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Home ›Il caso Di Bella e l’ipocrisia del pensiero dominante
Negli ultimi anni il progresso delle chemioterapie e della radioterapia hanno fatto crescere di molto la percentuale delle guarigioni dei malati di cancro. Nel caso di alcuni tumori e in alcune forme di leucemie si registrano percentuali di guarigione di oltre l’80%; in altri casi, anche se non si ottiene la guarigione, è cresciuta notevolmente la sopravvivenza e la qualità della vita del malato, ma in un numero ancora molto elevato di casi il cancro è una malattia da cui non si guarisce. È naturale quindi che esso sia temuto come un tempo la tubercolosi e la pestilenza e scateni reazioni emotive profonde e profondamente irrazionali.
Ci sono di mezzo le paure ancestrali legate agli aspetti ancora misteriosi della vita e della morte e quando il male con la sua inesorabilità ci fa scoprire tutta la nostra fragilità scatta l’inconscia speranza che qualcuno, poco importa se dio o uomo, possieda la chiave del mistero.
Finora di questa fragilità approfittavano soprattutto preti, maghi, pitonesse e imbroglioni di ogni risma pronti a intrufolarsi nei varchi aperti dalla malattia per trarne profitto a danno soprattutto dei più indifesi sia culturalmente sia economicamente.
Recentemente a questa fauna di mestatori si sono aggiunti i corifei del pensiero economico dominante che hanno approfittato del gran clamore scatenato dalla polemica tra il prof. Di Bella e il Ministero della Sanità, per rivendicare un falso diritto alla libertà di cura che, qualora passasse, facendo tutt’uno con la campagna ormai in corso da anni a favore della completa privatizzazione del settore, condurrebbe al totale smantellamento del Servizio Sanitario Nazionale.
Secondo la combriccola neo-liberista, con la libertà di cura, ogni cosiddetto cittadino, dovrebbe potersi rivolgere al medico e chiedere i farmaci che egli ritiene più efficaci per i suoi mali. Così se uno soffre di calli e ritiene che la miglior cura sia l’uso della vaselina, il medico, dopo averlo avvertito della probabile inefficacia della terapia, deve comunque prescrivergliela.
In pratica, poiché la maggioranza dei malati non dispone delle conoscenze e delle informazioni necessarie a orientare in modo scientifico la sua scelta, sarebbero le stesse case farmaceutiche a orientare verso l’uso di un farmaco anziché di un altro. Chi meglio delle case farmaceutiche infatti ha i mezzi e il potere per imporre il consumo di un determinato farmaco? Esse già oggi, avvalendosi di un vero e proprio esercito di collaboratori scientifici corrompono sistematicamente i medici per indurli a prescrivere farmaci costosi e spesso anche inutili e si è sviluppato un vero e proprio turismo scientifico fatto di viaggi in luoghi ameni ed esotici; per non parlare delle dazioni in denaro di milioni e milioni di lire sotto le più svariate coperture. Figuriamoci cosa succederebbe qualora fosse possibile prescrivere per qualunque patologia un qualunque farmaco! Ma tant’è e la campagna prosegue così come prosegue quella a favore della privatizzazione delle prestazioni che a loro dire consente una migliore assistenza con una minor spesa nonostante una valanga di dati li smentisca clamorosamente.
Per esempio, confrontando i dati italiani con quelli statunitensi si rileva che il sistema nordamericano è di gran lunga più costoso e inefficiente.
È noto ad es. -- scrive il prof. Donzelli, membro del Consiglio Superiore della Sanità e autore del volume Sistemi Sanitari a confronto - Ed. Franco Angeli -- che negli USA, paese capofila dell’applicazione della teoria economica neoclassica del mercato in sanità, la spesa [sanitaria] pubblica è rivolta solo all’assistenza sanitaria : a) dei cittadini maggiori di 65 anni o che necessitano di certe terapie per alcune patologie renali o disabilità (Medicare, 30 milioni di assistiti, programma federale) e b) degli indigenti (Medicaid, altri 30 milioni circa di assistiti, programmi federali e statali). Invece per tutti gli altri (e in misura parziale anche per le suddette categorie assistite) l’assistenza sanitaria viene pagata direttamente (circa 25% della spesa sanitaria totale del paese) o tramite premi assicurativi (circa il 33% della totale). Si potrebbe pertanto supporre che gli statunitensi spendano relativamente poco per l’assistenza sanitaria pubblica. E in effetti la percentuale della spesa [sanitaria pubblica] sulla spesa sanitaria totale è la più bassa fra i paesi Ocse, ammontando al solo 45% circa di quest’ultima... [Ma] I risultati del confronto (con la spesa sanitaria italiana n.d.r) sono stupefacenti. È pur vero che in paesi a sanità privata come gli Usa la percentuale di spesa sanitaria pubblica rispetto alla spesa sanitaria totale è ben inferiore rispetto all’Italia... Ma la spesa sanitaria totale è talmente alta che la spesa pubblica pro-capite vi risulta in valore assoluto superiore del 42-50% a quella italiana.
E nonostante ciò ben il 16% della popolazione ( 41 milioni di persone) è priva di qualunque copertura sanitaria.
D’altra parte anche in Italia laddove i precetti liberisti hanno trovato maggiore applicazione si registra già una netta tendenza alla crescita della spesa sanitaria totale.
L’incendio della camera iperbarica che qualche mese fa ha causato la morte di 11 pazienti in una clinica privata milanese, ha scoperchiato la pentola della sanità lombarda, quella cioè che più si è spinta avanti sulla strada della privatizzazione avendo accreditato a fornire prestazioni quasi tutti gli ospedali e le cliniche private con risultati davvero poco incoraggianti.
Dal 1995 al 1996 pur essendo il numero dei posti letto nelle cliniche private cresciuto solo del 23 per cento, il loro fatturato ha fatto registrare, nel 1996, un incremento pari al 42,8% rispetto al 1994 (931 contro 652 miliardi). Ma il dato davvero impressionante è l’incredibile aumento dei ricoveri ospedalieri che sono passati da 1.524.941 del 1994 a 1.672.800 del 1996. Poiché non esistono dati epidemiologici che documentano un improvviso peggioramento dello stato di salute della popolazione, se ne deduce che la privatizzazione delle prestazione e il connesso sistema della remunerazione a tariffa hanno scatenato una vera e propria caccia al paziente e dato impulso alla moltiplicazione delle prestazioni inutili. In due anni, per esempio, i parti cesarei sono passati da 13.500 a 15.000 e le giornate di day hospital, poco impegnative per le strutture ospedaliere ma assai redditizie, nel giro di due anni sono aumentate da 278.546 a 678.482. E una crescita eccezionale hanno avuto anche i cosiddetti ricoveri brevi di due o tre giorni che consentono agli ospedali di intascare la retta piena.
Insomma, una corsa forsennata all’incremento delle prestazioni che se dovesse confermarsi anche per il prossimo futuro porterà alla esplosione della spesa sanitaria totale. Ma poiché se cresce la spesa sanitaria totale diminuisce l’incidenza percentuale della spesa pubblica su di essa, ciò sarà sufficiente ai lacchè del pensiero dominante per esaltare le virtù - è qui il caso di dirlo - terapeutiche del mercato. Se poi ciò comporterà, visto che lo stato ha bloccato la spesa pubblica, un incremento della spesa a carico dei malati o l’esclusione da molte prestazioni (fosse anche la terapia del dott. Di Bella di cui oggi con tanto vigore i suddetti lacchè sono paladini) delle fasce sociali più deboli che non potranno far fronte ai maggiori oneri, non è affare che li riguarda. Ciò che conta per questa mala genia non è la salute della collettività né la sofferenza di chi è colpito da gravi malattie, ma solo il profitto. Cianciano di libertà, ma è al profitto che pensano. Gli sono talmente asserviti che - come direbbe Pasolini - anche quando l’ipocrisia li avrà uccisi non potranno non mentire: saranno all’inferno e crederanno di essere in paradiso.
GPBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #2
Febbraio 1998
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