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Home ›Incidenti sul lavoro: la quotidiana guerra del capitale alla classe operaia
Il rapporto capitale - forza lavoro è, come si sa, intrinsecamente violento sotto molteplici aspetti; l'estorsione del plusvalore, cioè della ricchezza che l'operaio produce e che sta alla base della società capitalistica, è la prima e fondamentale espressione di questa violenza, mascherata dietro I apparente neutralità delle leggi del mercato. Da qui hanno origine tutte le altre manifestazioni criminali del capitalismo, che la classe dominante cerca, a seconda dei casi, di nascondere e/o di attenuare, con l'aiuto dei suoi fedeli valletti sindacal-riformisti. Ma decenni di riformismo non hanno affatto eliminato le forme più evidenti di questa aggressione perenne, tutt'altro; la mondializzazione del capitale, con i profondi sconvolgimenti che ha portato con sé, ha semmai esteso in ogni angolo del pianeta e tra masse sempre più vaste di uomini condizioni di lavoro a dir poco aberranti, dai costi umani altissimi. La precarizzazione e la flessibilità crescenti, lo smantellamento di quei miglioramenti ottenuti dopo dure lotte e a prezzo di pesanti sacrifici, non fanno altro che aumentare quei costi per la classe operaia. Gli infortuni, le malattie professionali, gli incidenti mortali non sono per niente scomparsi con i robot e l'espansione del terziario, anzi, al contrario! Le cifre del fenomeno sono davvero impressionanti, da bollettino di guerra. Secondo calcoli ufficiali, i morti sul lavoro in Italia, mediamente, sono quattro al giorno e 220.000 (!) all'anno in tutto il mondo (il Manifesto 30/ 4/98). Naturalmente queste cifre sono arrotondate per difetto, non solo per i cosiddetti paesi in via di sviluppo, ma anche per l'Italia, quinto o settimo (a voi la scelta) paese più industrializzato del pianeta. L'INAIL accerta sugli 800 - 850.000 infortuni, ma secondo alcune associazioni che si occupano di questi problemi, al tragico appello manca un 30% dei casi, perché i "calcoli sono fatti sui rimborsi agli eredi dei morti per lavoro e chi non aveva figli resta fuori dalle statistiche" (il Manifesto, cit.).
Così, mentre i governi varano leggi (mai seriamente applicate) e istituiscono commissioni (a cui nessuno bada), l'altissima pericolosità del lavoro sotto il dominio del capitale non accenna a diminuire. Non c'è settore lavorativo che esca indenne da questo fenomeno, se mai mancano i riscontri ufficiali; per es., ciò che avviene nel comparto della pubblica amministrazione è totalmente al di fuori delle competenze dell'INAIL, per cui, sostanzialmente, manca un quadro, seppur parziale, degli infortuni nel "pubblico".
Quali le cause di questa epidemia planetaria? Quelle, anzi, quella di sempre: la ricerca sfrenata di plusvalore, che mette tranquilla¬mente sotto i piedi ogni consi¬derazione umanitaria. Ma l'esplo¬sione di quelle formule contrattuali fondate sulla precarizzazione spinta della forza lavoro, la deregolamentazione, l' "esternaliz¬zazione" di una o più fasi lavorative, con il conseguente incremento di appalto e subappalto, hanno abbassato di molto la soglia di pericolosità della vita in fabbrica e, in genere, in azienda. Non è un caso che la tragica catena di morti nelle acciaierie di Taranto o di Terni, per es., sia formata da operai per la maggior parte impiegati da ditte appaltatrici, sulle quali il grande capitale cerca di scaricare i problemi più "rognosi", come quello della sicurezza. Non è un caso se persino un'insospettabile commissione parlamentare (il Comitato Smuraglia) ha individuato nell'aumento dei ritmi e nella nuova organizzazione del lavoro, l'origine della crescita degli infortuni e delle malattie professionali. Infortuni e malattie non sempre immediatamente individuati per tali, in quanto è noto che si possono manifestare fuori dalla fabbrica e anche molto tempo dopo: a Melfi sono aumentati gli incidenti stradali, perché i pendolari, uscendo sfiniti dalla fabbrica - modello della FIAT, mancano di lucidità e reattività. Come sempre, i primi a farne le spese sono i soggetti più deboli, cioè i bambini e gli adolescenti. Della bestialità dello sfruttamento del lavoro minorile ci siamo più volte occupati, qui vogliamo solamente ricordare che in un anno - in Italia, nota bene - sono stati denunciati 1600 infortuni di ragazzini sotto i 14 anni; se teniamo conto che nel nostro "bel paese" il lavoro nero interessa circa cinque milioni di lavoratori ossia il 30% della forza lavoro, si può facilmente intuire che quella cifra è sicuramente sottostimata. Il fatto, poi, che gli infortuni "costino" allo stato svariati miliardi (c'è chi parla addirittura di 55 mila miliardi) - come denunciano riformisti di vario tipo - è per la borghesia un problema relativo. È tipico del riformismo, invece, credere che sia possibile migliorare questo o quell'aspetto della società capitalistica in nome di una presunta razionalità al di sopra delle parti, per cui del risparmio di quei miliardi si potrebbe avvantaggiare tutta la società. Ma il problema - e ritorniamo al discorso iniziale - è che il capitale, dovendo scegliere tra il proprio interesse "personale" e quello della collettivita, non ha esitazioni: sceglie sempre la prima opzione; se poi l'anarchia del suo mondo individualistico ed egoistico crea grosse difficoltà a tutti gli altri, che cosa gliene può importare? Se non ci sono soldi per gli ammalati e per gli invalidi da lavoro, basta tagliare sulla sanità, basta mitragliare di imposte e trattenute i lavoratori dipendenti, perché le tasse, "lor signori", mica le hanno mai pagate...
Battaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #6
Giugno 1998
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