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Home ›Disoccupazione ossia l’esercito industriale di riserva
La sovrappopolazione relativa è quindi lo sfondo sul quale si muove la legge della domanda e dell’offerta del lavoro. Essa costringe il campo d’azione di questa legge entro i limiti assolutamente convenienti alla brama di sfruttamento e alla smania di dominio del capitale.
Marx, Il capitale, Libro I
Già agli albori del capitalismo alcuni uomini di pensiero con vedute non ristrette e sensibili alle vicende sociali, avevano posto l’accento su un fatto nuovo che si andava nel corso del tempo palesando come una mostruosità incomprensibile. Andava sostituendosi all’economia contadina, basata sul ciclo naturale delle stagioni, il cui andamento era segnato dalle annate di buoni o cattivi raccolti, il sistema di fabbrica che creava un crescente ammasso di beni di tutti i generi, dove non erano più determinanti gli eventi climatici ma bensì a scandire l’affermarsi e il successo della nuova epoca era il tempo di lavoro generatore di merci.
Tale rivoluzione trasformava la condizione del contadino, seppure oppresso dal signore proprietario della terra, in una forma moderna e peggiore di schiavitù, in operaio salariato. Ciò che sbalordiva era il fatto che all’enorme ricchezza che si andava accumulando corrispondeva la povertà assoluta di coloro che tale ricchezza produceva, lo sfruttamento senza scrupoli dei padroni persino dei bambini, gli ambienti malsani di lavoro somiglianti a carceri, in sostanza lo stato di abbrutimento disumano della classe operaia che conduceva un’esistenza infernale.
La critica più illuminata a questo stato di cose non andava aldilà della denuncia dell’egoismo dei fabbricanti e della necessità di una più equa ridistribuzione delle risorse, impostazione che aveva una qualche verità, ma che non andava a cogliere il nocciolo della questione. Finalmente Marx, successivamente, quando il capitalismo raggiunse un sufficiente stadio di sviluppo per essere indagato, pose le basi scientifiche per un giudizio definitivo, sia per quanto riguarda il meccanismo oggettivo di funzionamento del sistema sul piano economico, sia per quanto riguarda l’azione politica che il proletariato deve intraprendere per emanciparsi dal giogo del capitale.
Riferendoci al tema dell’occupazione, egli dimostrò come la popolazione lavorativa eccedente è un fatto connaturato alla dinamica capitalistica, il capitale attua una propria funzione di autoconservazione per tenere costantemente al livello più basso il costo della forza lavoro. La disoccupazione quantitativamente oscilla a seconda del ciclo economico e del livello di accumulazione raggiunto in una determinata fase storica. Ma è un dato di fatto che sempre si riproduca una sovrappopolazione relativa anche nella fase espansiva del ciclo, perché col crescere degli investimenti, quindi del capitale totale, il numero degli operai aumenta in modo decrescente rispetto all’aumento del capitale fisso, cioè alle macchine e più ingenerale alle tecnologie introdotte nel processo produttivo. Quando poi il ciclo economico tende ad esaurirsi e va verso la stagnazione o la recessione, l’esercito industriale di riserva addirittura può raggiungere valori assoluti, cioè il numero complessivo dei lavoratori si ridurrà rispetto alla fase precedente.
Dopo oltre un secolo il capitalismo ripropone gli stessi problemi strutturali di crisi-disoccupazione e povertà, con un’intensità e una forza distruttiva moltiplicata per mille. Mentre la ricchezza socialmente prodotta è aumentata enormemente, i tre quarti del mondo vive nell’indigenza, e persino le aree a capitalismo avanzato vedono un costante aumento della miseria e dell’emarginazione.
Le alchimie degli economisti borghesi non hanno potuto niente per rattoppare le devastanti contraddizioni del capitale riproducente la classica polarizzazione di ricchezza e povertà. Costatando che caduta del saggio del profitto e stato sociale male si conciliano a questo punto del ciclo economico, vengono depredate anche le briciole che prima il capitale aveva potuto concedere, mentre salari e condizioni di lavoro fanno un salto all’indietro nel peggiore oscurantismo dello sfruttamento capitalistico. Tutto ciò con la benedizione dell’economista che riscopre le formule magiche del liberismo di due secoli fa quali panacee di tutti i mali.
Il costo della forza lavoro deve essere allineato al suo reale valore, pensa il pescecane borghese, svincolata da tutte le rigidità e libera di oscillare sul mercato che ne determinerà i modi di utilizzo e il prezzo. In pratica un eufemismo per dire che gli operai devono lavorare di più e guadagnare di meno, sino a ricondurre il prezzo della forza lavoro al limite minimo della sussistenza. Non vanno forse in questa direzione tutte le misure attuate in questi anni dai vari governi, dalla Confindustria e dai sindacati? Le quali si sono tradotte in riduzione dei salari e in licenziamenti. Contribuiscono a fare diventare una cosa stabile le politiche dei sacrifici le schiere di disoccupati che pur di percepire anche un minimo reddito si trasformano in fattore di pressione costante sui lavoratori occupati. Una leva ancora più potente in mano al capitale è la cosiddetta globalizzazione che mette in concorrenza i proletari dei paesi più poveri con quelli delle metropoli capitalistiche. Il risultato finale è che il prezzo della forza lavoro tenderà ad assestarsi su valori sempre più bassi.
La cosa comica e drammatica allo stesso tempo è che il capitalismo ha talmente sviluppato le sue contraddizioni da diventare una caricatura storica, l’esempio di imbarbarimento a cui può arrivare la specie umana quando tarda a rompere le catene del passato e a voltare pagina per dare una nuova forma e una nuova dimensione alla propria esistenza.
Il capitalismo pur di sopravvivere recupera i metodi più forcaioli del secolo scorso per spremere il proletariato: dall’aumento di fatto dell’orario di lavoro attraverso la generalizzazione degli straordinari, altro che Bertinotti e la farsa delle 35 ore; alla flessibilità senza limiti che lega il lavoratore alle esigenze della produzione in qualsiasi giorno dell’anno e ai turni di notte; ai contratti d’area, ai patti territoriali e ai lavori socialmente utili a salari da fame per i disoccupati, ai contratti di formazione e ai salari d’ingresso per i giovani, ecc. Questi sono i risultati della sovrapproduzione del capitalismo moderno.
Stesse cause, stessi effetti di sempre, stesse risposte del riformismo: è necessaria una più equa ridistribuzione della ricchezza prodotta. Esso scimmiotta Marx quando gli fa comodo senza accettarne gli insegnamenti rivoluzionari, mette il dito nella piaga denunciando gli effetti dell’organizzazione vigente per acquistare i favori dei lavoratori sul piano elettoralistico ma occulta le cause che rappresenterebbero un atto di condanna senza appello del capitalismo. Marx ha dimostrato scientificamente l’indissolubile nesso che lega in regime capitalista la concentrazione della ricchezza in poche mani da una parte, e la dilatazione della pauperizzazione e dell’esercito dei senza lavoro dall’altra. E indica nel sovvertimento rivoluzionario dei rapporti di produzione la strada per uscire da questa spirale senza prospettive.
In tutta Europa, a intervalli sempre più brevi, scoppiano le rivolte dei disoccupati che prendono coscienza che la loro condizione è strutturale. Anche in Italia, soprattutto nel Mezzogiorno, la situazione è esplosiva e lo dimostrano i recenti scontri con la polizia dei disoccupati di Napoli e Palermo. Le forze del capitale, sindacati in testa, stanno facendo di tutto per dividere il proletariato, lavoratore con lavoratore, l’occupato con il disoccupato, nel superiore interesse dell’azienda Italia. Rompere gli steccati che separano il proletariato è il compito più urgente, c’è bisogno di una sana ventata di lotte di classe che spazzi via un’aria che di giorno in giorno si va facendo sempre più irrespirabile!
cgBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #4
Aprile 1998
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