a cui puntano industriali ed artigiani sono l'ampliamento dei regimi di impiego più elastici (es. contratti a termine, lavoro interinale, maggiore libertà di licenziare), la riduzione dell'incidenza dei costi indiretti, le agevolazioni a favore delle nuove attività produttive, la rimodulazione degli orari di lavoro.
L'ultima proposta in questa direzione viene proprio dal presidente del consiglio D'alema che ipotizza la possibilità per le imprese che occupano meno di 15 dipendenti, dove da sempre è possibile licenziare anche senza giusta causa, di ingrandirsi mantenendo, per un certo periodo di tempo, la libertà del licenziamento individuale sul modello dei contratti di emersione dal lavoro nero che concedono alle aziende che intendono legalizzarsi, 3 o 4 anni di ulteriore sottosalario e l'adeguamento graduale alla normativa vigente
La falsità di queste tesi è sotto gli occhi di tutti, il tessuto produttivo ha subito in questi anni profondi cambiamenti strutturali caratterizzati in modo particolare dalla riduzione delle dimensioni delle aziende, dal dilatarsi dell'impresa individuale e dal decentramento della produzione verso la sobfornitura secondo uno schema definito a rete.
Questi cambiamenti hanno permesso alle aziende di liberarsi della manodopera eccedente e snellire, differenziare e razionalizzare la produzione abbattendo i costi. Inoltre, a partire dal '93 sono stati introdotti nella disciplina del lavoro raffinati strumenti che le aziende possono utilizzare, indipendentemente dalle dimensioni, per gestire in modo elastico la manodopera, gli orari, i salari. Il risultato è stato l'aumento smisurato dei profitti, la caduta vertiginosa dei salari, la crescita della disoccupazione e la dilatazione del precariato.
Se proviamo ad analizzare i dati statistici periodicamente elaborati dell'Istat e le relazioni pubblicate dalle varie strutture di categoria emerge immediatamente la marcata stratificazione del mercato del lavoro: Lo strato più basso è rappresentato dalla cosiddetta economia sommersa che produce, secondo le stime ufficiali, dal 25 al 33% del pil e impiega circa 11 milioni di lavoratori. Il secondo strato è rappresentato dall'universo dei precari che vanno dai 140.000 braccianti stagionali ai lavoratori dei servizi, ai lavoratori con contratti a termine, ai cassintegrati ecc. un altro strato è rappresentato dai lavoratori degli appalti, della subfornitura e delle piccole che pur essendo formalmente assunti stabilmente subiscono ogni sorta di ricatto occupazionale, salariale e di disagio lavorativo. L'ultimo strato infine è rappresentato dai cosiddetti garantiti, che però vedono ogni giorno peggiorare le loro condizioni di lavoro e subiscono continuamente il rischio di crisi produttive che li può rapidamente scaraventare nel precariato.
Da qualunque punto di vista si osservi il mercato del lavoro, qualunque segmento di questo si prenda in considerazione dunque emerge come unico elemento caratteristico generale la progressiva trasformazione dell'occupazione stabile in sottoccupazione accompagnata dalla erosione sempre più marcata dei salari.
Tutti gli accordi, i contratti e gli interventi sulle norme sul lavoro non fanno altro che accelerare questo processo che può essere fermato solo dalle lotte del lavoratori e dei disoccupati.
Il tempo delle incertezze è finito, bisogna ora passare ai fatti.
LpBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #2
Febbraio 1999
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