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La revisione dello statuto dei lavoratori
Una delle tante commissioni del governo Prodi, in silenzio, sta elaborando un disegno di legge di modifica dello statuto dei lavoratori. I due grandi temi in esame sono la codifica delle diverse tipologie di rapporto di lavoro e la disciplina dei licenziamenti individuali. La logica, scontata, è quella di fissare con delle norme vincolanti solo per i soggetti deboli le nuove forme di sfruttamento sperimentate e poi applicate su scala allargata dal capitale in questi anni.
L’articolo 1 della bozza delinea infatti il campo di applicazione della legge e definisce come lavoratore tutti coloro che prestano la propria opera a favore di terzi con qualunque contratto di lavoro indipendentemente dalla durata e dall’ambito aziendale o extraaziendale. Questa definizione comprende ad esempio anche i soci lavoratori di cooperative o di società anche di fatto, chi svolge una attività lavorativa senza corrispettivo salariale, chi è utilizzato in lavori di pubblica utilità o nel volontariato, in formazione professionale, in gare d’appalto, ecc. Per la prima volta dunque viene inquadrato e regolarizzato il lavoro precario in tutte le sue forme e contenuti e promosso ora al rango di lavoro legale a tutti gli effetti.
L’ articolo 15 tratta invece delle norme sui licenziamenti individuali e stabilisce che sono licenziabili senza giusta causa tutti i lavoratori, basta che ci sia un risarcimento di denaro che naturalmente sarà di entità modesta e labile. L’articolo elenca meticolosamente i soggetti interessati: tutti i lavoratori alla prima esperienza, tutti i nuovi assunti entro il ’99 in tutte le province dove il tasso di disoccupazione è superiore del 3% alla media nazionale, i lavoratori che hanno una anzianità di servizio presso lo stesso datore di lavoro, inferiore a due anni.
Si completa così il disegno di riforma radicale del mercato del lavoro che i padroni stanno elaborando pezzo per pezzo dal luglio 1993 data del primo grande accordo quadro sul costo del lavoro.
Ma nella realtà le cose stanno molto peggio e queste nuove norme non fanno altro che adeguarsi ad una situazione di sfruttamento reale molto più ampia e radicata. In una tavola rotonda riportata sul Manifesto del 28 aprile scorso lo stesso sottosegretario al lavoro ed ex sindacalista Antonio Pizzinato commentando i dati di una inchiesta governativa sul lavoro ha dovuto constatare che la situazione odierna per quanto riguarda il lavoro nero e precario è peggiore che negli anni cinquanta.
Negli ultimi anni la quota di lavoro nero rispetto al totale del lavoro effettuato in Italia è passata dal 21 al 22,3%, con un’incidenza sul Pil del 25%. Si tratta di una dimensione che non ha precedenti in quest’ultimo mezzo secolo ed inserita in una realtà più complessa e articolata che nel passato perché interessa tutto il sistema produttivo dalla grande industria ai servizi all’artigianato
Nell’industria i rapidissimi processi di terziarizzazione ed integrazione hanno permesso alla grande fabbrica di dilatare la quantità di trattamenti e contratti utilizzati. Nelle gare di appalto le offerte vengono fatte a prezzi sempre più bassi e a pagare sono i dipendenti delle imprese o delle cooperative che devono fare lo stesso lavoro in metà tempo e a salari decurtati. Nella piccola e media impresa dilaga il lavoro nero ve vengono applicati regimi di orario sempre più disagiati e ritmi di lavoro sempre più alti. I vari contratti cosiddetti atipici (a tempo determinato, part time ecc.), il lavoro in affitto sono usati per ricattare i lavoratori stabili e costringerli ad accettare condizioni di lavoro peggiori e salari sempre più bassi.
Pizzinato però, con la consueta ipocrisia conclude sostenendo che in Italia esiste un vasto sistema di garanzie che rimane però inapplicato a causa della debolezza dell’azione sindacale e dell’impegno dei lavoratori e ribadisce la necessità di accordi stabili sulla flessibilità per combattere il lavoro nero e favorire l’occupazione facendo finta di dimenticare che proprio le leggi e gli accordi sul lavoro interinale, i patti territoriali e i contratti d’area elaborati ed imposti con la complicità del sindacato hanno permesso ai padroni di sfruttare, tagliare i salari, licenziare liberamente.
Oggi il capitale, sempre più forte, si muove incontrastato su più livelli, nella pratica quotidiana sperimenta nuove forme di sfruttamento, dai regimi di orario all’intensità di lavoro alla razionalizzazione organizzativa, che poi verranno applicate su larga scala e tramutate in leggi e contratti, sul piano ideologico, con l’aiuto e la complicità dei grandi mezzi di comunicazione, dei partiti politici borghesi e dello stesso sindacato, impone all’intera società la propria filosofia del profitto, della competitività della produttività.
E l’unico soggetto in grado di spezzare questo dominio è solo la classe operaia.
lpBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #5
Maggio 1998
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