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L'Euro porterà nuovi e pesantissimi attacchi alle condizioni di vita del proletariato internazionale e tuttavia apre prospettive di grande interesse per la ripresa della lotta di classe
Dal primo gennaio 1999 l'Euro, la nuova moneta europea, è diventata realtà. Con squilli di trombe e rullare di tamburi la borghesia europea e tutti i corifei del capitale hanno annunciato la nascita della nuova moneta. Gongolante di felicità per il raggiungimento della meta, la classe dominante non ha perso l'occasione per annunciare che una nuova fase di prosperità e sviluppo si sta aprendo per i "cittadini" del vecchio continente e che l'epoca dei sacrifici sarà fra non molto soltanto un pallido ricordo. A sentire gli ideologi borghesi si prospettano tempi decisamente migliori in cui, grazie alla raggiunta stabilità monetaria, la crescita economica sarà più consistente e come per incanto il dramma della disoccupazione di massa, in virtù anche di una maggiore flessibilità nel mercato del lavoro, sarà facilmente sconfitto con la creazione di milioni di nuovi posti di lavoro. Alle bugie della politica dei sacrifici la borghesia aggiunge nuove bugie quando promette la fine di tale politica.
Dal primo gennaio '99, dopo che sono stati fissati in maniera definitiva i tassi di cambio tra l'Euro e le monete degli undici paesi aderenti alla moneta unica (per quanto concerne la moneta italiana, un euro vale definitivamente 1936,27 lire), l'Euro è divenuta la moneta utilizzata nelle transazioni finanziarie sui mercati di tutto il mondo, anticipando, in una sorta di prova generale, quello che avverrà nel luglio del 2002 quando l'Euro sostituirà completamente le vecchie monete nazionali.
La nascita di una nuova moneta rappresenta sempre un fatto di enorme portata, ma se il fenomeno interessa un'area economicamente sviluppata e così vasta come quella europea le modificazione che si determinano sul piano dei rapporti finanziari, monetari, commerciali ed interimperialistici sono di straordinaria importanza e segnano inevitabilmente un punto di svolta nella storia del moderno capitalismo.
Con la nascita dell'euro si unifica un mercato di quasi 300 milioni di persone, più grande del mercato statunitense che ne conta poco meno di 270 milioni e del Giappone che ne conta "solo" 127 milioni, il più grande del mondo se consideriamo gli scambi commerciali infraregionali che si realizzano all'interno del mercato della vecchia Europa. Per comprendere l'impatto dell'euro sui mercati internazionali basta fare alcune semplici considerazioni. Presi singolarmente i paesi europei, nonostante la loro indiscussa competitività sui mercati mondiali, rappresentano dei nani rispetto al gigante statunitense e al capitalismo nipponico; unendo le proprie forze in un unico grande mercato gli undici paesi dell'euro rappresentano ben il 19% del prodotto interno lordo mondiale, mentre gli Stati Uniti ed il Giappone rappresentano rispettivamente il 20 e l'8% del prodotto interno lordo mondiale. Se consideriamo che agli undici paesi che hanno dato vita all'euro si dovrebbero unire nei prossimi anni altri paesi come la Svezia, la Danimarca, la Grecia e l'Inghilterra il peso del capitalismo europeo nel contesto di quello internazionale è destinato a crescere ulteriormente, superando di gran lunga gli stessi Stati Uniti (l'uso del condizionale è d'obbligo soprattutto per l'Inghilterra vista la sua storica tendenza a legare le proprie sorti a quelle dell'imperialismo statunitense, e di cui i recenti bombardamenti sull'Iraq sono l'ultima lampante testimonianza).
Ma è sul piano monetario e finanziario che l'Euro è destinato a produrre i maggiori effetti accelerando un processo storico di ridimensionamento del capitalismo statunitense. In questi ultimi decenni gli Stati Uniti sfruttando il loro enorme potenziale militare e anche grazie al dominio della propria moneta sui mercati internazionali hanno imperialisticamente scaricato sugli altri paesi il peso di una crisi strutturale che si trascina ormai da quasi trenta anni. Il dollaro, svolgendo la funzione di moneta cardine dell'intero sistema monetario internazionale, ha permesso alla borghesia statunitense di attenuare gli effetti della caduta del saggio medio di profitto estorcendo quote crescenti di plusvalore dalle aree più disparate del pianeta mediante la crescita a ritmo esponenziale della rendita finanziaria. Malgrado il ridimensionamento dell'economia americana nel contesto di quella mondiale, il dollaro è rimasto la moneta maggiormente utilizzata negli scambi internazionali ed è tuttora la moneta più utilizzata nella costituzione delle riserve valutarie delle varie banche centrali.
Secondo uno studio della banca mondiale l'area monetaria del dollaro ha un peso che è del 20% superiore alla potenza dell'economia reale statunitense. In forza di ciò, gli Stati Uniti godono di un indubbio privilegio rispetto agli altri paesi in quanto i dollari in circolazione all'estero sono in pratica un prestito a tasso zero che non dovranno mai restituire. Attualmente il dollaro rappresenta il 60% di queste riserve valutarie e il marco tedesco solo il 14%; ma con l'euro, nel volgere di pochissimo tempo, la composizione delle riserve valutarie delle banche centrali dovrebbe variare considerevolmente a favore della nuova moneta e infatti tutti i più importati paesi hanno già annunciato la ristrutturazione in questo senso delle loro riserve valutarie. La Cina addirittura ha già predisposto affinchè entro pochi anni siano convertite in euro un terzo delle proprie riserve (pari a circa 150 miliardi di dollari).
L'euro è dunque destinato a ridimensionare il dollaro e quindi a togliere alla borghesia statunitense lo strumento più efficace per l'esercizio del proprio dominio imperialistico e per questo è difficilmente ipotizzabile che l'unica superpotenza imperialistica abdichi e lasci all'Europa il ruolo di nuovo gendarme del pianeta. L'euro, contrariamente a quanto ufficialmente si sostiene, apre nuovi scenari nei rapporti tra Stati Uniti ed Europa in cui è facile prevedere l'acuirsi dello scontro economico, commerciale e finanziario quale anticamera di uno scontro ancora più drammatico e radicale.
Anche all'interno del capitalismo europeo, la nascita della nuova moneta è destinata a produrre nuove e profonde contraddizioni. Il processo che ha portato all'unione monetaria ha imposto alla borghesia europea politiche deflattive che si sono tradotte in continui tagli alla spesa pubblica e in un impoverimento generalizzato del proletariato. Il calo della domanda interna che ne è seguito non ha manifestato finora tutte le sue potenzialità recessive soltanto grazie ad un dollaro sopravvalutato che ha facilitato le esportazioni europee verso il mercato statunitense; ma un euro forte riduce la competitività delle merci europee e favorisce quella spirale recessiva già in atto che invece si vorrebbe contrastare.
L'Eldorado che la borghesia annuncia essere il prossimo traguardo che la nuova moneta dovrebbe consentire di raggiungere in realtà non potrà che portare nuovi e pesantissimi attacchi alle condizioni di vita del proletariato internazionale e tuttavia imprimendo ai processi della crisi del capitale una straordinaria accelerazione apre prospettive di grande interesse per la ripresa della lotta di classe.
Battaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #1
Gennaio 1999
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