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Un altro esemplare di opportunismo socialdemocratico
È cosa arcinota che il crollo dell’impero sovietico, oltre agli spietati sconvolgimenti nella vita di milioni di persone di quei paesi, ha prodotto un cumulo enorme di rottami in quell’area politica che, con un termine alquanto ambiguo, viene definita “la sinistra”.
Anche nella “sinistra” ossia l’insieme di socialdemocrazia e stalinismo c’è stato un discreto movimento trasformistico, con rotture, aggregazioni e nuove rotture.
La Confederazione dei Comunisti/e Autorganizzati rientra perfettamente in questa casistica. Nata da una scissione di Rifondazione, ha la pretesa di porsi come punto di riferimento antagonista al capitale, ma basta scorrere i suoi documenti programmatici per rendersi facilmente conto che non è né nuova né comunista, semmai un’altra minestra riscaldata in cui galleggiano i residui gruppuscolari degli anni ‘60/’70: il maoismo sotto (neanche tanto) mentite spoglie, l’ “estremismo” extraparlamentare che fu e una spolverata di operaismo. Per farla breve, un’ennesima organizzazione socialdemocratica che usa malamente un linguaggio paramarxista.
Siccome sarebbe troppo lungo fare una critica dettagliata, poiché, come si suol dire, lo spazio è tiranno, ci limiteremo ad alcuni assaggi.
La prima cosa che salta agli occhi è che quei signori (e signore: rispettiamo il genere, perdio!) non hanno capito assolutamente nulla di Rifondazione, lì dove parlano di “deriva riformista” del partito di Bertinotti e C., perché sono fatti della stessa pasta: la natura di Rifondazione è profondamente riformista ossia controrivoluzionaria, sia quando appoggiava Prodi che ora, quando mette in campo un’opposizione “costruttiva” a D’Alema. Dovrebbe essere scontato, per chi si dice comunista, che non si può in nessun modo appoggiare un governo borghese, pena il salto dall’altro lato della barricata. È vero, però, che decenni di stalinismo hanno profondamente sfigurato il marxismo fino a renderlo irriconoscibile, tanto che quello che un tempo era (e per noi è) assolutamente scontato, oggi ai più appare come il solito dogmatismo di quattro gatti internazionalisti. La CCA è dunque perfettamente inserita nel solco dello stalinismo, anche se cerca di conciliare le sue diverse componenti.
Così non ha paura del ridicolo quando afferma che i comunisti “imposero la propria bandiera sul parlamento nazista”, dimenticando (?) che la bandiera dell’esercito russo sul Reichstag era sì rossa, ma del sangue di migliaia di rivoluzionari massacrati da Baffone; esalta la Resistenza come “il più alto momento raggiunto dalla classe operaia italiana nella lotta per il potere” quando invece nessuno dei partiti del CLN poneva la prospettiva anticapitalistica nella guerra partigiana, e se migliaia di operai e contadini versarono generosamente fiumi di sangue credendo erroneamente di lottare sia contro il fascismo che il capitalismo, beh, questo va a incancellabile infamia di stalinismo e socialdemocrazia, che, usando e alimentando strumentalmente l’equivoco, incanalarono il giusto odio antifascista della classe nell’alveo del fronte imperialista alleato.
Siccome però dentro la Confederazione ci sono persone che provengono anche dall’antistalinismo ultra confusionario degli anni ’70, ecco che si cerca - strizzando l’occhio all’Autonomia - di dare il classico colpo al cerchio e uno alla botte. Lo stalinismo sarà anche stato un elemento degenerativo del comunismo, ma il krusciovismo è senz’altro revisionismo (di cosa, e perché?) e, in ogni caso, rispetto alle “esperienze comuniste” del passato (ripetiamo imploranti: quali sarebbero?) non ci devono essere né “continuismi” né “scomuniche”.
Insomma, nella nebbia di frasi ambigue e generiche, emerge con chiarezza il classico opportunismo staliniano, dato che di esperienze comuniste c’è stato solo l’Ottobre bolscevico.
L’uso deformato del marxismo non è meno evidente nella concezione dello stato. Infatti, la CCA pensa che solamente a causa dell’involuzione autoritaria degli organismi statali non si possa più lottare dentro le istituzioni, bensì solo contro di esse, ma nello stesso tempo presenta proprie liste alle elezioni comunali con l’aria di chi crede veramente alla possibilità di svolgere lavoro comunista dentro l’istituzione comunale. D’altra parte, è vero però che la contraddizione è tutto sommato apparente, perché i comunisti confederati, evidentemente convinti che gli insegnamenti di Lenin in “Stato e rivoluzione” siano sorpassati, chiedono che le istituzioni dello stato (nato dalla Resistenza, ci mancherebbe!) siano organismi neutri di cui il proletariato può tranquillamente servirsi, magari dopo la loro conquista elettorale, mentre solo “gli esecutivi assumono il carattere del nemico di classe”. Di fronte a tanta pochezza teorica ci permettiamo di consigliare ai Confederati-e di dare almeno una veloce ripassata a quei testi che forse non hanno mai nemmeno letto oppure di dire apertamente che le linee guida del materialismo storico bisogna buttarle a mare come cose inutili.
Prima di chiudere con questo strazio, non si può non accennare alla questione che accomuna la CCA con tutto il mondo del riformismo radicale o socialdemocrazia di lotta che dir si voglia.
Stiamo ovviamente parlando della questione sindacale. Anche i confederati, come tutto il mondo della fasulla autorganizzazione, dichiarano morti i sindacati della Triplice, non in base alle trasformazioni avvenute nel capitalismo dall’inizio del secolo a oggi, ma in seguito alle “derive” neocorporative della seconda repubblica.
È vero che parlano anche di fine “del compromesso sociale” [della prima repubblica - ndr] e di fine del riformismo a causa della crisi che attanaglia il capitale, ma è evidente che non sanno di cosa stanno parlando. La fine di ogni compromesso, la chiusura degli spazi di riformismo implicano necessariamente anche la rottamazione degli strumenti della mediazione ossia i sindacati e l’impossibilità di puntare a obiettivi, quali il salario garantito ai disoccupati, attraverso normali vertenze (è la parola usata) sindacali. Invece, la rinascita del sindacato di classe è la bacchetta magica con cui aprono la strada ai deliri riformisti. Non ci stancheremo mai di ripetere che il salario o il reddito garantiti a tutti non sono obiettivi che si possono imporre con una prassi sindacalistica, perché rompendo i limiti strettissimi delle compatibilità del capitale porrebbero immediatamente la questione del potere. Insomma, qualora la classe avesse concretamente la forza di mettere all’ordine del giorno il reddito garantito, vorrebbe dire che è giunto il momento di dare l’assalto rivoluzionario al cielo del capitalismo per spazzarlo via e non per viverci un po’ meglio dentro. Se dovesse verificarsi l’ultima ipotesi, tutta “l’autorganizzazione” svolgerebbe fino in fondo il suo ruolo controrivoluzionario.
È esattamente ciò che fece la socialdemocrazia tutta durante il biennio rosso 1919-20. Allora, il proletariato agricolo e industriale, anche armato e sulla spinta della rivoluzione russa, scatenò lotte durissime e generalizzate che, partendo da rivendicazioni di “categoria” (per es., l’imponibile di manodopera nelle campagne, una specie di salario garantito del tempo) lo portarono alle soglie del potere; ma, è noto, la presunta autorganizzazione di allora incanalò questo immenso potenziale rivoluzionario nella normale contrattazione sindacale, accontentandosi dunque solo di ottimi contratti di lavoro che di lì a pochissimo vennero travolti dal fascismo assieme a tutto il movimento operaio. Ma il riformismo, si sa, è uno “zuccone” che non impara mai niente dall’esperienza di oltre cent’anni di lotta di classe, perché ogni volta si illude di aver trovato ricette geniali quando in realtà non sono altro che la riedizione di inevitabili fallimenti del passato.
La tassazione dei capitali finanziari è uno di questi deliri, perché se solo un governo parlamentare “di sinistra” si azzardasse a proporre una misura del genere, con la velocità della luce il capitale internazionale ridurrebbe in mutande e peggio il disgraziato proletariato di quel paese (gli esempi storici non mancano). A meno di non credere che oggi il capitale finanziario viaggi ancora con la diligenza e non nei circuiti telematici mondiali. Certo, anche durante la rivoluzione la borghesia internazionale userà ogni mezzo per ostacolare il processo di trasformazione, ma in questo caso la partita sarà tutta da giocare e non già persa in partenza.
PS Adesso che Rifondazione è all’opposizione cosa farà la CCA?
cbBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #11
Novembre 1998
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