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Home ›L'Euro? Roba per ricchissimi
La moneta unica europea è stata concepita, progettata e realizzata nell'interesse esclusivo del grande capitale. Al proletariato non potrà dare che frutti avvelenati
Nel suo primo mese di navigazione nel grande mare della finanza globale, l'Euro, la moneta unica europea, sembra aver retto senza particolari difficoltà il confronto-scontro con il dollaro e lo yen. Nonostante la tempesta brasiliana, le sue quotazioni non si sono discostate di molto da quelle pronosticate dagli analisti e attese dalla BCE dimostrando così che almeno uno dei suoi compiti, la stabilità dei cambi interni all'area europea, la nuova moneta lo ha assolto egregiamente. E non si tratta di cosa di poco conto. In passato, in circostanze simili, la lira, per esempio, si è sempre svalutata rispetto al marco di qualche decina di punti creando problemi di competitività e di gestione dei tassi di interessi sicuramente non salutari per la stabilità economica e finanziaria.
Stranamente però questo, che è sicuramente un significativo successo della nuova moneta, non ha suscitato commenti particolarmente entusiastici né da parte degli osservatori economici né da parte degli organi governativi sia a livello di Comunità che a livello nazionale. Anzi, si sono susseguiti gli allarmi, è ricominciato il balletto delle cifre sulla reale dimensione dei deficit di bilancio dei vari paesi aderenti, a cominciare dall'Italia, e i richiami al patto di stabilità e agli eventuali sacrifici necessari per rispettarlo sono ormai diventati pane quotidiano. In un mese, in cui fra l'altro il bilancio per la nuova moneta è risultato perfettamente in linea con le previsioni, gli squilli di tromba anziché diventare assordanti, hanno lasciato il posto ai lamenti. Sembra che siano passati secoli e accaduti disastri immani da quando, per giustificare i tagli compiuti in suo nome, bastava solo dire: "Euro" e... Abracadabra!, come nella fiabe, non c'era questione che non trovasse soluzione. Dalla linee telefoniche vecchie alle autostrade insufficienti, dalle Ferrovie e le Poste allo sfascio al sistema bancario antiquato e strozzino, tutto sarebbe stato miracolato dalla nuova moneta e riportato all'efficienza come mai si era visto in passato. La maggiore concorrenza interna che la moneta unica avrebbe favorito, sarebbe stato il toccasana di tutti i mali. Sul fronte della lotta alla disoccupazione, poi, si contavano a milioni i posti di lavoro che sarebbero nati grazie alla riduzione dei tassi di interesse che la nuova moneta avrebbe comportato, senza contare quelli che si sarebbero creati finanziando, con le eccedenze valutarie che le Banche centrali dei vari paesi europei si sarebbero ritrovate in cassa con la nascita della nuova moneta, il varo di un vero e proprio New Deal mirato alla costruzione di alcune grandi infrastrutture a livello continentale. È bastato un mese, e neanche dei peggiori, e tutto è sfumato. L'ex comunista di paglia D'Alema, che appena eletto presidente del consiglio si era recato a Vienna per contribuire con gli altri ministri europei alla stesura del famoso manifesto in cui la disoccupazione è stata indicata come il nemico numero dell'Europa comunitaria e questione prioritaria su ogni altra, si è ridotto a far sue, e proprio in materia di occupazione, addirittura le proposte che erano già state avanzate (e da lui e i suoi soci ampiamente criticate) dal suo diretto concorrente Berlusconi che pretendono di risolvere la questione offrendo alle imprese la più ampia libertà di licenziamento. Tutto qui.
In un battere di ciglia, l'Europa orgogliosa del suo "capitalismo sociale" è sfumata come le nebbie mattutine al comparire del primo sole. È bastato che la nuova moneta nascesse e muovesse i primi passi perché tutte le promesse fatte svanissero e l'Euro apparisse quel che è veramente e per cui è stato pensato e realizzato: lo strumento che il grande capitale europeo si è dato per contrastare il dominio del dollaro e in subordine dello yen. Né poteva essere diversamente.
L'Europa dell'Euro è nata solo e in quanto la crisi del ciclo di accumulazione ha reso vitale l'affinamento e l'espansione dei meccanismi di appropriazione parassitaria di plusvalore mediante la dilatazione della rendita finanziaria. Questo è il codice genetico della nuova moneta e perciò essa non può che svilupparsi in ossequio alla sequenze che quel codice detta. In parole povere ciò significa che l'affermazione dell'Euro non potrà non portare con sé alcune precise conseguenze e specificatamente il prevalere di tutte quelle attività che si accompagnano con la crescita della sfera finanziaria connessa a quella delle attività parassitarie. La concentrazione e la centralizzazione dei capitali al più alto livello sono pertanto un imperativo a cui non ci si può sottrarre se si vuole competere con i giganteschi gruppi transanazionali statunitensi e giapponesi. Ma ciò implica necessariamente un'ulteriore polarizzazione della ricchezza e la contrazione del numero degli occupati nel settore manifatturiero. Scrive a tale riguardo l'economista francese Susan George: "Nel 1995 il Prodotto mondiale lordo (il Pml, ossia la totalità delle attività economiche mondiali) era stimato in circa 27,657 miliardi di dollari. Nello stesso anno, il giro d'affari delle prime 100 imprese al mondo superava i 4.000 miliardi dollari, cioè il 15% del Pml. Tuttavia queste cento imprese giganti davano occupazione solo a dodici milioni di persone. Così, ogni occupato in ciascuna di queste Itn (Imprese transnazionali ndr), colossi transnazionali, dallo spazzino al direttore generale, era responsabile d'un ordine d'affari di 342.000 dollari in media. Lo stesso calcolo applicato alle prime dieci Itn fornisce un volume d'affari per occupato di 425.000 dollari: Ossia più un'impresa è grande, meno occupazione crea in rapporto alla sua estensione.
Tra il '93 e il '95, queste 100 maggiori Itn hanno: a) aumentato il loro giro di affari all'estero del 26%; b) aumentato il numero degli occupati all'estero, ma solo del 4%; c) ridotto il numero complessivo degli occupati del 4%. Questo significa che tutti i licenziamenti hanno avuto luogo nei paesi di origine di queste imprese, i paesi Ocse." (il Manifesto del 7 gennaio 1999). E meno posti di lavoro non vuol dire solo meno occupati.
Quando l'investimento è mirato a consolidare posizioni di comando sul mercato per poter acquisire rendite di posizione e quindi dare luogo all'accelerazione dei processi di concentrazione e centralizzazione dei capitali, si modificano inevitabilmente anche tutti i rapporti di distribuzione della ricchezza a vantaggio dei più ricchi. Gli investimenti di questo tipo non danno luogo alla espansione della base produttiva e alla nascita di nuovi posti di lavoro ovvero alla crescita del numero dei salariati; gli incrementi di profitto che ne dovessero perciò conseguire restano unicamente ad appannaggio dei ricchi e in particolare dei possessori di capitale finanziario (sotto forma di azioni, obbligazioni, opzioni ecc.). I nuovi posti di lavoro che vengono a crearsi, se si creano, sono di conseguenza intimamente connessi all'accresciuta ricchezza di costoro e quindi si tratta quasi sempre di posti di lavoro servili, occasionali e mal retribuiti data la scarsa qualificazione richiesta e l'abbondanza di manodopera di questo tipo.
L'Europa con l'Euro diventerà come gli Usa dunque? Questo è ciò che la borghesia mediante i suoi mezzi di comunicazione vorrebbe far penetrare nella coscienza del proletariato europeo insieme all'altra grande mistificazione che il modello americano è capace di generare addirittura la piena occupazione. In questo stesso numero di BC con il conforto dei numeri si dimostra senza ombra di dubbio che questa tesi è falsa e che la disoccupazione dilaga anche oltreoceano. Ma non è vero neppure che un modello economico incentrato sulla dilatazione delle attività parassitarie e quindi della sfera finanziaria può dare in Europa, per non parlare dell'Italia, gli stessi frutti che negli Stati Uniti.
La struttura della proprietà dei grandi colossi industriali e finanziari negli Stati Uniti, avendo alle spalle una storia più lunga e diversa di quella dei gruppi europei, fa perno su un azionariato molto più diffuso che nel vecchio continente. Gli stessi fondi - pensione, che oggi detengono la stragrande maggioranza del capitale finanziario che circola sul pianeta, sono quasi tutti ad azionariato popolare e comunque molto diffuso fra gli stessi lavoratori. In conseguenza di ciò negli Stati Uniti, benché la ricchezza sia molto più concentrata che in Europa, oltre il 50% dei titoli mobiliari sono posseduti dalle famiglie operaie e impiegatizie. In Europa, e in Italia in modo particolare, l'azionariato è invece scarsamente diffuso essendo concentrato nelle mani di alcune famiglie (soprattutto in Italia) o delle banche (soprattutto in Germania). Per questa ragione negli Stati Uniti, seppure in misura alquanto ridotta, le rendite finanziarie si ridistribuiscono anche fra le fasce medie e medio-basse della società mentre in Europa restano ad appannaggio di pochi; ciò è dimostrato anche il fatto che mentre gli andamenti dei mercati finanziari e di Wall Street in particolare, hanno riflessi immediati sui consumi interni, l'incidenza di quelli europei è del tutto irrilevante.
Certo, si parla anche qui di fondi-pensioni e di azionariato diffuso, ma per chi e fra chi? Per i lavoratori in nero e con un salario di un milione al mese o fra i giovani disoccupati? Con queste premesse, se il dollaro è roba per ricchi, l'Euro è per ricchissimi.
gpBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #2
Febbraio 1999
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