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Come cavalcare le leggi coercitive del capitalismo sulle spalle di Marx e del proletariato
Nel vano tentativo di arginare una disoccupazione ovunque dilagante, gli economisti hanno svuotato gli armadi della loro farmacopea. Il fallimento dei rimedi è determinato dalla causa stessa del male esploso nella società capitalista: il progresso tecnologico. Non solo la macchina sostituisce progressivamente il lavoratore, ma, robotizzata, fabbrica altre macchine. A questo punto, si potrebbero liberare miliardi di proletari dalla schiavitù del lavoro salariato distribuendo a tutti ciò che le macchine sono in grado di produrre, sotto il controllo di una società di uomini liberi ed eguali il cui tempo di lavoro sarebbe drasticamente ridotto. Ma il modo di produzione capitalista (mercato, valore di scambio, profitto, denaro,) si oppone a una trasformazione che lo eliminerebbe per sempre. E così milioni di esseri umani vengono emarginati nella miseria e nella disperazione; i più fortunati vivono alla giornata, fra rinunce e sacrifici, davanti agli altari del dio capitale.
Ignorare questa realtà, mistificarla, confonderne cause ed effetti, è il compito ben remunerato delle folte schiere di servitori-adulatori della società borghese. Ecco, per esempio, il signor P. Ostellino che sul Corriere della Sera si scioglie in elogi per "la naturale, culturale, capacità di adattamento" dei mercati, degli operatori e dei lavoratori americani. Un capitalismo efficiente, in grado di contenere la disoccupazione nei suoi limiti fisiologici (4,6%), grazie agli "effetti di una economia di mercato votata alla concorrenza, alla flessibilità e alla mobilità dei capitali, dei prodotti e del lavoro": dinamismo, produttività, tecnologia, redditività. E a proposito di un'adeguata cultura, l'Ostellino ci regala una citazione di Marx, che, immancabilmente, gli si ritorce contro. Eccola: "Ad ogni capitalista individuale le leggi immanenti del modo di produzione capitalistico si impongono come leggi coercitive esterne".
Per guadagnarsi lo stipendio, il nostro si arrampica sugli specchi spiegandoci di quali leggi si tratta: "1) Basta sempre meno lavoro per produrre sempre più merci; 2) Se il profitto aumenta, non necessariamente aumenta il costo del lavoro, cioè il salario; anzi, l'introduzione di nuove tecnologie riduce l'occupazione e quindi il costo del lavoro. 3) L'aumento della produttività è oggi una contraddizione dello sviluppo (la ricchezza che genera povertà) ".
Il lettore, smarrito, si chiederà: ma dove vuol parare l'erudito Ostellino, che a quanto pare sembra dar ragione al vecchio Marx? Eccovi la sua risposta: è vero il marxiano principio, poiché "non è possibile ottenere insieme elevata occupazione (all'americana) e condizioni di lavoro europee". Quindi, solito ritornello, bisogna eliminare i privilegi di cui godrebbero i lavoratori europei, facendo loro scoprire i vantaggi della flessibilità e della precarietà, sia del lavoro che del salario.
Le "nuove condizioni di riferimento" sarebbero state "chiaramente definite e organizzate negli USA in opportunità di lavoro". Valga il detto: o mangia questa minestra o salta la finestra.
Stessa opinione di T. Padoa Schioppa, anche lui sul Corriere: "L'incontro tra il lavoratore e l'impresa deve essere più libero e conveniente" (per il capitale). Infatti, non esisterebbero più né il feroce padrone delle ferriere né il succube proletario, ma due liberi cittadini che si incontrano nella ricerca di reciproche convenienze. Basta, dunque, con le "iniquità, sia pure in panni innocenti, della garanzia del posto di lavoro e della paga minima, ferie lunghe, mansioni ben definite, pensione precoce, bagni separati per uomini e donne, e via dicendo". A mollo nel water, il nostro censore scopre la causa della esclusione di milioni di proletari (pardon, cittadini) dal "recinto del lavoro": l'uso pervertito di quelle iniziali tutele (servizi igienici compresi).
Tiriamo lo sciacquone e cambiamo aria, irrespirabile dopo tanta ipocrisia politica e provocatoria stupidità.
Tra le pagine di un libro di B. Cartosio: _L'autunno degli Stati Unit_i (ShaKe edizioni, 1998) troviamo un'altra conferma delle reali condizioni di lavoro e di vita in cui versano i proletari negli Usa.
Cominciando dalla verità sulle statistiche ufficiali dei disoccupati, elaborate con rilevamenti non a tappeto ma per sondaggio-campione: figurano disoccupati solo coloro che non hanno alcun lavoro da un anno, e basta un'ora alla settimana per essere cancellati dalle liste. Non risultano disoccupati i 6/7 milioni di lavoratori a tempo parziale costretti a vivere in condizioni di povertà; i cosiddetti discouraged (5/6 milioni), che espulsi dal mercato del lavoro non cercano neppure più una occupazione; i giovani che in quel mercato non sono mai entrati. Gli homeless, i senzatetto, non potendo fornire l'indirizzo della propria residenza, non potranno mai essere registrati come disoccupati.
Questi sono alcuni effetti delle coercitive leggi imposte dal modo di produzione capitalistico, ovunque esso domini. L'esperienza americana (prima potenza imperialistica) non è certamente meno forcaiola delle altre; quanto basta perché i professionisti della intellighenzia borghese vi si riferiscano con interesse. E con i loro ipocriti compiacimenti per "l'adattabilità dei lavoratori alle nuove condizioni e opportunità di lavoro" (Ostellino).
Saranno proprio queste ultime, cari signori, a preparare un terreno favorevole alla ripresa della lotta di classe, più che a uno stabile addomesticamento del proletariato, auspicato dagli imbonitori della libera e democratica informazione.
cdBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #1
Gennaio 1999
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