Piazza Affari spia di un malessere mondiale

Il 27 aprile ‘98 passerà alla storia come il più nero dei pur numerosi giorni neri che costellano la storia della borsa di Milano. In una sola seduta l’indice Mibtel, dopo aver sfiorato una perdita dell’8,53 per cento, ha fatto registrare un calo del 6,42 per cento. Una caduta superiore anche a quella che si era verificata lo scorso ottobre in concomitanza della crisi asiatica.

Benché prevista e annunciata, e per i commentatori più maligni in parte anche voluta (per esempio, dal governo, perché spaventato dalla poderoso trasferimento di risparmio dal debito pubblico verso i fondi di gestione, e dai grandi investitori internazionali per portare a casa i guadagni accumulati nei mesi precedenti a discapito degli ultimi arrivati), il crollo, almeno per le sue dimensioni ha colto un po’ tutti di sorpresa. Ciampi, che pure nei giorni precedenti di fronte all’eccesso di rialzo aveva invitato alla calma, lo ha giudicato il frutto di “una concitazione irragionevole” e ha invitato gli operatori “a guardare ai fondamentali del sistema economico, con le imprese che hanno di fronte a loro un periodo di costi contenuti e sono all'indomani di un periodo di riequilibrio dei loro conti”. Lo stesso presidente della Confindustria Giorgio Fossa non ha saputo nascondere il suo stupore: “Quello che non torna di fronte a cadute tanto importanti - ha detto all’indomani del crollo - è che i fondamentali del sistema imprenditoriale sono buoni e i fondamentali del paese sono migliorati notevolmente”. Insomma: mistero. E mistero ancora più profondo se si tiene conto che tanto Ciampi quanto Fossa sono convinti assertori che il mercato ha sempre ragione. Ci fosse stato uno sfondamento della spesa pensionistica o di quella sanitaria avrebbero pensato, e detto, che bisognava tagliare in fretta e furia e a più non posso. Ma solo qualche giorno prima il ministro della Sanità aveva annunciato l’introduzione del cosiddetto Sanitometro con cui, di fatto, a partire dal gennaio prossimo, l’intera spesa farmaceutica e quella per la diagnostica sarà a carico degli ammalati e l’Istat aveva fornito i dati che confermavano la tendenza alla riduzione della spesa pubblica in misura maggiore di quella ipotizzata dallo stesso ministro del Tesoro.

In questi casi, si sa, i ministri, gli economisti e gli imprenditori si comportano un po’ come i medici di fronte a talune malattie: quando non sono in grado di spiegarle o di diagnosticarle le classificano come disturbi “psicosomatici”; invece i crolli di borsa, quando non possono essere addebitati ai privilegi dei lavoratori, vengono messi in conto all’instabilità del sistema nervoso degli operatori quando non addirittura dei computer che essi utilizzano. Ma in realtà sia Ciampi che Fossa hanno fatto i finti tonti per non dover spiegare come mai dopo tanti sacrifici chiesti e ottenuti, della stabilità dei mercati, assunto come la panacea di tutti i mali, non si vede neppure l’ombra. Il fatto è che il mistero, se di mistero si vuole parlare, non è nel vistoso crollo di Piazza Affari quanto nel fatto che le più importanti borse del mondo, compresa Piazza Affari, nonostante esistano i presupposti perché una crisi finanziaria di dimensioni gigantesche le travolga tutte, tengano ancora.

Un tempo, era la cosiddetta economia reale a influenzare l’andamento dei mercati finanziari e delle borse; ma oggi non è più così: sono mercati finanziari e le borse che impongono all’economia reale i loro interessi primari e ciò non per qualche arcano della psiche, ma, come già in altre circostanze abbiamo rilevato, in conseguenza dei processi di ristrutturazione capitalistica che hanno portato alla ipertrofia del processo di creazione del capitale fittizio e alla conseguente dilatazione della sfera finanziaria. Un gran parte dei capitali che circola nelle borse e sui mercati valutari mondiali è in realtà capitale fittizio cioè capitale alla cui produzione non corrisponde un’effettiva produzione di merci e di plusvalore, ma che si costituisce come anticipazione di una improbabile produzione futura di ricchezza. Per questa sua natura essenzialmente simbolica, il capitale fittizio tende a conservarsi come capitale liquido sotto forma di azioni, obbligazioni, titoli in valuta, opzioni sia azionarie che sulle valute e di tutti quei prodotti che vanno sotto il nome di derivati finanziari e a muoversi con estrema facilità. E poiché la liberalizzazione del mercato finanziario, in risposta alla caduta del saggio medio del profitto con cui il processo di accumulazione capitalistica da quasi trenta anni è chiamato quotidianamente a fare i conti, ha favorito a dismisura la sua crescita, esso ha raggiunto dimensioni che superano di decine e decine di volte la produzione di merci e continua tuttora a ritmi folli alimentando la tendenza alla crescita di questa divaricazione. I possessori di capitale finanziario più consapevoli conoscendo perfettamente lo stato delle cose, sanno che ogni momento può essere quello buono perché questo capitale si mostri in tutta la sua nullità e si trasformi in ciò che realmente è: un cumulo di carta variamente effigiato. Ne sono consapevoli e lo spostano continuamente da un angolo all’altro del mercato finanzio, divenuto ormai globale, nel tentativo di sfuggire al destino che - oseremmo dire - è marcato nei suoi geni generando crisi sempre più frequenti e di maggiore intensità. E questi movimenti solo in minima parte sono orientati dalla bussola dei cosiddetti fondamentali dell’economia di riferimento dei singoli mercati; ma per lo più a guidarli sono le opportunità speculative che la stessa produzione di capitale fittizio di volta in volta mette in essere. È un fenomeno frutto e, allo stesso tempo, spia delle gigantesche contraddizioni in cui versa l’economia mondiale rispetto alle quali il punto in più o in meno di crescita del Pil italiano è del tutto irrilevante; infatti, come mostrano i dati relativi all’andamento di tutte le più importanti borse del mondo, questo crollo di primavera ha avuto una dimensione internazionale. Lo stesso giorno del crollo della borsa di Milano, Amsterdam ha perduto il 5%; Francoforte il 2,6; Londra il 2,7 e Parigi il 2,6; Madrid e Bruxelles il 3,2; Copenaghen il 3,1 e Wall Street il 2,21%. L’economia capitalistica mondiale ha cercato nella crescita della sfera finanziaria una via di uscita alla sua trentennale crisi, ma ha creato un mostro che la costringe normalmente a stare appesa a un filo e a tremare a ogni stormir di fronda; figuriamoci quando al suo già tempestoso orizzonte si annuncia, come in questi giorni con la nascita dell’Euro, un nuovo gigantesco ciclone. La costituzione di una grande area economica caratterizzata da un regime di cambi fissi, t è destinato a mutare ogni cosa: i tassi di interesse e il loro processo di formazione, i rapporti di cambio e i rapporti con cui le valute più forti saranno assunte nella costituzione delle riserve mondiali degli stati e negli scambi internazionali come mezzo di pagamento e, infine, i rapporti fra le diverse aree economiche e in special modo quelli fra gli Usa e l’Europa e di entrambi con Russia e Cina. Sono tutti i parametri su cui si regge l’attuale processo di accumulazione capitalistica a predominanza finanziaria che rischiano di uscire frantumati o quanto meno profondamente modificati. Il minimo, data la loro importanza e l’imprevedibilità degli esiti, è mettere in conto una fase di grande instabilità costellata da crolli improvvisi e da improvvise fiammate rialziste senza escludere la possibilità che questo nuovo passaggio possa concludersi in un grande disastro. Di sicuro c’è solo che i suoi costi saranno elevatissimi per cui sono da mettere in conto altri e più pesanti attacchi alle condizioni di vita del proletariato mondiale che in ultima istanza è colui che paga sempre.

Giorgio

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.