I Leoncavallini scendono sul mercato politico alla ricerca del reddito di cittadinanza

Da cattivi a buoni cittadini

La rivendicazione demagogica di garanzie sociali (sussidi o redditi di cittadinanza) ‚ diventata non solo uno slogan per la sinistra borghese in generale e per quella antagonista in particolare, ma addirittura l’obbiettivo fondamentale per gran parte dei movimenti legati ai centri sociali e ai resti ideologici dell’autonomia. In testa gli ex-irriducibili del Leoncavallo milanese, che ora reclamano “un reddito di cittadinanza garantito a tutti senza scaricare il suo finanziamento sull’intera collettività”.

Facendo proprio l’astratto concetto della cittadinanza e dei suoi mitici diritti, scompare la trascurabile realtà di una collettività la quale altro non è che la società borghese retta sullo sfruttamento capitalistico della classe operaia, il proletariato, da parte della borghesia.

Ecco allora l’inevitabile domanda: chi dovrebbero essere i finanziatori di questa bella idea?

I leoncavallini indicano senza esitare gli speculatori finanziari della Borsa, “simbolo del capitalismo”, ricorrendo alla ipotesi di una ridistribuzione dei loro profitti.

Ovvero, più profitti entrano ed escono dalla Borsa, e più redditi garantiti per i cittadini-proletari si potrebbero distribuire (crisi economico- finanziaria permettendolo).

Si rinverdiscono così le distinzioni care agli Stalin e ai Togliatti tra capitale produttivo, da sostenere, e capitale speculativo, da ostacolare.

In piena sintonia con le rivendicazioni del compagno Bertinotti, che spaccia per “una cosa extramercantile” i lavori di pubblica utilità e il relativo salario minimo. (Intervista al Corriere, 17/9).

Del tutto mercantile diventa certamente ogni tentativo di mediazione e di compromesso nel vortice delle contraddizioni capitalistiche; di applicazione, cioè, del dominante valore di scambio agli stessi rapporti politici e sociali tra sfruttati e sfruttatori, oppressi ed oppressori.

Si finisce - e i dirigenti del Leoncavallo lo dimostrano - con l’officiare sugli altari della democrazia pluralistica, della giustizia, dei diritti, della dignità umana, eccetera. Con abbondanti iniezioni di populismo, i cattivi di turno si preparano al combattimento, aspirando al ruolo di “costruttori di un grande movimento di massa che tessa i fili di un moderno blocco sociale su cui fondare una nuova concezione di legittimità e di sovranità popolare”... (Da comunicati e conferenze stampa del Leoncavallo che si propone di fronte alle istituzioni come alternativa, offrendo le proprie diversità come una ricchezza. Nella società borghese, è risaputo, tutto si può trasformare in merce.) A fronte di un inesistente programma comunista di rivoluzionamento della società borghese, la semplice rivendicazione di garanzie sociali - come rimedio alle precarie o disperate condizioni di vita di vasti strati del proletariato - finisce con l’alimentare ipotesi riformistiche (irrealizzabili) in campo economico e populistiche in campo sociale.

Dietro l’illusoria pretesa di una ridistribuzione delle ricchezze non c’è altro che l’inganno della conservazione del presente stato di cose. Questo non significa sottovalutare il grado di iniziativa e di mobilitazione espresso da operai, disoccupati e giovani; n‚ trascurare il livello dello scontro sociale nei termini soprattutto di unità, solidarietà e forza che i proletari possono esprimere.

Ma è evidente che il capitale, nel momento stesso in cui dalla sua inarrestabile crisi è costretto a una costante riduzione della massa generale dei salari, non si può piegare - se non eventualmente con la forza organizzata - ad una distribuzione supplementare di sussidi, vale a dire a un aumento della massa del capitale variabile.

Ed è pure evidente che in quel caso ipotetico, cioè in presenza da un lato di redditi di disoccupazione e dall’altro lato di lavori con salari al minimo, sorgerebbero fra proletari disoccupati e proletari occupati nuove incomprensioni e contrapposizioni opportunamente manovrate dalla ideologia borghese.

Tutto ciò non contribuirebbe affatto ad una crescita della comprensione critica degli esistenti rapporti economici e sociali, n‚ alla indispensabile ricomposizione della coscienza di classe. Per questo occorre smascherare, sempre e in ogni occasione, il concreto antagonismo che in quei rapporti si nasconde, o meglio, che oggi si va in essi manifestando apertamente.

Quanto alla rivendicazione del “diritto al lavoro” (salariato) e prospettata come realizzabile nella società borghese al pari della piena occupazione, essa non può che restare ingabbiata nei limiti dei bilanci delle aziende o dello Stato, secondo le logiche delle leggi economiche del capitale. Nel frattempo i proletari dovrebbero movimentarsi continuando a chiedere a gran voce di essere sottoposti allo sfruttamento capitalistico, senza minimamente uscire dalla prospettiva borghese di uno sviluppo sempre più allargato del modo di produzione capitalistico (nuovi posti di lavoro, nuove aziende, nuove produzioni). Oppure, e qui entrano in scena i più cattivi, si esalta il diritto al rifiuto del lavoro, retribuito anch’esso con un sussidio proveniente dal plusvalore prodotto dagli altri proletari rinchiusi in fabbrica! Magari con l’elogio dell’individuo ozioso ma libero, contrapposto al produttore schiavo del capitale, eccetera, che tanto ci fa rimpiangere il materialistico e rivoluzionario dettato del buon Lenin: “Chi non lavora non mangia”.

Vale a dire, per il socialismo, tutti attivi produttori in funzione dei bisogni umani e sociali e non di quel profitto che si alimenta, o per lo meno non viene minimamente disturbato, da alcun rifiuto al lavoro o pacifico ozio ai margini della società dei consumi. Profitto e sfruttamento della forza-lavoro che si perpetuano, purtroppo, attraverso quelle illusorie proposte di garanzie sociali con le quali si confondono e sottomettono i proletari; con le quali si sconfigge sul nascere ogni loro tentativo di lotta per liberarsi dalle catene del capitale e dalla barbarie della società borghese.

dc

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.